Responsabilità medica: finalmente il decreto con le nuove procedure per assicurazioni e risarcimenti

Massimo Quezel 22/03/24
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Ci sono voluti sette anni ma finalmente è stato emanato il decreto attuativo previsto dall’art. 10 della Legge 24/2017 recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” (la famosa “Gelli-Bianco”) che stabilisce “i requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie” nonché “i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio”.
 
Un settore, quello della responsabilità medica, che ha visto una evoluzione rapidissima negli ultimi decenni e che risulta da tempo non particolarmente appetibile per le compagnie assicurative. Tale circostanza ha determinato una graduale riduzione del mercato, con conseguente aumento dei costi delle coperture e ricorso sempre più frequente a sistemi di “autoassicurazione” da parte delle strutture che decidono di non dotarsi di una polizza, preferendo gestire internamente il rischio liquidando i risarcimenti attingendo al proprio patrimonio.

La Legge Gelli-Bianco si è inserita proprio in questo contesto, con l’obiettivo di introdurre una più efficace gestione del rischio clinico, fornire maggiori garanzie e tutele ai sanitari (così da disincentivare il ricorso alla cosiddetta “medicina difensiva”) nonché sancendo finalmente l’obbligo per le strutture sanitarie e per il personale medico di assicurarsi o, eventualmente, di gestire il rischio mediante l’adozione di “analoghe misure” (ovvero la sopracitata “autoassicurazione”) secondo specifici principi guida che appunto il decreto di cui parliamo avrebbe dovuto definire entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge.
 
Purtroppo, proprio per il ritardo nell’emanazione del decreto attuativo, l’offerta sul mercato non si può dire sia aumentata (e, pertanto, i costi in termini di premi non sono certo calati) complice anche la possibilità di eluderlo ricorrendo alle “analoghe misure”, fino ad oggi prive di qualsivoglia disciplina.
 
Uno degli aspetti senz’altro più interessanti e per il quale era forte l’attesa di questo decreto riguarda la disciplina dell’azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia assicurativa, al pari di quanto accade nella RC auto. Questo garantisce una pluralità di vantaggi per i danneggiati, soprattutto in ordine alla speditezza della procedura nonché alle maggiori garanzie di solvibilità che sono in grado di garantire le compagnie assicurative.

C’è da dire che, a differenza del settore della responsabilità auto, dove le coperture sono sostanzialmente standardizzate, la possibilità di introdurre tale procedura in ambito di responsabilità sanitaria non risulta certo agevole, sia in considerazione delle “analoghe misure” prevedibili dalle strutture che non intendono rivolgersi al mercato assicurativo, sia considerando che la struttura dei contratti assicurativi è molto ampia, potendo prevedere coperture solo parziali, franchigie e, in generale, lasciando ampia facoltà alle parti di stabilirne il contenuto.

Ciononostante le eccezioni alla regola dell’azione diretta previste nel decreto, proprio per fornire maggiori garanzie ai soggetti danneggiati e non vanificare la nuova procedura, sono soltanto quattro. Non si potrà fare causa direttamente alla compagnia qualora si tratti di danni che derivano da attività che non sono oggetto della copertura assicurativa (ma questo sembra evidente), oppure se la richiesta di risarcimento non è presentata nel periodo di vigenza della polizza (che comprende anche i dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo) e non è riferita a sinistri verificatisi nel medesimo periodo.

Inoltre sono opponibili al ricorrente le specifiche limitazioni previste nel contratto assicurativo, relativamente alla eventuale quota di rischio non assicurata e gestita in proprio dalla struttura (il cosiddetto SIR) o l’eventuale previsione di franchigie. Si tratta, come è facile comprendere, di una limitazione assai significativa, visto che, come abbiamo detto, sono ancora molte le strutture che preferiscono ridurre il premio assicurativo prevedendo franchigie spesso alte, oppure non assicurando quote anche significative del rischio.

Infine la compagnia potrà eccepire il mancato pagamento del premio da parte dell’assicurato.
 

Il decreto, inoltre, ha fissato il valore minimo dei massimali, suddivisi in tre categorie per le strutture (a seconda della complessità e del tipo di servizi che vengono resi) e in due per i professionisti sanitari (distinguendo tra quelli che svolgono attività chirurgica da quelli che non la svolgono). Per ciascuna categoria è stato fissato un massimale per sinistro e un massimale aggregato.

Oltre tali massimali dovrebbe rispondere il fondo di garanzia la cui istituzione, sebbene prevista nella Legge Gelli Bianco, dovrà essere oggetto di un ulteriore decreto attuativo. Questo fondo, alimentato da contributi annuali che le imprese assicurative operanti nel settore della responsabilità medica saranno chiamate a versare, è un elemento fondamentale la cui assenza indebolisce in modo significativo tutta la nuova procedura, posto che ad esso si dovrà attingere non solo per i sinistri di valore superiore ai massimali, ma anche nei casi in cui le strutture risultino assicurate presso un’impresa insolvente, in stato di liquidazione coatta amministrativa o che abbia esercitato il recesso unilaterale.
 
Veniamo, infine, alla spinosa questione delle “analoghe misure” adottabili dalle strutture sanitarie in alternativa al ricorso al mercato assicurativo.
Ebbene, il decreto stabilisce innanzitutto che l’adozione di tale sistema di gestione del rischio sia disposta da una delibera approvata dai vertici della struttura, specificante le modalità di funzionamento e le motivazioni che hanno indotto ad optare per questa soluzione.

Ogni struttura dovrà istituire una specifica commissione di valutazione dei sinistri composta da specialisti ed esperti espressamente indicati nel decreto (medici legali, periti, avvocati interni, esperti in gestione del rischio) che stabilirà anche l’entità delle somme da porre a riserva in due specifici fondi: il fondo a copertura dei rischi e il fondo riserva sinistri.

Entrambi i fondi dovranno essere certificati dal collegio sindacale o da un revisore al fine di stabilirne la congruità, e saranno impignorabili.
Nonostante queste nuove disposizioni, che senz’altro mettono un po’ di ordine nella disciplina delle soluzioni alternative alla copertura assicurativa, rimangono ancora aperti diverse questioni. Innanzitutto manca una parametrizzazione della solvibilità delle strutture che possono ricorrere all’autoassicurazione.

Si tratta di un punto fondamentale, posto che una struttura privata che adottasse le “analoghe misure” potrebbe anche non essere solvibile nel concreto (problema che sarebbe superato se ad assumersi il rischio fosse una compagnia di assicurazione). Manca, in altre parole, una disciplina analoga ai massimali imposti per legge alle coperture assicurative, che disponga una garanzia di solvibilità minima della struttura che decida di ricorrere all’autoassicurazione.

Inoltre, resta da chiarire come dovranno organizzarsi le strutture che decidessero di ricorrere a polizze assicurative con franchigie o con trasferimento del rischio solo parziale. Parrebbe che anch’esse siano chiamate a strutturarsi come sopra per la parte di rischio che, di fatto, verrebbe autogestito internamente.
 
Il decreto è formalmente in vigore dal 16 marzo 2024, pur prevedendo un periodo transitorio di 24 mesi, necessario per tutti gli adeguamenti che dovranno essere apportati sia da parte degli assicuratori (che saranno chiamati ad adeguare i contratti in conformità alle nuove disposizioni) che delle strutture sanitarie.
 

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Foto copertina: istock/ipuwadol

Massimo Quezel