Sulla via di ritorno, attraversata a piedi la prima carreggiata, nello scavalcare il guard-rail precipita nel vuoto fra le due carreggiate – non avendo percepito nel buio di trovarsi sopra un viadotto.
La donna, a causa della caduta, riporta lesioni gravissime, con invalidità permanente del 100% e propone domanda di risarcimento dei danni contro la s.p.a. Autostrade, assumendo che lo stato dei luoghi era tale da trarre in inganno – in quanto non era percepibile e segnalato il fatto che “le due carreggiate correvano separatamente” e non era stato frapposto alcun riparo in corrispondenza del guard-rail.
Sia il giudice di primo grado sia la Corte territoriale di seconde cure ritengono che lo stato dei luoghi fosse stato costruito conformemente alle prescrizioni di legge, come accertato da apposita CTU, e che l’incidente fosse da ascrivere alla colpa esclusiva della danneggiata.
La donna ricorre così in Cassazione.
Ebbene, fin dall’inizio del 1900 il dibattito giurisprudenziale in materia di responsabilità ‘‘per l’omessa manutenzione delle strade’’ fu caratterizzato dal principio dell’irresponsabilità – per i danni conseguenti all’uso delle strade pubbliche.
Tale orientamento ha iniziato ad essere scalfito intorno agli anni Venti del secolo scorso con le prime sentenze in tema di responsabilità dell’Amministrazione per l’attività della manutenzione stradale, in conseguenza della violazione di obblighi e cautele poste da norme di garanzia dell’integrità fisica e patrimoniale dei cittadini.
La giurisprudenza, in tale fase, ampliò infatti l’ambito della responsabilità della pubblica Amministrazione prendendo in considerazione – oltre la violazione di norme precauzionali (contenute in regolamenti e norme tecniche) – anche il principio del neminem laedere, quale limite esterno alla discrezionalità della pubblica Amministrazione medesima (o comunque dell’Ente gestore).
Si delineò, pertanto, una responsabilità per colpa generica conseguente alla presenza sulla strada di una sorpresa – cd. insidia o trabocchetto.
● Attualmente, l’orientamento più tradizionale ricollega la fattispecie in quaestio all’applicazione della norma generale di cui all’art. 2043 c.c., mentre le posizioni più innovative riconducono tale responsabilità all’interno dell’art. 2051 c.c..
Tali, ultime ed innovative posizioni sono pervenute alla seguente conclusione: ‘‘il bene (autostrada), adibito ad uso generale e diretto, nonché la sua notevole estensione non possono incidere di per sé sull’applicabilità dell’art. 2051 c.c.’’ (in tal senso: Cass. Civ., Sez. III, sent. nr. 7403 del 2007).
Tale orientamento evidenzia, in sostanza, che: ‘‘quando è consentita un’adeguata attività di vigilanza, la quale valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per terzi, l’art. 2051 c.c. trova senz’altro applicazione (…)’’.
In più chiari termini, la custodia, intesa dall’orientamento dominante come potere di governo sulla res (autostrada), costituisce, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità ex art. 2051 c.c. e, dall’altro, il suo limite di applicazione, nel senso che in relazione a quei beni per i quali non è individuabile alcun potere di controllo è giocoforza ricondurre la fattispecie nell’alveo residuale dell’art. 2043 c.c..
Attualmente, dunque, la Corte Suprema di Cassazione ribadisce la necessità di precisare che per i danni riconducibili alle deficienze strutturali della strada o delle sue pertinenze, il potere di controllo è in linea generale sussistente e che, in tali fattispecie, appare perciò applicabile l’art. 2051 c.c..
A tal preciso riguardo, recentemente la Corte di legittimità, con la sentenza nr. 15302 del 19 giugno 2013, ha confermato-rafforzato l’orientamento innovativo testè descritto affermando in sintesi quanto segue:
– ‘‘il pericolo – in strada – va segnalato’’;
– ‘‘la conformità dell’opera alle leggi ed alla tecnica costruttiva non vale ad escludere ogni responsabilità del proprietario o del gestore qualora, nonostante una tale conformità, l’opera presenti insidie o pericoli per l’utilizzatore’’;
– ‘‘la responsabilità del gestore può sussistere anche a fronte di modalità di utilizzazione improprie o colpose’’;
– ‘‘in linea di principio le strutture che affacciano sul vuoto e che sono liberamente accessibili dal pubblico debbono essere protette, anche e proprio in previsione di comportamenti inconsulti o colposi degli utenti’’;
– ‘‘la circostanza che gli utenti di un’autostrada si trovino a dover oltrepassare il guard-rail anche di notte e sulla corsia di sinistra – è tutt’altro che remota e talvolta può costituire addirittura una necessità o una misura prudenziale (…)’’;
– ‘‘se pertanto al di là di un parapetto agevolmente superabile vi sia il vuoto, occorre che gli utenti ne siano in qualche modo avvertiti, o che il pericolo sia inequivocabilmente percepibile in ogni situazione in cui la strada sia praticabile (di giorno, di notte, con il sole o con la nebbia)’’.
Insomma, l’organo giudicante non può basare le proprie decisioni affidandosi al SOLO potere scientifico (id est consulenza tecnica), la quale nelle corti – il più delle volte – arriva a detenere addirittura un’influenza ‘‘notevolmente invasiva’’ ovvero pseudo-decisoria, accertativa-percipiente.
Tale riflessione evidenzia che l’organo giudicante è, sempre, chiamato ad applicare nelle sue motivazioni (anche in tema di responsabilità extracontrattuale) i contenuti-principi strettamente normativi come, nel caso di specie, ‘‘il generale principio di solidarietà sociale’’.
Tale principio afferma in sostanza che:
– il soggetto agente è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale
–Tale condotta non può che concretizzarsi negli obblighi di informazione e di avviso (!), dovendosi avere riguardo alla salvaguardia dell’utilità altrui, dalla cui violazione non possono che conseguire responsabilità in ordine ai falsi affidamenti ingenerati nei terzi, anche solo con un contegno di natura colposa.
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