Il 31 ottobre sono state fatte altre audizioni quindi si passerà all’esame del testo e degli emendamenti.
Il tema della riforma delle Autonomie, e delle Province in particolare, continua ad occupare ampi spazi della politica e dell’informazione.
Simpatizzanti osannanti, giornalisti accondiscendenti: ecco il tema che scalda i cuori, che rende un politico – soprattutto se ambizioso – innovatore e riformatore: le Province vanno abolite.
Non importa se viene calpestata la Costituzione; non serve ricordare che sarebbe necessaria una visione organica delle riforme, che nulla è detto veramente su funzioni, risorse, personale, patrimoni; chiedere un serio approfondimento significa essere per la conservazione, nel senso più spregiativo del termine.
Non serve ricordare la coerenza, come valore per un politico, a quanti oggi, presi dal fuoco del cambiamento, dimenticano ruoli, dichiarazioni, funzioni esercitate appena pochi anni prima.
Così chi aspira ad essere leader del Paese arriva addirittura a respingere, con sicumera, anche l’appello di illustri costituzionalisti per un approfondimento più attento del tema: “Subito via le Province, io dell’appello dei costituzionalisti non so che farmene. Riduciamo i posti della politica, non è un dramma se qualche politico torna a lavorare”. E giù applausi!
Ecco, appunto: è questo il modo più semplice per raccogliere consensi ed applausi.
Chi oggi non è d’accordo con chi propone la riduzione dei “posti della politica”? Dei “posti” si badi bene, non dei costi!
Lo sanno bene i maggiori quotidiani, che colgono al volo l’occasione di fare da cassa di risonanza a dichiarazioni di largo e facile consenso.
Per dare un’idea basta legge l’intervista rilasciata dal Ministro Delrio al quotidiano Repubblica pubblicata il 28 ottobre, tanto rilevante da meritare l’apertura, che titola “Delrio: Via allo svuota-Province entro la fine dell’anno le aboliremo”. Cosa evidentemente impossibile e non vera, in quanto il disegno di legge Delrio “svuota-Province” non sopprime le Province, se non in caso di istituzione delle Città Metropolitane che subentreranno alle rispettive Province, ma le modifica in Enti di secondo grado, i cui organi cioè non saranno più eletti direttamente dai cittadini, ma dagli amministratori dei Comuni ed interviene sull’attuale assetto delle funzioni.
Preoccupa ancora di più il fatto che ad essere colti da tanto furore non sono solo candidati in campagna elettorale, ma anche Ministri.
“Ho visto che ci sono 44 costituzionalisti che giudicano il decreto di riforma degli Enti Locali, che porta il mio nome, incostituzionale. Rispondo – ha dichiarato il Ministro Delrio – affermando che gli esperti che abbiamo utilizzato noi per redigere il testo del provvedimento lavorano per la Presidenza della Repubblica, e forse sono più autorevoli dei 44 firmatari dell’appello”.
Dunque l’autorevolezza di giuristi e costituzionalisti oggi si misura non tanto per i contenuti e le argomentazioni esposte, quanto per le conclusioni cui essi giungono!
Poco importa se l’appello alle Commissioni Affari Costituzionali e ai Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica “Per una riforma razionale del sistema delle autonomie locali”, tanto vituperata dal Ministro e dal futuro candidato premier, sia stata sottoscritta anche da autorevoli giuristi – Pietro Ciarlo, Mario Dogliani, Valerio Onida – componenti della Commissione per le Riforme Costituzionali nominata dal Presidente del Consiglio a cui si riferisce il Ministro.
Poco importa se nella relazione finale della Commissione non vi sia una posizione univoca ma solo “un’opinione prevalente che riflette sostanzialmente l’orientamento già emerso in ambito governativo che, nello stabilire la soppressione delle Province, demanda allo Stato (per i princìpi) e alle Regioni (per la loro attuazione) la disciplina dell’articolazione di enti di area vasta per la gestione e il coordinamento delle funzioni che insistono sul territorio regionale”, senza ulteriore approfondimento.
Un approfondimento serio che si trova invece nella riserva, contenuta nella stessa relazione, del prof. Onida e nell’appello dei 44 costituzionalisti.
Ma le opinioni giuridiche sono autorevoli e da rispettare solo se coincidono con l’orientamento del Governo.
Se esprimono opinioni diverse sono irrilevanti e costituiscono un ostacolo al percorso di riforma.
Non contano i dati sui reali costi della riforma, documentati e divulgati da tempo, provenienti dal Ministero dell’Economia e dalla Corte dei Conti.
Non rilevano le analisi sull’ambito ottimale di gestione delle competenze, sull’esigenza di un Ente di area vasta, su cui concordano tutti, compreso il Ministro.
La riforma va fatta perché è stata annunciata e promessa.
Poco importa se dalla riforma non ci saranno risparmi. “Con riferimento agli effetti economico-finanziari determinati dal presente provvedimento va evidenziato che non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” si legge nella relazione tecnica del disegno di legge Delrio.
Eppure il Ministro, in audizione alla Camera, per smentire i dati elaborati e diffusi dall’UPI, afferma che ci saranno risparmi per 2,5 miliardi di Euro, senza ulteriori precisazioni.
Perché non precisarlo nella relazione tecnica al disegno di legge che invece correttamente esclude soltanto “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
E’ vero infatti che l’unico studio di fonte governativa è il rapporto-Giarda, che parlava al massimo di 500 milioni, tenendo conto anche dell’accorpamento e del riordino degli uffici periferici dello Stato operanti nelle Province, riordino che il ddl Delrio espressamente non prevede.
“Non voglio fare demagogia ma risparmiando solo sugli stipendi di 4200 amministratori delle Province, che valgono 110 milioni di euro l’anno, potremmo creare circa 11mila posti in più negli asili”, ha spiegato il Ministro in Commissione alla Camera.
Invece è proprio demagogia, perché i costi non sono di 110 milioni, ma meno della metà, se si tiene conto – cosa che il Ministro evita appositamente di fare – della futura composizione degli organi delle Province che deriverebbe dall’applicazione dell’art. 15 comma 5 del D. L. 13 agosto 2011 n. 138, convertito in Legge 14 settembre 2011 n. 148 “A decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle Province successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto è ridotto della metà”. Una norma mai applicata a seguito del commissariamento delle Province derivante dal decreto “salva Italia” del Governo Monti.
L’ammontare di 110 milioni deriva dal computo complessivo della spesa antecedente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 184, della Legge191/2009, modificato dal D. L. 2/2010, che ha disposto la riduzione del 20 per cento del numero dei consiglieri provinciali e, conseguentemente, delle giunte provinciali.
Alla riduzione del 20 per cento, andrebbe aggiunto il dimezzamento disposto dal D. L. 138/2011. Per esemplificare: una Provincia con popolazione superiore a 700.000 abitanti, che nel 2010 aveva un Consiglio Provinciale di 36 componenti, in caso di nuove elezioni provinciali avrebbe un Consiglio composto da 14 consiglieri. La Giunta Provinciale passerebbe da un massimo di 12 assessori previsti nel 2010 ad un massimo di quattro assessori.
Parliamo dunque di una spesa massima non di 110 milioni di euro ma di 44 milioni di Euro per gli organi di tutte le Province italiane.
Ma la demagogia supera anche i dati reali e inconfutabili.
Poco importa se non risulta dimostrata l’efficienza che dovrebbe derivare dalla nuova allocazione delle competenze, se prolifereranno le Unioni dei Comuni che finora non hanno dato grande prova di funzionalità, se il risultato finale dell’approvazione del disegno di legge Delrio sarà quello di avere diversi organizzazione ed assetto di competenze nel territorio nazionale, sulla base delle città metropolitane e ulteriore confusione, in quanto anziché semplificare si aggiunge un ulteriore livello di governo, le Unioni di Comuni.
Prima va fatta la riforma afferma il Ministro in un intervista a Repubblica, “poi vedremo il patrimonio. Saranno le stesse assemblee dei sindaci a decidere di volta in volta quali competenze e quali cose affidare alle amministrazioni locali e quali invece lasciare alla nuova Provincia come agenzia intercomunale. Tutto questo richiede naturalmente una forte volontà politica”.
Può essere questa la visione di una riforma di tale portata? Poi vedremo!
Poco importa se contrariamente a quanto afferma il Ministro – “non dimentichiamo che l’abolizione delle Province faceva parte anche del programma elettorale di Pierluigi Bersani” – in realtà nel programma elettorale del PD pubblicato il 12 febbraio 2013 si legge:
Riordino di regioni, province, unioni dei comuni e città metropolitane, con riduzione dei centri di responsabilità politica e dei costi correlati;
Completamento del riordino delle province come intelaiatura forte e solida di tutto il sistema delle PA, con funzioni proprie e funzioni delegate dalle regioni legate alle politiche di area vasta e di governo del territorio;
Superamento di enti, agenzie, consorzi, ambiti che svolgono funzioni gestionali e che si frappongono fra regioni e province;
Riorganizzazione del sistema istituzionale locale imperniato sui comuni per funzioni che abbiano al centro la persona, la famiglia, la comunità. Superamento della frammentazione localistica con l’organizzazione in Unioni di servizi efficaci, efficienti ed economici.
Poco importa se solo pochi giorni fa sono stati resi noti i dati riferiti alle società partecipate e agenzie varie di Stato, Regioni e Enti Locali: circa 7.800; oltre 19.000 consiglieri di amministrazione; 15 miliardi solo di stipendi per oltre 300.000 addetti; e che molte delle funzioni svolte dalle varie partecipate potrebbero essere gestite direttamente da Regioni, Province e Comuni, così sfoltendo immediatamente – senza alcuna necessità di riforme costituzionali – presidenti e consiglieri di amministrazione, non eletti dal popolo, ma nominati dalla politica. E con risparmi immediati e tangibili.
Eppure per il Governo il problema sono le Province.
Da tempo sottolineiamo che bisognerebbe partire dalle competenze e quindi ad una riforma organica del sistema, sulla base di quattro punti fondamentali:
1. Valorizzazione dell’autonomia come responsabilità. Comuni e Province e Città Metropolitane devono essere considerati come enti di governo delle rispettive comunità, titolari di una sfera di autonomia riconosciuta direttamente dalla Costituzione.
2. Riconoscimento di centralità e pari dignità dei soggetti costitutivi della Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost. senza alcuna gerarchia, ma semmai qualificando i ruoli istituzionali dei diversi soggetti del sistema. Da qui, allora, la necessità che il ruolo delle Regione si limiti al carattere legislativo e programmatorio, mentre l’amministrazione e la gestione dei servizi pubblici deve essere incentrata sulle amministrazioni comunali e provinciali.
3. Chiarificazione delle funzioni dei diversi soggetti del sistema, che sono poi l’aspetto che comporta la maggiore spesa ed i maggiori costi, evitando sovrapposizione di interventi sulla medesima materia. La nuova Carta delle Autonomie, il cui esame si è bloccato nel corso della passata legislatura, dovrebbe essere la base fondamentale di una vera riforma, fuori dagli slogan e dalle proposte demagogiche.
4. Eliminazione di tutti gli Enti intermedi non elettivi. Molte delle funzioni svolte dalle varie partecipate potrebbero essere gestite direttamente da Regioni, Province e Comuni, così sfoltendo immediatamente – senza alcuna necessità di riforme costituzionali – presidenti e consiglieri di amministrazione, non eletti dal popolo, ma nominati dalla politica. Con risparmi che andrebbero ben oltre quelli che si immagina possano derivare dalla riforma voluta dal Ministro Delrio.
Invece purtroppo non c’è dialogo, non c’è confronto: la riforma va fatta!
Però il nuovo Presidente della Provincia eletto dai Sindaci sarà a costo zero, afferma il Ministro.
Bene, allora è chiaro perché vale la pena fare la riforma, perché le Province salveranno l’Italia dalla crisi.
“Caròn, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”.
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