I reati di possibile commissione su facebook

Paola Sparano 04/02/13

Usano un falso nome come account di Facebook per divulgare foto senza veli della loro “cara” amica, con il solo scopo di metterla in piazza e farle un dispetto di pessimo gusto. Sembrerebbe che sia stata l’invidia il movente principale che avrebbe spinto due ragazze a progettare un piano di diffamazione nei confronti della loro coetanea.

Questo episodio è solo uno dei tanti che accadono periodicamente su Facebook, altri più eclatanti hanno portato addirittura alla morte delle vittime come la vicenda del ragazzino romano che si suicidò dopo essere stato schernito sul social network per la sua presunta omosessualità. I social network possono essere il primo passo verso la commissione di reati talvolta gravissimi tanto da mettere a repentaglio giovani vite e non, ma è bene sapere che qualunque attività effettuata su Internet (e di conseguenza anche su Facebook) viene registrata sui siti in cui viene eseguita (da un minimo di 3 mesi a un massimo di 2 anni, in funzione della legislazione dello Stato di origine del gestore). L’autore è, generalmente, SEMPRE rintracciabile da parte degli organi di controllo preposti (Polizia Postale, Carabinieri, Guardia di Finanza) e a seguito di un ordine di procedura da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Vi sono varie tipologie di reati consumabili su Facebook. Sono considerati reati e punibili le seguenti azioni:

– invio di materiale pubblicitario non autorizzato (spamming);

– raccolta e l’utilizzo indebito di dati personali, attività espressamente vietate dal T.U. sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003);

– utilizzo dei contatti per trasmettere volutamente virus informatici (art. 615-quinquies);

– utilizzo dei contatti per acquisire abusivamente codici di accesso per violare sistemi informatici (art. 615-quater);

– scambio di immagini pedopornografiche che integra gli estremi del reato ad es. di cessione di materiale pedopornografico (art. 600-ter);

– inviare messaggi di propaganda politica, di incitamento all’odio e alla discriminazione razziale.

Un altro reato molto frequente in rete è la diffamazione; il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione l’esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici, non ha ritenuto di mutare o integrare la normativa con riferimento ai reati contro l’onore (artt. 594 e 595 c.p.), pur essendo intuitivo che questi ultimi possano essere commessi anche per via telematica o informatica. Pensando, ad esempio, alla trasmissione di comunicazioni via e-mail, ci si rende facilmente conto che è certamente possibile che un agente, inviando messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse). Ovviamente, l’azione è altrettanto idonea a ledere il bene giuridico dell’onore anche se l’agente immette il messaggio in rete con modalità diverse.

Dottrina e giurisprudenza sono oramai concordi nel ritenere che l’utilizzo di Internet integri l’ipotesi aggravata di cui all’art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio – solo lontanamente paragonabile a quella della stampa ovvero delle trasmissioni televisive o radiofoniche – rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale. Internet è, infatti, un mezzo di comunicazione più “democratico”: chiunque, con costi relativamente contenuti e con un apparato tecnologico modesto, può creare un proprio “sito”, ovvero utilizzarne uno altrui. Poiché le informazioni e le immagini immesse nel web, relative a qualsiasi persona, sono fruibili (potenzialmente) in qualsiasi parte del mondo, il reato, di conseguenza, si consuma al momento della percezione del messaggio da parte di soggetti estranei sia all’agente che alla persona offesa (Cass. pen., n. 4741/2000).

Un problema di non poca rilevanza è quello relativo all’individuazione dei soggetti sui quali gravi la responsabilità per il fatto illecito commesso.

Risulta controversa la possibilità di configurare una responsabilità per culpa in vigilando in capo ai gestori dei siti Internet per le violazioni commesse da terzi utenti del servizio offerto.

In assenza di precise disposizioni normative che regolino specificatamente la materia in esame, la responsabilità penale dei gestori di siti internet non può essere delineata a titolo di colpa per non aver impedito la commissione dell’illecito ma solo, eventualmente, a titolo di concorso nel reato (ex art. 110 c.p.), sempre che ne ricorrano tutti i presupposti: pluralità degli agenti; elemento soggettivo (dolo), inteso come volontà effettiva di cooperare nel reato; elemento oggettivo; contributo causale al verificarsi dell’evento.

Il codice penale parla di omesso impedimento dell’evento e da qui nasce e si è ormai consolidata la figura del concorso mediante omesso impedimento del reato commesso da altri (artt. 110 e 40, co.2, c.p.). La diffamazione è un reato di evento che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all’agente ed alla persona offesa.

Altro delitto particolarmente facile da realizzare in rete è la cd. sostituzione di persona prevista dall’art. 494 c.p..

Il suo elemento distintivo è la lesione della fede pubblica, intendendosi per tale il compimento di una falsità che ha la capacità di ingannare il pubblico, cioè un numero indeterminato di persone.

L’art. 494 prevede quattro ipotesi attraverso le quali si perfeziona il reato:

1) sostituzione fisica della propria all’altrui persona, che consiste nell’assunzione di contegni idonei a far apparire la propria persona diversa da quella che è;

2) l’attribuzione a sé o ad altri di un falso nome, laddove per nome si intende uno qualsiasi dei contrassegni di identità, come il prenome, il luogo di nascita, la paternità, ecc….;

3) l’attribuzione di un falso stato, cioè la condizione complessiva della persona nella società, comprendente la cittadinanza, la capacità di agire, la potestà familiare, la condizione di coniugato, i rapporti di parentela, ecc…;

4) l’attribuzione di una qualità cui la legge collega effetti giuridici, come nel caso di chi dichiari di aver raggiunto la maggiore età, purché la qualità in questione sia essenziale per la realizzazione dell’atto giuridico.

Quindi, il delitto in questione non è a forma libera ma si realizza solo nelle ipotesi predeterminate, e si consuma con l’induzione in errore della terza persona. Ovviamente chi commette il reato lo deve fare al fine di procurare a sé od altri un vantaggio, oppure per arrecare ad altri un danno, anche se il vantaggio non deve essere necessariamente ingiusto.

Sulla base di queste premesse possiamo tratteggiare alcune ipotesi di sostituzione di persona commesse in rete. Ad esempio, la creazione di un account di posta elettronica con un nominativo diverso dal proprio può configurare il reato di sostituzione di persona purché il gestore, o gli utenti, del sito, siano tratti in inganno credendo erroneamente di interloquire con una determinata persona mentre si trovano ad avere a che fare con una persona diversa. Questo è quanto stabilisce la sentenza della Cassazione n. 46674 del 8 novembre 2007, la quale ritiene configurati tutti gli elementi del reato in una ipotesi come quella dell’esempio, cioè l’inganno, l’induzione in errore e l’insidia alla fede pubblica.

Per cui il discrimine tra la fattispecie penale della sostituzione di persona e la semplice lesione di stampo civilistico, secondo la Cassazione, si ritroverebbe proprio nel concetto di fede pubblica, in quanto l’inganno supera generalmente la ristretta cerchia di un determinato destinatario.

Ovviamente si deve anche verificare l’esistenza del danno o del vantaggio, perché sussista il reato, che nel caso specifico consisteva nelle diverse telefonate di uomini che chiedevano alla vittima del reato incontri sessuali.

È importante evidenziare, data la facilità con la quale in rete si può creare una personalità virtuale, che un elemento essenziale, dal quale non si può prescindere, per realizzare il reato di sostituzione di persona è la presenza di un dolo specifico, appunto consistente nel perseguimento di una finalità di vantaggio, proprio od altrui, o di un danno altrui. L’assenza di questi elementi, però, potrebbe comunque costituire altro tipo di reato, come l’accesso abusivo ad un sistema informatico.

Dalle questioni affrontate emerge chiaramente quanto sia estremamente difficile regolare per legge un mondo in continua mutazione come Internet, dove coesistono molti format differenti e dove occorrerebbe tracciare un confine per individuare cosa e come dovrebbe essere assoggettato ad una regolamentazione. Data la sostanziale difformità del mezzo utilizzato, che presuppone una libertà enorme non solo per quanto riguarda l’accesso e la fruizione dei contenuti, ma anche l’utilizzo con finalità divulgative, sarebbe opportuno adottare una linea estremamente cautelativa nell’estendere al mondo di Internet quei controlli e garanzie attuate nel più tradizionale mondo dell’informazione.

Paola Sparano

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