Referendum 8 e 9 giugno 2025: perché si vota. I 5 quesiti spiegati in modo semplice

Cosa succede votando Sì o NO ai quesiti abrogativi.

Redazione 14/04/25

L’8 e il 9 giugno 2025 si torna alle urne, questa volta per un Referendum abrogativo. Tutte le cittadine e i cittadini italiani possono esprimersi su cinque quesiti su temi fondamentali in tema di lavoro e cittadinanza.

La questione è mantenere o abrogare specifiche norme legislative attualmente in vigore su licenziamenti e contratti a termine, su responsabilità negli appalti, oltre che sui requisiti per ottenere la cittadinanza italiana. Meglio capire bene cosa chiedono questi quesiti e cosa cambia votando sì o no ad ognuno di essi.

I primi quattro quesiti puntano a chiedere al lettore di esprimersi sulle norme introdotte dal Jobac Act in tema di licenziamenti. Il quarto invece riguarda i requisiti per la cittadinanza italiana.

Nello specifico: l’abolizione del contratto a tutele crescenti per quanto riguarda i licenziamenti illegittimi; la possibilità per i giudici di determinare senza limiti l’indennità per i lavoratori delle piccole imprese licenziati ingiustamente; la rimozione dei vincoli sulla durata e le proroghe dei contratti a termine; il ripristino della responsabilità solidale del committente negli appalti per gli infortuni da rischi specifici; e, infine, la riduzione da 10 a 5 anni del periodo minimo di residenza per richiedere la cittadinanza italiana da parte degli extracomunitari.

Nei prossimi paragrafi spieghiamo nel dettaglio ciascun quesito referendario, illustrando cosa prevede la normativa attuale, cosa cambierebbe in caso di abrogazione, e quali potrebbero essere le conseguenze pratiche delle scelte degli elettori. Inoltre, forniremo tutte le informazioni necessarie sulle modalità di voto, inclusi gli orari, i documenti richiesti, e le procedure per votare fuori sede o dall’estero.

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Indice

Il Referendum abrogativo di giugno 2025

Il referendum abrogativo è uno strumento di democrazia diretta previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana. Attraverso questo meccanismo, i cittadini possono decidere se abrogare (cioè cancellare) una legge o una parte di essa. Perché un referendum sia valido, devono recarsi alle urne almeno il 50% + 1 degli aventi diritto al voto: è il cosiddetto quorum.

Nel 2025, gli elettori saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale. I temi riguardano soprattutto il diritto del lavoro, tre dei quali introdotti dal Jobs Act nel 2015 (tutele nei licenziamenti, contratti a termine, responsabilità negli appalti) e la cittadinanza italiana per stranieri extracomunitari.

Il quesito sulla cittadinanza italiana è stato promosso inizialmente dal segretario di +Europa, Riccardo Magi, oltreché dai partiti Possibile, Partito Socialista Italiano, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista e numerose associazioni della società civile.

Invece i quesiti referendari sul lavoro sono stati promossi dal sindacato CGIL con una raccolta delle firme pubblica, a cui hanno aderito 4 milioni di cittadini.

I quesiti sono poi stati ammessi dalla Corte costituzionale, motivo per cui tutti i cittadini e le cittadine con diritto di voto possono recarsi alle urne esprimendo il proprio parere nel mese di giugno.

I cinque quesiti referendari

Dei cinque quesiti che il lettore troverà sulla scheda di Referendum, quattro sono in tema di lavoro, mentre il quinto riguarda la cittadinanza. Resi ufficiali con i decreti del Presidente della Repubblica 25 marzo 2025 (Gazzetta ufficiale, Serie Generale, n.75 del 31 marzo 2025), sono:   

  • «Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
  • «Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
  • «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
  • «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»
  • «Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana».

Ognuno di essi è di tipo abrogativo. Significa che il cittadino può scegliere se abrogare (quindi cancellare) oppure mantenere in vigore la norma attualmente esistente). Vediamoli in dettaglio.

Quesito 1 – Contratto a tutele crescenti: licenziamenti illegittimi

Il primo quesito riguarda le regole sui licenziamenti introdotte nel lontano 2015 dal Jobs Act firmato dall’allora governo Renzi. Causò molte polemiche quella legge sul lavoro, perché piantò diversi paletti in tema di licenziamenti e articolo 18. Il referendum proposto dalla CGIL punta ad abrogare le norme attualmente in vigore e ripristinare la situazione ante 2015.

Cosa chiede il quesito. La domanda si focalizza sull’eliminare le norme che limitano il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo nei contratti a tutele crescenti.
Situazione attuale: Il Jobs Act (decreto legislativo 23/2015) prevede che nei nuovi contratti a tempo indeterminato il reintegro è possibile solo in rari casi. In genere, il lavoratore ottiene un’indennità economica.
Cosa succede se vince il Sì. Si vota sì per tornare alla possibilità più ampia di reintegro nel posto di lavoro, anche nelle nuove assunzioni.
Cosa succede se vince il NO. Si vota no per mantenere in vigore l’attuale disciplina del Jobs Act.

Il quesito completo che si può leggere sulla scheda dice questo:

«Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n.87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183″nella sua interezza?»

Quesito 2 – Piccole imprese: licenziamenti e indennità

Sempre di licenziamenti si parla nel quesito 2 del Referendum di giugno 2025. Questa volta però il tema è legato al tetto all’indennità in caso di licenziamento ingiusto nelle piccole imprese fino a 15 dipendenti. Qui, se un lavoratore viene licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, e impugna con successo il licenziamento davanti al giudice, il datore è tenuto a risarcirlo con un’indennità. Il problema nasce dall’importo: anche quando il licenziamento è manifestamente infondato, il giudice non può condannare il datore di lavoro a un risarcimento superiore a 6 mensilità. Di fatto si tratta di un rischio che poco incide sull’impresa.

Sull’abrogazione o meno di questa situazione punta il quesito.

Cosa chiede il quesito. Si chiede se il cittadino vuole cancellare le norme che fissano un tetto all’indennità in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con meno di 15 dipendenti.
Situazione attuale. I giudici devono rispettare dei limiti di legge nel calcolare l’indennità.
Cosa succede se vince il Sì. I giudici potranno stabilire liberamente l’importo dell’indennità, senza soglie minime o massime.
Cosa succede se vince il NO. Le regole attuali continueranno a valere e l’indennità corrisposta dal datore non supererà comunque le 6 mensilità di stipendio.

Ecco il testo del quesito:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»

Quesito 3 – Lavoro subordinato, durata massima, proroghe e rinnovi

Il terzo referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno chiede ai cittadini di esprimersi sui contratti a termine, in particolare la loro durata e l’obbligo di causali, così come stabiliti dal Jobs Act. Attualmente i rapporti di lavoro a termine possono essere stipulati senza causale (cioè senza dover indicare il motivo oggettivo alla base dell’assunzione) per una durata iniziale non superiore a 12 mesi. In sostanza, fino a 12 mesi non serve alcuna motivazione specifica da parte del datore di lavoro.

Cosa chiede il quesito. La domanda è se si vogliono eliminare le norme che limitano la durata massima e il numero di proroghe per i contratti a tempo determinato.
Situazione attuale. Un contratto a termine può durare al massimo 24 mesi, ma fino a 12 mesi non serve giustificare il motivo per cui viene assunto a tempo determinato il dipendente.
Cosa succede se vince il Sì. Si rintrodurrebbero le causali in ogni caso, a prescindere dal numero di mesi di stipula del contratto.
Cosa succede se vince il NO. Restano le attuali norme.

Ecco il quesito completo:

«Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, limitatamente alle seguenti parti: articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»

Quesito 4 – Responsabilità per infortuni sul lavoro

Il quarto quesito si focalizza sulla sicurezza sul lavoro, in particolare sulla responsabilità di committente, appaltatore e subappaltatore in caso di infortuni sul lavoro del dipendente di società appaltatrici e subappaltatrici. All’articolo 26, comma 4, D.Lgs. 81/2008 è stabilito che, nei contratti di appalto, subappalto, d’opera o di somministrazione, il datore di lavoro committente verifica l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti appaltatori e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare. Tuttavia, è esclusa tale verifica per i contratti di appalto e somministrazione stipulati con imprese che sono già iscritte negli appositi registri della camera di commercio, industria e artigianato (salvo alcune eccezioni previste da leggi speciali).

Cosa chiede il quesito. Al Referendum viene chiesto di esprimersi sull’estendere la responsabilità solidale anche al committente in caso di infortuni sul lavoro legati a rischi specifici. Il quesito referendario chiede al cittadino se vuole abrogare la parte della norma che esonera dalla verifica questa tipologia di committenti.
Situazione attuale. Il committente non è responsabile se l’infortunio dipende da rischi specifici dell’appaltatore.
Cosa succede se vince il Sì. Il committente diventa corresponsabile per gli infortuni occorsi anche per rischi specifici.
Cosa succede se vince il NO. Resta l’esclusione della responsabilità del committente in tali casi.

Ecco il quesito stampato sulla scheda referendaria:

«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 26, comma 4, in tema di “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, come modificato dall’articolo 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall’articolo 32 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’articolo 13 del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»

Quesito 5 – Cittadinanza italiana: tempi dimezzati da 10 a 5 anni

Si esce dal perimetro del lavoro nel quinto quesito, e si entra in quello dei requisiti per diventare cittadini italiani. Attualmente, la Legge n. 91/1992 prevede che uno straniero che voglia ottenere la cittadinanza italiana per naturalizzazione debba risiedere legalmente e ininterrottamente in Italia da almeno 10 anni. Il quesito referendario chiede di abrogare parte dell’attuale disciplina e di riportare a 5 anni il requisito di residenza legale, come era previsto dalla legge del 1865 (legge n. 555/1865) fino alla riforma del 1992.

Cosa chiede il quesito. Ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli extracomunitari per ottenere la cittadinanza.
Situazione attuale. La cittadinanza può essere richiesta dopo 10 anni di residenza continuativa.
Cosa succede se vince il Sì. Basterebbero 5 anni di residenza per fare richiesta.
Cosa succede se vince il NO. Resta il requisito dei 10 anni.

Questo il quesito riportato nella scheda:

“Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza?”

Referendum giugno 2025: quando si vota

Ricordiamo che per votare su questi 5 Referendum abrogativi bisogna recarsi alle urne l’8 e 9 giugno.

In dettaglio, Il voto si svolgerà:

  • Domenica 8 giugno 2025, con apertura dei seggi dalle ore 7:00 alle 23:00;
  • Lunedì 9 giugno 2025, con apertura dalle ore 7:00 alle 15:00.

Gli elettori italiani potranno recarsi presso il seggio indicato nella propria tessera elettorale. È fondamentale verificare in anticipo l’indirizzo e la sezione, soprattutto in caso di recenti cambi di residenza.

Per accedere al seggio e votare, l’elettore deve presentarsi munito di:

  • Tessera elettorale valida e con spazi disponibili per la timbratura;
  • Documento di riconoscimento in corso di validità: sono accettati la carta d’identità, la patente di guida, il passaporto, o altri documenti rilasciati da pubbliche amministrazioni purché provvisti di fotografia e firma.

Come si vota l’8 e 9 giugno

Riassumendo, sulla scheda referendaria ogni elettore troverà i cinque quesiti descritti sopra. Per ciascuno si dovrà tracciare una croce sul “Sì” (se si vuole abrogare la norma) oppure sul “No” (se si vuole mantenerla).

Per maggiori dettagli sul Referendum dell’8 e 9 giugno è possibile consultare:
– Il sito del Ministero dell’Interno
– Il sito del proprio Comune di residenza
– Il sito della Gazzetta Ufficiale

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Foto: istock/enzodebernardo

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