L’elemento di particolarità che contraddistingue l’iniziativa è quello per cui i presentatori hanno irritualmente eletto domicilio (speciale) presso un comune, con tanto di indirizzi di posta elettronica del sindaco.
Successivamente, sono emerse indicazioni secondo cui il comitato promotore abbia richiesto ai comuni (ma, sembra, non certamente ai notai cancellieri dei diversi organi giudiziari, ecc.) di procedere essi stessi alla stampa dei moduli per la raccolta delle firme, ed adempimenti successivi, il ché già costituisce un passo ulteriore, dal momento che, nei procedimenti referendari, spetta, essendone ruolo proprio, ai comitati promotori la predisposizione dei moduli, la richiesta di loro vidimazione, la distribuzione presso i Pubblici Ufficiali legittimati a provvedere all’autenticazione delle firme, nonché al loro ritiro, conclusa la fase di raccolta delle firme, incluso il ritiro presso gli uffici elettorali in cui i singoli sottoscrittori sono iscritti nelle liste elettorali, dei certificati, siano essi singoli o cumulativi, di iscrizione nelle liste elettorali.
Al contrario, rientra nelle funzioni esclusive dei soggetti individuati all’art. 7, comma 4 L. 25 maggio 1970, n. 352 provvedere alla (preventiva) vidimazione dei moduli loro presentati dai promotori, ed ai Pubblici Ufficiali considerati dall’art. 14 L. 21 marzo 1990, n. 53 provvedere alle autenticazioni delle firme apposte dai sottoscrittori e ai responsabili degli uffici elettorali comunali al rilascio dei certificati d’iscrizione nelle liste elettorali.
Essendo i referendum popolari strumento di democrazia diretta (come effettivamente sono), la separazione dei ruoli tra promotori e P. A. (queste ultime assolventi a funzioni procedimentali strumentali) costituisce un elemento sostanziale, e si colloca nell’ambito dell’esercizio dei diritti democratici, senza ammettere surroghe di terzi, poiché la democrazia implica la partecipazione degli elettori.
Situazioni in cui vi sia un mix tra esercizi dei diritti personali di democrazia ed attività delle P.A. si riscontravano nelle realtà, storiche (ma ancora presenti in alcuni Paesi del mondo) in cui vi era commistione tra P. A. e partiti politici,
Se il fatto di eleggere domicilio (speciale) a questi fini da parte dei promotori presso una P.A. costituisce una irritualità (come in precedenza qualificata, ma, nei fatti, è molto di più), l’assunto dei promotori di richiedere la “collaborazione” di P.A. per attività e prestazioni loro proprie va ben oltre, esponendo anche a situazione di danno erariale (art. 93 T.U.E.L.), al pari di quando venga richiesta a P.A. di espletare attività (es.: spedizioni di materiali, atti e documenti) che attengono al ruolo proprio dei promotori, ma incide anche sui principi di imparzialità e buon andamento cui le P.A. sono indefettibilmente tenute, nonché, altresì, in presenza anche di altre condizioni, richiamare la fattispecie dell’art. 323 C.P.
Per altro, se può comprendersi che i promotori chiedano (altro è che le richieste possano, legittimamente, essere accolte), non senza ingenuità, un qualche ausilio, meno comprensibile è il fenomeno per cui alcune (neppure poche) Prefetture-U.t.G., richieste dai promotori, si siano prestare ad emanare circolari volte a segnalare “ai signori sindaci”, talora a trasmettere, con preghiera di ogni favorevole considerazione (si è in presenza di comportamenti discrezionali e rimessi alla disponibilità dei destinatari di queste “note”?), l’unita nota, corredata del relativo modulo per le sottoscrizioni, con la quale il …, Sindaco del Comune di …. e promotore … del referendum popolare … ha chiesto la collaborazione … affinché siano agevolate al massimo le operazioni di raccolta e di autenticazione delle sottoscrizioni della succitata iniziativa referendaria.
Non vi è qui un uso privato delle P.A.? Quanto lascia perplessi è che le Prefetture-U.t.G. si prestino (anche se si ricorda come, attorno al 1991-1992, molte Prefetture si siano prestare a diffondere ordinanze sindacali, palesemente illegittime, in quanto adottate in voluta violazione di talune norme regolamentari allo scopo di impedirne l’applicazione) a queste richieste in cui è del tutto evidente la commistione dei ruoli.
Un conto sono interventi (per altro, generalmente non necessari) volti ad assicurare l’ordinario 8ed ordinario) svolgimento di pubbliche funzioni, che costituiscono, in quanto tali, un dovere ineliminabile ed incomprimibile cui i diversi Pubblici Ufficiali sono tenuti ad adempiere, altro chiedere che strutture di P.A. impieghino risorse al fine di favorire soggetti privati, quali sono i comitati promotori, altro ancora è l’utilizzo del brand di una P.A. e di una carica pubblica (cioè, di una funzione pubblica) che, in quanto tali (sia per il primo che per la seconda), non possono sottrarsi dall’osservare, prima di tutto per convinzione, i già richiamati principi di imparzialità e buon andamento affermati dall’art. 97, comma 1 Cost.
Certo, queste impostazioni sono state presenti, nel passato, specie laddove, per oltre 7 lustri, ha affondato le proprie radici (non del tutto svelte) un sistema di approccio che rispondeva ad una concezione proprietaria della cosa pubblica, dove gli stessi eletti rispondevano ad altri potentati, spesso sulla stessa piazza, ma architettonicamente ben individuabili, anche per l’elevazione di alcuni degli elementi architettonici, approcci che presentavano una pervasività ben maggiori di precedenti periodi storici, ventennali.
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