All’interno del paniere delle 100 voci in cui è suddivisa la spesa dei contribuenti sono presenti alcune ambiguità che possono rappresentare delle vere e proprie trappole in fase di dichiarazione dei redditi, fra gli esempi più lampanti rientrano: gli investimenti che fanno crescere il patrimonio in un anno solo, la discrepanza tra spese Istat e quelle realmente sostenute, l’intestazione di bollette e utenze che, invece, sono corrisposte dall’altro coniuge. Sono nodi imminenti da sciogliere, visto che a partire da marzo l’Agenzia delle entrate comincerà a controllare i primi nominativi contenuti nelle liste selettive.
Uno degli argomenti più spinosi, come detto, riguarda gli incrementi patrimoniali. L’acquisto di una casa così come quello di una automobile, ad esempio, fa aumentare la capacità contributiva in unico momento e questo non permette che tale costo si possa spalmare, cosa che invece era possibile fare in precedenza quando l’acquisto si divideva nei successivi 5 anni. L’unica agevolazione concessa è la detrazione dall’importo speso del mutuo di finanziamento erogato dalla banca mentre, qualora il finanziamento non provenga da un istituto di credito, ma sia di natura famigliare, è necessario dimostrarlo. La sensazione, dunque, è che il reddito che si andrà a dichiarare rischia di essere maggiore di quello reale.
Il redditometro, per la maggior parte, si basa su informazioni già acquisite, già facenti parte della banca dati dell’anagrafe fiscale; dunque verranno controllate ed incrociate le precedenti dichiarazioni dei redditi oltre al confronto con le spese medie Istat che sono adeguate a 11 famiglie – tipo e 5 macro aree geografiche di appartenenza del contribuente.
Questi criteri però rischiano di non tutelare completamente il contribuente onesto, in quanto i valori delle spese controllate dall’ Istat sono delle medie, e qualora fosse al di sotto di quelle medie, o semplicemente non ha effettuato spese si vedrebbe accreditate quote di reddito di cui non ha realmente usufruito, soprattutto nel caso in cui le uscite non dovessero essere stimate diversamente ma fossero sommate algebricamente.
Un altro elemento di cui tenere conto è che il redditometro, a differenza del redditest, è tarato su base singola e non famigliare, quindi indica i consumi di ciascun contribuente. Questo può comportare una distorsione della realtà in quanto in una famiglia in cui la moglie non lavora ma ha le utenze della casa intestate si dovrà procedere a giustificare come un disoccupato possa permettersi di corrispondere le spese delle bollette. La tracciabilità dei pagamenti, in una circostanza simile, può rivelarsi molto utile, ma è evidente che il contribuente rischia di dover ricorrere troppo spesso ad un professionista per mettere in luce la propria reale situazione finanziaria.
Il redditest, alla luce di quanto detto, è stato un mezzo fallimento perché in realtà non è una approssimazione vicina al redditometro, ma uno strumento che utilizza criteri di valutazione diversi; detto della base famigliare, infatti, una ulteriore differenza fondamentale è che nel software era possibile immettere le uscite realmente sostenute mentre nel redditometro rischiano di essere semplicemente stimate in modo del tutto approssimativo ma lesivo dell’idoneità del contribuente.
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