La procedura negoziata senza bando deve essere adeguatamente motivata anche nel caso dell’affidamento di appalti esclusi dell’allegato II b) del codice?
Da sempre gli appalti pubblici sono stati associati a qualcosa di malsano o comunque considerati un settore a cui occorre approcciarsi con notevole dose di sano pregiudizio. Senza andare troppo lontano e senza citare i clamorosi, continui, scandali – veri o presunti – di cui quotidianamente da conto la stampa, si può puntualizzare che questa riflessione è sicuramente presente anche in altri ambiti della nostra vita. Si possono rammentare alcuni curiosi e forse poco noti riferimenti.
Per approfondimenti leggi l’articolo Gli appalti nei servizi dell’Allegato II B del codice degli appalti: che regole si applicano?
Ad esempio, pare che interessato ad un appalto fosse anche il grandissimo romanziere russo L. Tolstoj di cui si racconta, – nella bella biografia contenuta nell’Album dei Meridiani Mondadori, curata da I. Sinibaldi, – il tentativo di risultare affidatario dell’appalto “delle stazioni di posta tra Mosca e Tula”. Ora, qualunque cosa significhi (!), si rileva che il grande ed inquieto romanziere “brigasse” per avere l’appalto in questione.
Certo, vengono i brividi a pensare che, qualora Tolstoj si fosse “aggiudicato” l’appalto (o di qualunque cosa si trattasse), non avremmo mai provato l’emozione fortissima di conoscere Anna Karenina o alcuni dei suoi indimenticabili racconti.
Di appalti e d’intrecci di malaffare con la p.a. si parla anche nel libro – forse il più bello – di Saul Bellow. A pag.526 (nell’edizione dei Meridiani Mondadori dedicato ai suoi – bellissimi – romanzi) del romanzo “Le avventure di Augie March”, il grande maestro americano nel descrivere un passatempo del protagonista (si tratta di un romanzo autobiografico) che utilizza impropriamente gli ascensori del Municipio si lascia andare ad alcune riflessioni. Testualmente: “nella gabbia andavamo su e giù, gomito a gomito con pezzi grossi e operatori, funzionari, imbroglioni, politicanti, informatori, gangster, donnaioli, ungitori di ruote, querelanti, piedipiatti, uomini col sombrero e donne in pelliccia e scarpe di lucertola, un miscuglio di correnti d’arie artiche e di serra, brutalità e civetteria, testimonianze di robusta alimentazione e di sistematiche rasature, di calcoli, dolore, menefreghismo e della speranza di ottenere appalti edilizi per milioni di dollari (..)”. Da qui, il fondamentale insegnamento di evitare la frequentazione con gli ascensori “pubblici”(!) e di diffidare soprattutto dagli “uomini con il sombrero”.
Ritornando ad una considerazione più tecnica, è bene rilevare che nonostante i principi di evidenza pubblica e della necessaria concorrenzialità con cui deve essere aggiudicato l’appalto siano atavicamente piuttosto chiari, il giudice amministrativo è costretto a tornare continuamente sul problema con costanti affermazioni stereotipate. In questo senso – tra le tante – il giudice capitolino (Tar Lazio, Roma, sez. III quater del 30 gennaio 2012 n. 989) ha di recente dovuto riaffermare che la procedura negoziata – ovvero il sistema di aggiudicazione fuori dagli schemi ed anzi in deroga degli schemi ordinari dell’assegnazione dell’appalto – esige non solo una certificata motivazione ma che questa (come si legge chiaramente nel comma 2 dell’articolo 57, elaborato dopo tanta giurisprudenza) debba essere oggettiva ovvero non imputabile alla p. a. A ben vedere, la previsione rende sostanzialmente impraticabile la procedura negoziata considerato che gli accadimenti – realmente – oggettivi sono così rari da ritenersi come una ipotesi francamente residuale e marginale. Ciò nonostante, il procedimento derogatorio rimane il più frequentato dalle stazioni appaltanti.
Su questo schema, appena sintetizzato, lo stesso giudice romano è dovuto tornare con la lentissima pronuncia del Tar Lazio, Roma sez. III, del 1 marzo 2012 n. 2108. L’aspetto innovativo è che nel caso di specie si è trattato dell’affidamento, tramite procedura negoziata, di appalti esclusi elencati nell’allegato II b) dell’articolo 20 del codice. Come noto, gli appalti in commento debbono essere aggiudicati semplicemente (come recita l’articolo 27 del codice degli appalti) “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità” e, prosegue il comma, “l’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto”. Fino al 29 febbraio scorso (!) – e quindi prima della sentenza citata -, l’interpretazione/applicazione della norma risultava più chiara (!). Il RUP poteva decidere: o di procedere secondo il procedimento ordinario e quindi con il classico bando (procedura aperta) senza particolari obblighi di pubblicazione, oppure con il sistema degli inviti come descritto dalla norma appena riportata. Nel caso trattato dalla sentenza, prescindendo da altre considerazioni, la stazione appaltante nel predisporre l’appalto decideva di procedere con degli inviti (ben 12) per l’affidamento dell’appalto soprasoglia, denominando (ed in questo forse insiste l’errore) il procedimento di aggiudicazione come “procedura negoziata senza pubblicazione di bando” e quindi riferendosi esplicitamente all’articolo 57 del codice.
Il giudice, in modo condivisibile, ha rilevato l’illegittimità della procedura di gara perché – nel richiamo alla peculiare fattispecie – la stazione appaltante non si è attenuta alle rigide prescrizioni imposte dalla norma ovvero il comma 2 lett. c) dell’articolo 57. Disposizione che specifica come la procedura negoziata senza pubblicazione di bando sia consentita “nella misura strettamente necessaria, quando l’estrema urgenza, risultante da eventi imprevedibili per le stazioni appaltanti, non è compatibile con i termini imposti dalle procedure aperte, ristrette, o negoziate previa pubblicazione di un bando di gara. Le circostanze invocate a giustificazione della estrema urgenza non devono essere imputabili alle stazioni appaltanti”.
Nell’assunto, il giudice afferma che qualora gli appalti esclusi dovessero essere aggiudicati – soprattutto se soprasoglia comunitaria – secondo il modulo derogatorio appena riportato, la stazione appaltante è comunque tenuta a seguire le indicazioni fornite, oltre che dalla giurisprudenza, anche dalla Commissione dell’Unione europea con la comunicazione interpretativa 1° agosto 2006 “relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive «appalti pubblici»“, pubblicata nella G.U.U.E. 1° agosto 2006, n. C 179, dando adeguata trasparenza all’iniziativa. Trasparenza che si realizza – almeno secondo la comunicazione appena citata – con la pubblicazione di un avviso pubblico. Pur condividendo la cautela espressa con la pronuncia, ritengo che si possa ritenere eccessiva. Non si può non notare infatti che la pubblicazione di un avviso si pone in netto contrasto con il sistema degli inviti richiamato direttamente dall’articolo 27 del codice. Gli inviti in parola, secondo la norma, sono stabiliti discrezionalmente dalla stazione appaltante e ciò è corretto purché avvenga con rigore e senza arbitrio.
E’ chiaro che se nella procedura viene innestato un avviso pubblico, i soggetti potenzialmente interessati potranno chiedere di essere invitati ampliando, in nome della concorrenza, oltre misura i tempi del procedimento. Tanto vale, a questo punto, pubblicare direttamente un bando e restare sul solco del procedimento ordinario.
Ciò che però appare singolare, mi sembra, è che l’intervento del giudice sia stato sollecitato dalla circostanza che la stazione appaltante abbia qualificato il procedimento come procedura negoziata senza pubblicazione di bando. A sommesso parere, se avesse avviato il procedimento – con la relativa determinazione a contrattare – richiamando il solo articolo 27 probabilmente – ma è solo una ipotesi – non ci sarebbe stata la censura. La questione, e questo è il punto, testimonia la difficoltà delle stazioni appaltanti nello svolgimento dei procedimenti e nella continua messa in discussione di fattispecie costantemente applicate in seguito ai diversi (spesso capovolti) orientamenti giurisprudenziali. Sarebbe utile (ma è utopia) avere pochi riferimenti normativi e almeno qualche certezza.
Questo è quanto accade – e passiamo all’analisi di esperienze straniere – nel fantastico paese dei paperi e di cui si da conto in un saggio memorabile e rimasto ineguagliato. Il breve contributo, rimasto insuperato, è stato pubblicato nel 2000 ed ha il titolo di “Zio Paperone e la gara d’appalto” (per chi volesse approfondire lo studio si rinvia al n.2338/2000 di Topolino). Nel caso di specie, il celeberrimo imprenditore Paperon de Paperoni contende l’appalto per la realizzazione del primo palazzo di vetro di Paperopoli contro la sua nemesi, ovvero l’arcinoto imprenditore Rockerduck. L’appalto si svolge, almeno da quanto emerge dal documento citato, secondo i principi classici della trasparenza e della pubblicità. Non solo, la – sana – competizione porta i due contendenti a presentare finanche offerte migliorative. Ciò sta a significare che in quel di Paperopoli, sono ben noti i principi classici dell’evidenza pubblica e, pertanto, vengono rispettate le regole che presidiano all’assegnazione dell’appalto.
Certo, si potrebbe sindacare su alcune leggerezze che, una tempestiva impugnazione dell’aggiudicazione avrebbero indotto all’annullamento degli atti di gara (per completezza non aggiudicata al de Paperoni) , ad esempio la singolare circostanza che l’appalto sia stato affidato dal Sindaco. I più maliziosi potrebbero obiettare che un più attento controllo sulla regolarità contributiva, almeno del sig. Paperon de Paperoni, avrebbe portato a scoprire più di uno scheletro nell’armadio. Si pensi in particolare alla posizione contributiva del sig. Paolino Paperino (spesso alle dipendenze del magnate). Oltre al DURC, riguardo al quale sia consentito di suggerire che – nel caso in cui vi trovaste il citato nelle gare bandite – di evitare di richiedere (ammesso che sia possibile, visti i tempi) autocertificazioni varie. Particolare attenzione inoltre occorrerebbe prestare alle possibili evasioni di pagamenti dei tributi e delle tasse. Pare – ma sono solo voci – che il soggetto in questione non presenti nessuna dichiarazione da decenni. In ogni caso, cautela impone che si eviti di invitarlo alle gare perché potrebbe sorgere più di un problema.
Oltre alle appena rilevate obiezioni, i detrattori potrebbero esprimere altre considerazioni. Del tipo: “Certo, nel paese dei paperi si rispettano le regole degli appalti ma sono indietro anni luce in relazione ad altri provvedimenti!”. Questo è ben vero, ma si vuole dare conto dei recenti progressi. Se risulta acclarato – come emerso anche nella gara citata – che nel ridente paese dei paperi i vari provvedimenti attuativi dei principi sulla separazione dei poteri non siano stati ancora adottati, questo però non deve portare a sminuire al dignità e la sobrietà di questo paese (invero singolare).
Ed al tal fine ci piace, e appare opportuno, dar conto di quanto sia intenso lo sforzo per modernizzare l’azione amministrativa. In questa operazione il nostro paese viene preso come autentico modello e questo ci deve riempire d’orgoglio. Ad esempio, è notizia recente come siano allo studio provvedimenti anti scansafatiche per meglio disciplinare l’attività dei burocrati. L’esigenza è emersa in seguito alla denuncia del noto caso che ha coinvolto il dott. Paperoga sorpreso a dilettarsi con il gioco del solitario durante il lavoro d’ufficio (per chi volesse approfondire questo accade su Topolino n. 2635/2006). La vicenda, che peraltro coinvolge un – sicuramente – discutibile individuo, pare laureatosi per corrispondenza, ha determinato un clamore particolare che ha fatto scattare interventi dei più amati e rispettati cittadini della comunità. A margine, è pur vero che oltre all’indignazione sarebbe opportuno verificare come sia potuto diventare dipendente un così bizzarro personaggio già oggetto di segnalazione agli organi competenti per evidenti atteggiamenti sovversivi/eversivi che il nostro “eroe” esprime con un abbigliamento caratterizzato da un maglione (orami fuori moda) rosso fuoco con accluso capello di lana a nascondere – evidentemente – delle incipienti calvizie. Il caso, come si diceva, ha messo in allarme le massime intelligenze del paese che immediatamente hanno avviato una serie di petizioni popolari. Tra questi intenti, alcuni sono piuttosto importanti, come il progetto dell’adozione di provvedimenti di dismissioni in massa, ed in modo indiscriminato, dal pubblico impiego. Azioni rivendicate sui maggiori quotidiani locali da tal Ciccio dell’Oca, ufficialmente bracciante agricolo con varie specializzazioni, tra le più importanti: restare con il naso per aria e cercare sempre l’ombra potenzialmente di maggior frescura. In realtà questo individuo – e l’umile scrivano non può non darne conto – è noto soprattutto per una certa contiguità con la famigerata Nonna Papera, latifondista, ufficialmente datrice di lavoro del citato (non sarebbe male effettuare delle verifiche sul versamento dei contributi anche su questo soggetto !).
L’inquietante – prossima – ottuagenaria, è piuttosto conosciuta negli ambienti giudiziari per una insopportabile (ma probabilmente millantata) capacità di preparare torte e crostate con qualunque cosa sia anche solo vagamente commestibile. E’ bene rilevare – per obiettività di trattazione – che tra le sue fila annovera – incomprensibilmente – anche parecchi estimatori che le consentono e garantiscono una sorta di impunità. Per dovere di cronaca si può citare ad esempio il recente libro dell’artigiano locale Orazio Cavezza (conosciuto soprattutto per il pluriennale flirt con la starlet locale Clarabella) dal titolo “Il ribes esiste davvero e si possono fare anche le crostate”, sottotitolo “Biografia autorizzata solo nelle parti evidenziate in giallo ed a meri scopi pubblicitari”. Pare, in ogni caso, che dietro questo soggetto ci sia proprio l’influenza della l’insopportabile e presuntuosissima fidanzata. In ogni caso, il singolare personaggio a nome di Nonna Papera (di cui si ignora in realtà quale sia il nome e quale il cognome), è stato coinvolto in passato anche nel dossier “Basettoni” per un problema di possibili frodi comunitarie per finanziamenti concessi per l’agricoltura (in particolare i finanziamenti per l’espianto delle zucche fluorescenti), è stato di recente oggetto di diverse denunce formalizzate dai servizi educativi del comune di Paperopoli per abbandono di minori. Ricorderà sicuramente il lettore il caso dell’abbandono della fattoria – cosa reiterata – lasciata all’incuria ed all’attenzione dei nipoti ovvero quei tre simpaticoni – si coglierà la sottile ironia – a nome di Qui, Quo e Qua. I tre minori, noti nei vari quartieri per atti di vandalismo, sono dediti a tutto tranne che a frequentare la scuola. Nonna Papera, per concludere la breve trattazione, è – secondo fonti ufficiali – parente anche di Paolino Paperino che, come non a caso anticipato, risulta essere dipendente del più volte citato miliardario de Paperoni (circostanza che farebbe supporre l’esistenza di un autentico sistema criminoso).
La dovizia, necessaria, di particolari non deve far passare inosservato che anche nel paese dei paperi, al di là di altre evidenti patologie, è sicuro ed incontestato che l’affidamento dell’appalto debba passare attraverso un rigoroso procedimento ad evidenza pubblica ed attraverso la messa in competizione della proposta da parte della stazione appaltante.
Ora, per concludere, si potrebbe dubitare come fa la dottrina maggioritaria, piuttosto intransigente e, francamente, intollerante, che i personaggi citati e gli episodi riportati non siano reali ma piuttosto parto della fantasia. A parte – sia consentito – l’ottusità ridicola di questa tesi che la rende francamente inverosimile, chi scrive ritiene maggiormente credibile e preferisce aderire all’orientamento, sia pur minoritario, che fa capo comunque ad eminenti studiosi e tra questi si vuole citare solo i più autorevoli ovvero il sorprendente dott. Gigio Topo e l’arguto studioso prof. Silvestro Gatto. Come noto due autentici giganti del pensiero moderno nonostante la critica (invidiosa).
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