Negli ultimi giorni il Cavaliere è tornato a occupare vari spazi sui mezzi di comunicazione, dopo un lungo periodo di silenzio dovuto anche alle condizioni di salute.
Naturalmente, il tema politico principale non può che essere il referendum sulla riforma Renzi-Boschi, che sta letteralmente spaccando l’Italia in due. Non sempre, però, le posizioni ufficiali di una forza politica rispecchiano le convinzioni dei singoli esponenti: lo vediamo ad esempio nel Partito democratico, in cui la minoranza a capo Bersani rimane scettica, oppure nella confusa area centrista, dove vige una sorta di “liberi tutti”.
Di norma, la scelta di ogni partito riflette l’opportunità politica che l’occasione viene a rappresentare: per MoVimento 5 Stelle, Lega Nord e altri si tratta di una ghiotta opportunità per una spallata al governo; Pd e alleati, invece, vedono nella vittoria del Sì, né più né meno, il passepartout per arrivare dritti a fine legislatura.
Ci sono, poi, i contenuti della riforma, che mostrano una visione molto chiara delle istituzioni e in particolare del Parlamento, in cui ciascuna forza politica viene a riconoscersi, o a confliggere.
Alla luce di queste premesse, allora, è lecito dubitare della posizione “decisa” sul No di Silvio Berlusconi per vari motivi.
Un Sì segreto…ma non troppo
Tanto per cominciare, una vittoria netta del No, visto l’impegno molto più profondo in campagna elettorale, costituirebbe uno scalpo in mano contemporaneamente a Beppe Grillo e Matteo Salvini e, si sa, Berlusconi non gradisce stare nelle retrovie, soprattutto per due personaggi così ingombranti.
Un effetto diretto sarebbe l’ulteriore peso specifico della Lega Nord – e in particolare del suo leader – nella coalizione di centrodestra, già messa in subbuglio dalla vittoria di Trump, che ha riportato in voga le pressioni populiste, di fatto spedendo al capolinea i tentativi di un moderato come Stefano Parisi.
In aggiunta, lo ha confermato lo stesso Berlusconi a “Porta a porta”, le sue aziende preferiscono stare dalla parte del premier poiché “temono ritorsioni da chi ha il potere” per una non meglio precisata difesa dei risparmiatori. Quasi a voler confermare le Cassandre che nei giorni scorsi hanno previsto cataclismi economici in caso di affermazione del No (tra questi, il Financial Times).
Del resto, perché Berlusconi dovrebbe vedere di buon occhio una possibile caduta del governo? Sin qui, il programma di Renzi è coinciso, specie nelle misure economiche, su molti punti della dottrina storica del Cav: Jobs Act, eliminazione tassa sulla prima casa, rottamazione delle cartelle esattoriali tanto per citare alcuni interventi.
Ci sono poi i contenuti della riforma costituzionale, che presentano non poche somiglianze con il tentativo del Cavaliere di dieci anni fa e allora respinto dagli elettori. Il Senato come rappresentanza dei territori, la fiducia espressa dalla sola Camera, la quale sarà appannaggio di una maggioranza eletta, in base all’Italicum, grazie a un premio identico a quello del fu Porcellum, fortemente voluto da Berlusconi e poi bocciato dalla Consulta. Ragioni sufficienti, queste, a Forza Italia per votare a favore ben tre volte nei passaggi parlamentari della riforma Boschi, salvo poi ricredersi a metà strada, non già per qualche correttivo sgradito, ma per l’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella, che di fatto sancì la fine del cosiddetto “Patto del Nazareno”.
Da ultimo, ci sono le strizzate d’occhio che, pure in questo periodo di “bagno di sangue” pre urne, Berlusconi continua a lanciare nei confronti del segretario Pd. Nei giorni scorsi non ha mancato di rimarcare che Renzi è il solo leader oggi presente nel panorama italiano: forse un invito neanche troppo velato ai “suoi” elettori, a valutare bene le possibili alternative, prima di esprimersi nella cabina.
Meglio, allora, adottare una posizione di facciata per il No, evitando rotte di collisione con gli alleati, mantenendo però una posizione più sfumata, con una campagna meno martellante, magari sperando in un esito che mantenga Renzi in sella, ma lo obblighi a rivedere strategia e qualche alleato.
D’altro canto, l’atteggiamento dell’asse governativo nei confronti dell’ex presidente del Consiglio sembra assai meno battagliero rispetto al passato. Addirittura, nel volantino recapitato in tutte le buchette d’Italia in questi giorni, la pagina dedicata ai nemici del No mostra, uno fianco all’altro, i volti di Gustavo Zagrebelsky, Mario Monti, Lamberto Dini, Beppe Grillo, Ciriaco De Mita, Massimo D’Alema e – per Forza Italia – quello di Renato Brunetta. Insomma, tra i “censurabili”, Berlusconi è stato dimenticato.
E non a caso: Renzi sa che per vincere ha assoluto bisogno a dei suoi voti: gli ultimi sondaggi dimostrano che i supporters di Forza Italia sono i più spaccati sul referendum e rappresentano un bacino assai permeabile. Pd e alleati, da soli, possono contare a malapena su un 40%, contando le defezioni dell’area bersaniana: per sopraffare il No, che unisce identità e tradizioni anche inconciliabili, è necessario sfondare nell’area moderata del centrodestra, dove Renzi gode ancora di discreta fama. E, particolare spesso sottovalutato, stavolta sulla scheda del referendum non ci saranno simboli da barrare, ma, molto semplicemente, un Sì o un No. Senza bisogno di turarsi il naso.
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