Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. III, Ord. 20/04/2023, n. 10686) è destinata a rivoluzionare il settore delle autoriparazioni in ambito di responsabilità civile auto.
Già in passato ci siamo occupati delle cosiddette “riparazioni antieconomiche“, ovvero di quei casi in cui il costo per riparare un mezzo danneggiato a seguito di incidente stradale risulta essere superiore al valore di mercato del mezzo stesso.
La regola generale prevista dal Codice Civile dispone che il danneggiato possa chiedere “la reintegrazione del danno in forma specifica” – cioè che la compagnia di assicurazioni rimborsi le spese di riparazione – “qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente” – cioè che la compagnia sia tenuta a pagare soltanto l’effettivo valore del mezzo – “se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa”.
Si tratta di una regola fondamentalmente e astrattamente di buon senso: se riparare un bene costa più di quanto vale il bene stesso, il debitore tenuto a risarcire il danno può liberarsi del suo obbligo mettendo a disposizione il valore di quest’ultimo.
Tale regola generale e astratta, però, diventa di difficile applicazione nel caso concreto del risarcimento al danno auto.
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Il punto cruciale di tutta la faccenda è proprio comprendere quando sia “eccessivamente oneroso” per il debitore, nel nostro caso la compagnia di assicurazioni, rimborsare le spese di riparazione piuttosto che pagare il valore del mezzo. Quest’ultima variabile risulta già di per sé di difficile determinazione, posto che il mercato delle auto usate è soggetto a costanti oscillazioni. Inoltre, è anche difficile stabilire in ciascun caso concreto il valore di mercato esatto di questa particolare tipologia di beni.
Basti considerare che a parità di caratteristiche tecniche, chilometraggio ed età, due autovetture potrebbero avere, sulla carta, lo stesso valore di mercato. Ma se una delle due è oggetto di manutenzioni e controlli costanti, mentre l’altra ha magari dei problemi meccanici o è soggetta a guasti per il cattivo utilizzo che ne fa il proprietario, evidentemente il valore effettivo potrebbe essere molto diverso.
Le compagnie, inoltre, utilizzano come riferimento listini con valori commerciali dell’usato costantemente sbilanciati al ribasso (i cosiddetti “mercuriali”), tali da comportare differenze di stima fatalmente incolmabili nel concreto.
Ebbene, la Cassazione in passato aveva già avuto modo di pronunciarsi su questo annoso problema. Solo un anno fa gli ermellini avevano stabilito che la compagnia ha facoltà di risarcire il valore di mercato del bene e non le spese di riparazione “allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo” (Corte Cassazione, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10196 del 30/03/2022).
L’aggiunta dell’avverbio “notevolmente” appariva, però, problematico. Quanto più alto deve essere l’importo della fattura di riparazione per consentire di ritenerla comunque una spesa non antieconomica per la compagnia?
A questo proposito va ricordato che, anche laddove l’obbligo risarcitorio della compagnia possa riferirsi al solo valore di mercato del mezzo e non al costo per la riparazione, è possibile correlare a tale partita di danno tutta una serie di voci accessorie che ben potrebbero far lievitare l’esborso finale ben oltre l’importo della fattura del carrozziere.
Infatti, se l’auto viene rottamata dal proprietario (proprio perché il costo di riparazione non gli viene risarcito), tutte le relative spese accessorie devono essere parimenti ristorate, compresi gli eventuali costi burocratici per l’acquisto di un veicolo in sostituzione (passaggio di proprietà o nuova immatricolazione). Pertanto una valutazione dell’eventuale antieconomicità va fatta sul risarcimento dovuto complessivamente, non sulla sola voce relativa alla fattura di riparazione.
Con l’ordinanza dello scorso aprile, la Cassazione però è andata anche oltre. Ha precisato, infatti, che il criterio per stabilire il limite entro il quale il costo di riparazione non può considerarsi antieconomico deve identificarsi nell’eventuale aumento di valore del mezzo dopo la riparazione.
In sostanza il costo di riparazione, qualunque esso sia, sarebbe antieconomico per la compagnia soltanto nel caso in cui il mezzo, una volta riparato, dovesse avere un valore più alto rispetto a quanto valeva prima del sinistro.
In questo caso si verificherebbe un indebito arricchimento del danneggiato, che ha sì diritto ad essere risarcito, ma non ad avere nel proprio patrimonio un bene che vale più di prima.
In realtà, chi conosce questo settore sa che i casi in cui si verifica tale situazione sono molto rari, quasi di scuola. Un’auto aumenta di valore una volta riparata se la riparazione stessa riguarda parti “vitali” del mezzo, soggette a specifica usura come il motore o il cambio. Sembrerebbe, quindi, che questa decisione della Cassazione costituisca un “via libera” alla riparazione sempre e comunque (o quasi) delle auto incidentate a seguito di incidente, senza che le compagnie, di fatto, possano eccepire un eccesso di onerosità a proprio carico.
Insomma, una vera e propria rivoluzione. Ma quanto durerà?
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