Redditometro bocciato dal Tribunale di Napoli

Era attesa da un po’, diciamolo. La prima pronuncia dell’apparato giudiziario sul c.d. Redditometro è arrivata, più precisamente dal Tribunale di Napoli, che ha bocciato la misura adottata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Procediamo per gradi.

Innanzitutto, il Redditometro non è nato da un giorno all’altro, è in vigore dal 2010. Con il D.L. 78/2010, convertito in L.122/2010 si è proceduto a modificare l’art.38 del D.P.R 600/73 il quale regola la materia dei tributari.

In particolare il Tribunale di Napoli stabilisce, con ampia e dettagliata argomentazione, che il dm sopprime ogni privatezza e dignità dell’esistenza del singolo individuo-contribuente. Il decreto viene contestato in altri punti, molti e non di poco conto. Viene messo in discussione, infatti il suo stesso obiettivo, scovare evasori nascosti.

Innanzitutto il dm, appellandosi al dl 78/2010, convertito dalla L.122/2010, ed all’art.38 del Dpr 600/73 dichiara di individuare “il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva” che devono costituire la base della determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche. Tale procedura richiederebbe, come primo passo, la categorizzazione degli individui. Infatti, il contesto socio economico e geografico in cui vive ogni soggetto influenza inevitabilmente la sua capacità contributiva, almeno se ci si vuole attenere al criterio di progressività previsto dal dettato costituzionale . Il fatto è che il decreto non distingue l’operaio dal dirigente, individua semplicemente cinque aree geografiche, piuttosto ampie, senza peraltro considerare i diversi tenori di vita che caratterizzano le microaree che compongono ognuna di esse. Le diverse tipologie di contribuenti vengono collocati indifferentemente in una di queste macroaree. Così l’operaio, che vive in una zona disagiata delle provincia e che magari, dopo aver ricevuto un contributo in denaro da parenti o amici, decide di spendere tale denaro acquistando un bene tanto desiderato ma costoso, potrebbe essere un sospetto evasore. Invece, il dirigente, che abita in centro ed a cui capita la stessa fortuna, non verrebbe proprio preso in considerazione dall’Agenzia, rientra tutto nel suo badget, in teoria.

A tal proposito, seconda fase importante della procedura in analisi è il calcolo della spesa media delle categorie di contribuenti. Il dm si avvale dei dati dell’ISTAT, peccato, però che tale Istituto sia stato pensato con un diverso intento. La sua attività, come precisato peraltro dal d. lgs 322/1989, ha come obiettivo esclusivamente quello di fornire ai cittadini uno specchio della società il più attendibile possibile, non è stato creato, dunque a fini tributari. Differenza non da poco. L’obiettivo, di solito, determina anche le modalità e la precisione di un’attività o procedimento.

Anche trascurando questi primi “dettagli”, grosso problema è costituito dal diritto alla difesa. Il dm concede, infatti, al contribuente-possibile-evasore di difendersi , non si chiarisce però come può farlo, conservare tutti gli scontrini?Tenere contabilità analitica? Serve dunque una laurea in economia per contribuire alle spese dello Stato? Che succede poi se al povero cittadino vengono contestate spese che non ha fatto? Quale mezzo di prova si può utilizzare per dimostrare che qualcosa non esiste o non è mai stato fatto?

A mio parere il nucleo essenziale della sentenza, riguarda proprio i diritti umani, vanto del nostro ordinamento così come della stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, secondo i giudici, il provvedimento lederebbe gli art.2, 13 Cost così come gli art. 1, 7,8 della Carta europea. Dunque non solo il diritto alla libertà individuale ma anche il diritto ad avere una vita privata, ad autodeterminarsi. Se non sbaglio, nel nostro ordinamento tali aspetti sono talmente importanti che le sanzioni penali sono e devono essere considerate ultima ed inevitabile soluzione per porre rimedio ad un reato.

Il sistema Redditometro, infatti, andrebbe ad analizzare voci di spesa inerenti abbigliamento, generi alimentari, attività sportive, animali domestici, mezzi di trasporto, spese sanitarie, assicurazioni ed abitazione, venendo così a conoscere ogni singolo aspetto della vita dei cittadini potendo contestarla e sindacare su di essa. In realtà lo Stato dovrebbe proprio tutelare gli individui da intrusioni di questo genere.

I diritti precedentemente enunciati sono irrinunciabili, primari, fondamentali. Un loro sacrificio è ammesso solo in casi estremi, per garantire beni di pari rango e sempre che non vi sia altra idonea soluzione. Questo “sacrificio”, inoltre, se anche inevitabile, non può essere operato da un provvedimento della pubblica amministrazione, non ne ha i poteri. Per questo motivo il dm viene dichiarato non tanto illegittimo,quanto nullo ai sensi dell’art. 21 septies della L.241/1990, dunque per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione.

Il punto è che il procedimento elaborato dal decreto, secondo la pronuncia del Tribunale di Napoli, non assolve efficacemente al compito che si è prefissato. Un controllo legittimo ed efficace sui redditi non risulta possibile con i mezzi messi a disposizione, per i motivi enunciati in precedenza, dunque?Forse è il caso di procedere ad una sua revisione?In attesa di altre pronunce giurisprudenziali è bene riflettere sulla domanda.

La sentenza del Tribunale di Napoli

 

Miriam Cobellini

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