Quirinale: tutte le regole. Come verrà scelto il prossimo Presidente

E’ iniziato il conto alla rovescia per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con ogni probabilità, chi diventerà il successore di Giorgio Napolitano sarà l’inquilino del Colle che traghetterà il paese nella Terza Repubblica, al di fuori da questo periodo gravido di incertezza. Ecco le regole con cui verrà scelto il nuovo Capo dello Stato.

Innanzitutto, le date: le Camere sono convocate per il prossimo lunedì 15 aprile in seduta comune dal Presidente di Montecitorio Laura Boldrini, al fine di avviare le procedure per la votazione, che dovrebbe aprirsi, infine, con ogni probabilità, giovedì 18. Diversamente dalle precedenti occasioni, insomma, si è deciso di chiamare a raccolta i grandi elettori nel primo giorno utile secondo Costituzione, cioè 30 giorni in anticipo rispetto alla scadenza del mandato dell’attuale Presidente. A suggerire l’accelerazione, senza dubbio, il quadro politico paralizzato in attesa di conoscere il nuovo garante della Carta fondamentale per poi sbizzarrirsi su elezioni, alleanze e governicchi.

A trovarsi riuniti a Montecitorio, la prossima settimana, saranno dunque 630 deputati, 319 senatori e 58 delegati regionali, scelti dai singoli enti in rappresentanza delle comunità locali. Totale: 1007 esponenti del mondo politico su cui grava la responsabilità di operare la scelta del prossimo Capo dello Stato.

Ogni assemblea regionale esprimerà tre “ambasciatori” ad eccezione della Val d’Aosta che ne invierà a Roma soltanto uno. La prassi vuole che, di questi, due siano espressione della coalizione di maggioranza, mentre uno debba essere indicato dalle opposizioni.

I numeri in parlamento, però, dicono che la fumata bianca tarderà ad arrivare. Le prime tre votazioni, infatti, richiedono il superamento dei due terzi dell’intero consesso, cioè 672 preferenze. Una soglia che, allo stato attuale, nessuno tra i cosiddetti “favoriti” può sperare di raggiungere al primo colpo.

I giochi cambiano sensibilmente, però, a partire dalla chiama numero quattro: di lì in avanti, infatti, per proclamare il nuovo Capo dello Stato sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei votanti: cifre alla mano, il numero magico è quello di 504. Tanti, con tutta probabilità, saranno i voti necessari alla personalità che verrà insignita del compito di guidare la Repubblica italiana fino al 2020.

E veniamo ai rapporti di forza tra i partiti. Secondo i calcoli, la coalizione di centrosinistra Pd + Sinistra, Ecologia e Libertà nel solo Parlamento può fare affidamento su 468 esponenti, cioè 345 deputati e 123 senatori. A questi, vanno aggiunti poi i 27 delegati regionali che vengono stimati per lo schieramento di Bersani e Vendola: la somma alza l’asticella a 495, non abbastanza per esprimere un candidato vincente.

Qui, arriverà, con tutta evidenza, un supporto da qualche forza esterna. I principali indiziati, sono Scelta civica, che può vantare 71 elettori sotto il proprio stemma, o il MoVimento 5 Stelle, in attesa di un bottino magro dalle Regioni (solo 2 delegati), ma con l’esercito di parlamentari seguito al boom elettorale (163 eletti). Insomma, un presidente espresso da montiani e centrosinistra, otterrebbe un totale di 566 voti, superiore a quanti, nel 2006, scelsero Giorgio Napolitano, che si fermò a quota 543. In maniera ancora più larga, poi, un candidato comune tra Pd, Sel e grillini riscuoterebbe un massimo di 659 preferenze, appena sotto il quorum dei due terzi.

Ipoteticamente, dunque, centrosinistra, Monti e Grillo avrebbero in pugno i voti necessari per eleggere un Capo dello Stato anche al primo scrutinio, ma le bizze degli ultimi giorni tra gli schieramenti lasciano supporre che un miracolo di questo genere non si realizzerà. Più facile che gli schieramenti finiscano per studiarsi nelle prime votazioni, magari con qualche candidato “spaventapasseri”, in grado di aprire la strada a qualche nome più condiviso nelle votazioni decisive.

Di fronte a questi rapporti di forza, la certezza granitica resta una sola: Berlusconi non ha in pugno i numeri per imporre un proprio candidato all’arco parlamentare, anche nell’eventualità che Scelta civica preferisca allearsi con il Cav rispetto al centrosinistra. Malgrado il chiasso che esponenti del centrodestra stanno facendo intorno alla corsa al Quirinale per lanciare qualcuno dei propri favoriti, insomma, Pdl e Lega si troveranno costretti a fare i conti con le posizioni degli avversari e a cercare una mediazione. Una tattica che a Berlusconi, come noto, non è mai piaciuta.

 

Francesco Maltoni

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