Diritto di sciopero: alcune critiche all’attuale sistema

Il diritto di sciopero nacque, seppur bisogni riconoscere che ci troviamo presenza di varie tesi ed interpretazioni, allorquando il secolo ‘800 iniziò a convergere verso il secolo ‘900.  L’Italia, come la Francia ad esempio, ha vissuto simbioticamente a tutti gli Stati moderni – che magari troppo moderni non erano ancora – la fase che ha portato alla nascita del diritto di sciopero. Il fatto di essere nato così tardi, per i francesi, fa del diritto di sciopero un diritto “di seconda generazione”, per distinguerlo dai quei diritti, come la proprietà, che vennero studiati da almeno due millenni prima.

Lo sciopero in Italia era considerato reato fino al codice penale Zanardelli (1889), ed anche dopo quel codice penale non è stato pienamente compreso fino al 1904, quando la Camera del Lavoro di Milano organizzò uno sciopero generale (di tutte le categorie lavorative) per partecipare ad una discussione politica di quel momento.

Magari non si chiamava ancora “sciopero politico”, visto che quello che importava a tutti all’epoca erano solo le condizioni economiche, ma le categorie che sono venute nella seconda metà del ‘900 per classificare gli scioperi sono state illustrate per rappresentare l’esistente, quindi nessuna sorpresa se adesso lo sciopero venga chiamato “bianco” o “a singhiozzo” – ed in decine di altri modi differenti – o “economico” o “politico”: la sostanza del concetto di sciopero nacque fin da quando lo sciopero non venne più punito penalmente ma conservava in capo al datore un legittimo potere di ritorsione verso gli scioperanti.

Il diritto di sciopero è ancora giovanissimo, ed in piena pubertà, al punto che qualunque cosa si possa scrivere su di esso difficilmente potrebbe trovare autorevoli smentite. Tutto ciò a maggior ragione se adesso, ma solo in Italia, ci siamo trovati tutti a dover riflettere persino sul diritto di sciopero dei liberi professionisti (nel caso particolare gli avvocati) che fin dagli anni ’90 hanno iniziato ad avvalersi anch’essi di una cosa che hanno chiamato diritto di sciopero, nonostante, per forza di cose, sia più simile alla serrata che non allo sciopero.

Sembrerebbe un impasse destinato a sopravvivere per decenni questo della capacità legale di scioperare, ma, forse, se consideriamo chi ha voce e chi non avrebbe, senza lo sciopero, voce, il ragionamento potrà non risolversi ma semplificarsi, nella speranza che una soluzione possa arrivare entro non troppi decenni. Il corpo legislativo sembra destinato ad essere composto per larga parte di avvocati, cosa che può escludere da subito la titolarità degli avvocati a svolgere uno sciopero. Così come si può essere certi, non foss’altro perché quando succede se ne sente parlare dai media, che il lavoro subordinato semplice non troverà mai rappresentanza e voce. Un operaio ha più titolarità del diritto di scioperare di un avvocato, perché senza lo sciopero, altrimenti, non troverà mai voce. A ragione maggiore in un universo sociale che dipende troppo da poteri non occulti ma neanche troppo appariscenti (sottopoteri). In simile ambiente anche la voce diventa passibile di diventare voce altrui, e diventa possibile qualunque ipotesi ricostruttiva che tenti di scavare un po’ più a fondo del normale, per cui, pur nella coscienza che una voce può venire sia da un potere perfettamente responsabile che da un sottopotere, non si può non partire dalla apparenza, e restando sull’apparenza, o sull’icona, è chiaro che ci sono lavoratori per i quali lo sciopero ha più importanza che per altre. Chiaro come il fatto che la nostra disciplina sullo sciopero stia mostrando le prime crepe a distanza di 22 anni dalla sua emanazione, visto che i lavoratori subordinati, almeno in Italia, hanno mostrato molta responsabilità durante la crisi presente (compresa la CGIL) nell’utilizzare questo diritto e, nel contempo, si sono affacciate altre categorie che hanno mostrato, invece, una certa aggressività nell’utilizzare quel diritto. La Corte Costituzionale Italiana è intervenuta dopo poco tempo dall’emanazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (entro cui era compresa anche la giustizia) per disciplinare, pur trattando la legge sullo sciopero anche lo sciopero dei liberi professionisti, lo sciopero degli avvocati, stralciandone l’astensione collettiva dal novero degli scioperi a cui fa riferimento la Costituzione e, conseguentemente, la legge sullo sciopero italiana (L 146/1990).

Rimane che l’astensione dal lavoro (in Italia come nel resto dell’Occidente, ingranditosi) è ancora un ambito quasi privo di disciplina, ed altresì che l’organo che è disceso in Italia dalla disciplina sullo sciopero – la Commissione di Garanzia – debba essere per forza investito di nuovi e più risolutivi poteri, visto che, finita la crisi, non si faranno passi in avanti sociali, ma si ritornerà alla normalità, una normalità che nel frattempo si è arricchita di nuove è più raffinate necessità.

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Gregorio Marzano

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