I grandi dubbi dell’Umanità si sono arricchiti, in questi giorni, di un nuovo inquietante quesito esistenziale: quanto si risparmia dall’accorpamento delle province?
E’ una domanda che si pone anche lo stesso autore dell’accorpamento, cioè il Governo che ha adottato il decreto-legge (il terzo sulla questione, come se l’intervento delle province salvasse davvero l’Italia dalla crisi economica). Nel comunicato stampa di accompagnamento del decreto, infatti, si legge: “Al termine di questo processo sarà possibile calcolare gli effettivi risparmi che comporterà l’intera riforma”. Poi, il Ministro Patroni Griffi, grande artefice del riordino ha chiarito che sarebbe stato il Ministro Giarda, prima della fine del processo evidentemente, a indicare i benefìci della riforma.
Sta di fatto, comunque, che sugli effetti concreti, cioè il risparmo, non può che rimanere una fitta nebbia.
Lo dimostra la circostanza che nessuno dei tre interventi normativi sin qui adottati abbia mai inserito nel bilancio la previsione nemmeno di un cent di risparmi. L’unica vaghissima stima la fecero i servizi studi di Camera e Senato in merito al d.l. 201/2011, chiarendo che dall’eliminazione degli organi di governo in metà delle province, se accorpate, sarebbe giunto un risparmio di 65 milioni di euro, pari alla metà circa del “costo della politica” delle province, 130 milioni (quanto il costo di un solo consiglio regionale, al netto di ostriche e champagne; poco più del costo di un aereo F35).
Il debito pubblico dell’Italia è di quasi 2 mila miliardi. La manovra sulle province è stata stimata dal Parlamento incidere, potenzialmente, per 65 milioni.
Considerare insignificante il risultato è già eufemistico. L’incidenza sul costo puro della politica, comunque, effettivamente è molto limitato.
Il decreto legge sortisce un effetto immediato di risparmio, perché azzera dal gennaio 2013 tutte le giunte provinciali. A una media di 10 assessori, per 110 province, per 4000 euro lordi al mese il risparmio sarebbe di 53 milioni di euro circa, ma occorre escludere le province delle regioni a statuto speciale, per cui il conto si deve fare su 85 province e va a 41 milioni circa.
Seguirà, poi, dal 2014 l’eliminazione dei costi del presidente e dei consiglieri, in quanto già percettori delle indennità presso i consigli comunali, per giungere ai 130 milioni circa di risparmi a regime.
Una goccia nell’oceano delle spese pubbliche, resa, probabilmente, un po’ più pingue da ulteriori possibili risparmi, comunque difficili da quantificare con precisione.
E’ evidente che eliminate le giunte e gli assessori, dovrebbero essere simmetricamente eliminati gli “uffici di staff” degli assessori. Impossibile stimare il numero preciso di “segretari” addetti: molti sono con contratti a tempo indeterminato, altri operano con forme flessibili. Il rapporto non dovrebbe essere di uno ad uno; è possibile stimare un rapporto di un addetto di staff assunto con forme flessibili ogni 4 assessori. Il numero di questi dipendenti, dunque, è stimabile in 200, con uno stipendio lordo nella media di quello degli enti locali, circa 30.000 euro annui, l’ulteriore risparmio si aggirerebbe intorno ai 6 milioni di euro.
Allo stesso modo, dovrebbero ridursi drasticamente i dirigenti “a contratto”, assunti per “via fiduciaria” dagli organi di governo delle province: il processo di accorpamento rende oggettivamente ingiustificabile la permanenza di dirigenti a tempo determinato, considerando che le fusioni delle province rafforzeranno la dotazione dei vertici amministrativi. Il numero, anche in questo caso, dei dirigenti interessati non può essere elevatissimo, qualche decina, poniamo 50, per una media di 70 mila euro lordi l’anno, sono circa altri 3,5 milioni di risparmi. Immaginando qualche “auto blu” in meno, qualche spesa inferiore per comunicazione e stampa e per la logistica, è immaginabile giungere ad altri 20 milioni di risparmi.
Insomma, il risparmio “puro” dall’accorpamento delle province si aggira tra i 160 e i 200 milioni di euro, conseguibili non prima del 2015.
Non un granchè davvero come risultato. Non cambia sicuramente le sorti della finanza pubblica italiana.
Nè può seriamente bastare la “funzione simbolica”, salvo per coloro che sono illusi che un “segnale” sia utile per ritrovare un lavoro perso, chiudere con tranquillità la fine del mese, avvalersi di servizi sociali efficaci.
Nè ingannino conti differenti che verranno proposti per far salire la stima dei risparmi verso i 500 milioni annui. Simili stime considerano anche gli effetti finanziari derivanti dall’accorpamento degli uffici periferici dello Stato: prefetture, uffici finanziari, direzioni provinciali del lavoro, uffici scolastici. Risparmi che era perfettamente possibile ottenere senza minimamente intaccare l’assetto ordinamentale delle province, poichè lo Stato è autonomo e può riorganizzare i propri uffici come crede, senza che per l’esercizio di simile autonomia vi sia il minimo condizionamento della dimensione geografica delle province. In altre parole, lo Stato potrebbe risparmiare riorganizzando i propri uffici senza per questo intaccare le province.
In ogni caso, mentre le province sono obbligate per legge ad accorparsi, allo stato nulla obbliga lo Stato a fare altrettanto con le proprie strutture perifieriche. La previsione, in merito, della spending review è del tutto generica e rinvia a provvedimenti attuativi che potrebbero anche non non vedere mai la luce. E, oggettivamente, appare ben difficile che alla fine gli accorpamenti degli uffici statali non si riducano a mera forma. L’eventualità che restino presìdi territorialiali degli uffici periferici statali è più che probabile, vista l’estensione mostruosa di alcune nuove province (quella Rovigo-Verona andrà dalla punta nord del Garda fino all’Adriatico), sicchè verosimilmente i risparmi stimati non ci saranno mai.
Resta solo da stimare l’effetto della manovra sul personale. Le stime pubblicate da Il Sole 24 Ore il 6 novembre sono poco fondate. Si parla di possibili 12.000 esuberi, partendo dal presupposto che tutto il personale delle province accorpate non destinate a divenire capoluogo sia in eccedenza. Le cose non sono per nulla così. Anche se indubitabilmente conseguenze sul personale la manovra ne avrà certamente.
Qui, un’ultima annotazione. La stima di 12.000 lavoratori in possibile rischio esubero, per quanto eccessiva, rivela un problema occupazionale potenziale di enorme portata. Quando nel 2008 la crisi Alitalia giustamente destò molte preoccupazioni su questo versante ed indusse lo Stato ad intervenire con una spesa di 5 miliardi, i posti di lavoro in pericolo erano 7000.
Evidentemente la campagna di odio verso i dipendenti pubblici, condotta con particolare veemenza dall’ex ministro Brunetta e quella virulentissima in atto contro le province autorizza tutti ad infischiarsi del potenziale effetto occupazionale disastroso che potrebbe derivare dal “riordino”.
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