Provincia alzati e cammina!

Massimo Greco 13/01/17

Con la mancata espunzione delle Province dalla Carta costituzionale in tanti si stanno chiedendo se assisteremo ad un effetto Lazzaro per le sopprimende Province e quali potranno essere i riflessi sull’ordinamento a seguito della riforma operata, in combinato disposto, dal legislatore statale (legge Delrio) e da quello siciliano (legge Crocetta-Giletti).

A nostro parere non si avranno effetti importanti, atteso che la riforma dell’ente intermedio è stata comunque varata e praticata a Costituzione invariata. Con la legge 56/2014 (Delrio) il legislatore statale ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica con particolare riferimento agli enti di area vasta auspicandone il completamento attraverso la soppressione delle Province dall’art. 114 della Costituzione che, invero, le prevede quali enti costituzionalmente necessari.

La riforma statale

La riforma statale ha quindi sostituito le dieci Province più grandi con altrettante Città metropolitane, svuotando di funzioni amministrative le restanti. L’operazione è stata benedetta dalla Corte costituzionale che ne ha acclarato la conformità alla Costituzione, pur non mancando di avvertire l’esigenza del completamento del disegno riformatore attraverso l’adozione di coerenti norme di rango costituzionale, le uniche in grado di espungere le Province dall’art. 114 della Costituzione.

E’ evidente che l’effetto della mancata approvazione dei quesiti referendari, per la parte qui d’interesse, sarà quello di mantenere in vita (chissà per quanto tempo ancora), cioè sulla carta (costituzionale), dei contenitori semi-vuoti, privati di funzioni amministrative, risorse umane e risorse finanziarie.

Il profilo ordinamentale

Sotto il profilo ordinamentale non vi saranno altri effetti, neanche sulla contestata forma di governo attraverso l’elezione di 2° grado degli organi, visto che la natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’art. 114 Cost., come “costitutivi della Repubblica”, ed il carattere autonomistico ad essi impresso dall’art. 5 Cost. non implicano l’automatica indispensabilità che gli organi di governo delle Province siano direttamente eletti.

Con la citata decisione della Corte costituzionale è stata infatti esclusa la totale equiparazione tra i diversi livelli di governo territoriale e si è evidenziato come proprio i principi di adeguatezza e differenziazione, comportino la possibilità di diversificare i modelli di rappresentanza politica ai vari livelli.

La questione siciliana

Diversa e, paradossalmente, più semplice è la questione siciliana, considerato che nell’ordinamento regionale l’ente intermedio non è stato mai concepito nella forma giuridica di ente territoriale di governo ma di libero Consorzio comunale, cioè di ente strumentale e funzionale dei Comuni. La stessa legge regionale n. 9/86 istitutiva delle Province regionali è stata (non solo da noi) considerata un’ardita manovra legislativa per aggirare, ultra statutum, l’art. 15 dello Statuto siciliano che, ancora oggi, non contempla né le Province né, le più fortunate, Città metropolitane.

Pertanto, la mancata soppressione delle Province dalla Costituzione ad opera del celebrato referendum non avrà alcuna rilevanza sul piano dell’assetto istituzionale regionale se non quella di confermare una regola di Indro Montanelli che dovrebbe valere per coloro che si apprestano ad esercitare il nobile potere legislativo: “In Italia si può cambiare soltanto la Costituzione. Il resto rimane com’è”. I cittadini dovrebbero invece attenersi alla regola di Otto Von Bismarck per il quale “Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte”.

Massimo Greco

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