Ritengo, però, sia utile un’attenta riflessione su questo rinvio operato dal giudice delle leggi. A me sembra che, nel caso specifico, siamo in presenza di un decreto del Presidente con scopi meramente dilatori, ossia finalizzato a differire il più possibile questioni scomode e dal forte impatto politico-istituzionale. In base al principio che regola l’attività della Corte costituzionale, la corrispondenza tra quello che è richiesto e quello sui cui verte la decisione, nulla impediva al giudice delle leggi di assumere una decisione su aspetti come quello della natura dell’ente e delle funzioni che, sul piano normativo, sono già consolidati. Infatti, l’ultimo decreto-legge del Governo Monti sul riordino, approvato nell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri, non incide né sulla qualificazione giuridica delle Province, quali articolazioni della Repubblica con rappresentanza politica di secondo grado (se non in relazione al numero dei consiglieri provinciali), confermando in questo modo l’impianto del salva Italia (decreto-legge n. 201/2011), né interviene sulla titolarità delle funzioni statali e regionali, ma oggi delegate alle Province, che dovranno essere riallocate a livello comunale.
Proprio la mancanza di una decisione in materia da parte della Corte, sebbene perfettamente legittima sotto il profilo procedurale, avrebbe in realtà aiutato a fare chiarezza circa le diverse problematiche emerse in questi mesi, collegate agli interventi normativi dell’Esecutivo e, forse, avrebbe consentito al legislatore di capire quali limiti, se la Corte li avesse ravvisati, non possono essere oltrepassati dalle fonti interne subordinate alla Costituzione quando mettono mano all’ordinamento degli enti locali.
Peccato, perché sarebbe stata una bella occasione.
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