E’ questo il contenuto – del quale non è ancora noto il testo – di uno degli emendamenti presentati dal Governo nell’ambito della manovra fiscale bis in queste ore all’esame della Commissione bilancio del Senato.
L’obiettivo perseguito attraverso tale disposizione di legge è – a quanto è dato capire – quello di stimolare e promuovere una sorta di “controllo sociale” diffuso per effetto del quale ogni cittadino dovrebbe trasformarsi in “poliziotto fiscale” e denunciare alla competente Autorità il proprio collega di lavoro, conoscente o vicino di casa che dichiara poco ma spende molto.
E’ proprio la finalità perseguita con il provvedimento – più che la decisione di rendere pubblicabili online i redditi di tutti i cittadini italiani o di quella parte di essi che avrà la ventura di risiedere nei comuni che riterranno di avvalersi della facoltà loro accordata dalla norma – a lasciare perplessi ed a far sorgere il dubbio che, preoccupati di far quadrare i conti, si sia “derubricata” a questione di carattere squisitamente tecnico-fiscale, una questione, in realtà, complessa e dalle molteplici implicazioni di carattere sociologico, politico e giuridico.
E’, innanzitutto, evidente che “invitare” per legge i cittadini a denunciare le piccole e grandi furberie dei propri vicini e colleghi nei confronti del fisco rappresenta una scelta politica destinata ad incidere in maniera determinate sulla società e sugli equilibri e rapporti nell’ambito delle piccole e grandi comunità comunali.
Difficile prevedere gli effetti di una simile disciplina sulle relazioni interpersonali e sulle comunità locali: piccole e grandi ipocrisie potrebbero dilagare, doppie e triple identità moltiplicarsi con l’intento di nascondere anche ai nostri prossimi ciò che, evidentemente a torto, sin qui alcuni hanno inteso nascondere al solo fisco.
Non si tratta di conseguenze di poco conto.
Ci potremmo risvegliare tra qualche anno e renderci conto che i rapporti di fiducia e solidarietà sui quali si fonda, in buona misura, la convivenza civile sono definitivamente compromessi ed appartengono al passato.
E’ inutile, rispetto ad un simile possibile scenario, invocare la tesi secondo la quale chi si comportasse in modo virtuoso nei confronti del fisco, non correrebbe il rischio di veder compromessi i propri rapporti di buon vicinato o all’interno della comunità comunale di appartenenza.
C’è poi – tra i tanti – un altro profilo del provvedimento che fa apparire il Governo muoversi con straordinaria superficialità e quasi affetto da una pericolosa forma di schizofrenia normativa: quello connesso al regime di pubblicità dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani e alle conseguenti esigenze di tutela della privacy di questi ultimi.
Solo qualche anno fa, nella primavera del 2008, infatti, a seguito di una infelice – a causa dell’epilogo che la vicenda ha poi avuto – decisione dell’agenzia delle entrate di pubblicare, senza alcun avviso né alcuna preventiva consultazione con il Garante privacy, online i dati relativi a tutte le dichiarazioni dei redditi dei cittadini italiani, il Governo decise, repentinamente, di modificare la disciplina sul regime di pubblicità di tali dati e sulle modalità di accesso agli stessi.
Da un contesto nel quale, tali dati, dovevano considerarsi, a norma dell’art. 69 del DPR 600/1973, pubblici ed accessibili da parte di chiunque, si scelse di passare ad un regime – quello attuale – nell’ambito del quale, tali dati, sono accessibili solo da parte di chi vi abbia uno specifico interesse e non possono, pertanto, definirsi – giusta o sbagliata che tale classificazione possa risultare – pubblici.
Oggi si cambia di nuovo e, peraltro, se – come appare – toccherà ai singoli Comuni decidere cosa fare dei dati sui redditi dei propri cittadini, il regime di pubblicità di tali dati sembra destinato ad essere quanto mai frammentato: lungo una stessa strada ed a pochi numeri civici di distanza, la stessa categoria di dati potrebbe doversi considerare pubblica o non pubblica.
Nell’era della globalizzazione e della società dell’informazione è una scelta difficilmente condivisibile ed ancor più difficilmente sostenibile.
Si sta per frammentare il Paese in paradisi della riservatezza e inferni della delazione.
Un’autentica follia normativa le cui conseguenze è, ancora una volta, difficile credere siano state sufficientemente ponderate dagli uomini dei numeri e dagli sceriffi del fisco.
Analoghe – e, forse, ancor più serie – perplessità sussistono in relazione alla disciplina sulla privacy.
Nel 2008, il Garante per il trattamento dei dati personali e la riservatezza era stato costretto ad intervenire per ben due volte nel tentativo di far chiarezza sulla situazione venutasi a creare a seguito della diffusione dei dati delle dichiarazioni dei redditi e lo aveva fatto, giungendo alla conclusione che l’operato dell’agenzia delle entrate e la indiscriminata pubblicazione online di tutti i dati non poteva considerarsi legittima sotto un profilo privacy.
Facile prevedere che analoga – ed anzi ancor più rigorosa alla luce delle frattanto intervenute modifiche normative – sarebbe oggi la posizione del Garante che dovrebbe, tra l’altro, rilevare che la nuova norma è incompatibile con il regime di accessibilità dei dati dei redditi degli italiani previsto dal nuovo testo dell’art. 69 del DPR 700/1973.
Come se non bastasse, probabilmente, il Garante si troverebbe costretto a ricordare che, ogni eventuale modifica, non potrebbe, in nessun caso, riguardare i dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi già trasmesse dai contribuenti giacché al momento in cui questi ultimi hanno provveduto a tale incombente, lo hanno fatto, facendo affidamento sul carattere non pubblico dei dati forniti.
Sembra, tuttavia, che, sin qui, nessuno abbia chiesto un parere al Garante con la conseguenza che, ancora una volta, si rischia un cortocircuito istituzionale per effetto del quale il Governo autorizza la pubblicazione di dati con forme e modalità che il Garante potrebbe ritenere incompatibili con la vigente disciplina sulla privacy.
Un’altra evidente conferma che a Palazzo Chigi hanno, decisamente, sottovalutato la natura e la portata della modifica normativa che il Parlamento si avvia a varare.
Sin solo alcuni spunti di riflessione ma, nelle prossime ore, una volto letto il testo dell’emendamento, sarà indispensabile avviare un dibattito ampio e ragionato su una scelta destinata a modificare sensibilmente profili ed aspetti di grande rilievo della nostra società.
Le colonne di Leggi Oggi sono, naturalmente – come di consueto – disponibili ad ospitare gli interventi e le posizioni di quanti vorranno contribuire al dibattito.
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