In particolare, la vicenda ha ad oggetto l’annullamento da parte del Tribunale di Como del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, emesso dal G.i.p. nei confronti di un legale rappresentante di una società, indagato per il reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
Nello specifico, il Tribunale riteneva che il reato ipotizzato, con riferimento al periodo di imposta 2007, consumato in data 28/09/2008, dovesse ritenersi prescritto, in quanto alcun atto interruttivo era intervenuto nel termine di prescrizione di 6 anni.
A parere del Tribunale, infatti, anche se il processo verbale non notificato può costituire atto interruttivo della prescrizione, tuttavia, lo stesso deve essere redatto nei confronti del soggetto indagato e per lo stesso reato, mentre, nel caso di specie, il verbale era stato redato nei confronti di un altro soggetto e si ipotizzava il reato di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Como, proponeva ricorso per Cassazione il P.M. per erronea applicazione dell’art. 17 del D.Lgs. n. 74/2000.
Ebbene, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso ritenendo fondata l’eccezione sollevata dal P.M. e rilevando, innanzitutto, come a norma dell’art. 17 del D.Lgs. n. 74/2000, la prescrizione è interrotta, oltre che dagli atti indicati nell’art. 160 c.p., dal verbale di constatazione o dall’atto di accertamento delle relative sanzioni.
Da tale interruzione, peraltro, ne discende il differimento temporale fino ad un massimo di ¼ del tempo della prescrizione, ovvero nel caso in esame un altro anno e mezzo, oltre ai sei anni previsti.
Ed ancora, la Corte ha aggiunto, che per consolidata giurisprudenza, l’efficacia interruttiva della prescrizione dipende dalla mera emanazione dell’atto, indipendentemente dalla sua comunicazione all’interessato, nonostante per altri fini tale atto ha natura recettizia (Cass. sez. 3 n. 9116 D.L. 27/05/1999; Cass. sez. 3 n. 1945 del 19/12/1996; Cass. sez. 3 n. 11977 del 9/1/2014).
Per di più, non è nemmeno necessario che l’atto di accertamento sia portato a conoscenza dell’Autorità giudiziaria, in quanto lo stesso dispiega ugualmente l’effetto interruttivo (Cass. sez. 3, n. 7106 del 5/5/1994).
La causa interruttiva – sottolinea la Corte – come correttamente rilevato dal ricorrente, ha pertanto carattere oggettivo, impersonale e non ricettizio.
E’ sufficiente, infatti, che si tratti di un’attività nel corso della quale gli Uffici finanziari o la Guardia di Finanza prendano cognizione dell’esistenza del reato, con ciò manifestando la persistenza della volontà punitiva dello Stato.
Ciò chiarito, la Corte di Cassazione, nell’annullare l’ordinanza impugnata, ha quindi rinviato il procedimento al Tribunale di Como, considerato che lo stesso aveva omesso di verificare se dal verbale di constatazione a carico della società che aveva emesso le fatture relative ad operazioni inesistenti, risultava altresì accertata la sussistenza del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 nei confronti degli utilizzatori delle medesime fatture.
ha collaborato l’avv. Alessandra Rizzelli
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