Come ampiamente noto agli operatori del diritto, la Legge 190/2012 (cd. Anticorruzione – Severino) dispone che le amministrazioni pubbliche e le società partecipate adottino, entro il 31 gennaio di ogni anno, il loro piano triennale di prevenzione della corruzione.
I piani dovrebbero essere predisposti dal responsabile della prevenzione della corruzione che, a sua volta, avrebbe dovuto essere nominato dall’organo di indirizzo politico tempestivamente (questo è il termine formalmente utilizzato nella Circolare 1/2013 del Dipartimento della Funzione Pubblica), ossia dall’indomani della entrata in vigore della Legge 190.
E però, siamo in Italia …. il paese del sole, dei pomodori ciliegino, del panettone milanese, del panforte senese, del che fretta c’è? siediti, rilassati, rasserenati, mica muore qualcuno!
Il ritardo sembra segnare a fuoco il DNA latino-mediterraneo, ed insieme ad esso la leggerezza del “meglio dopo che prima”.
E’ una vita che prendiamo tempo ….. basti solo pensare, uno tra le migliaia di esempi, alla fulgida longevità dei tetti italiani a base di eternit/amianto …. toh! ma non erano quelli che avrebbero dovuto essere eliminati e distrutti già dai tempi della Legge 27 marzo 1992 n. 257?
Più che prevedibile che il malizioso germe dell’italico ritardo si insinuasse, neanche troppo furtivamente, nel sistema normativo anticorruzione.
Il programma anticorruzione avrebbe dovuto partire “entro il 31 gennaio 2013”? Ed è stata disposta una prima proroga al “31 marzo 2013”!
Nel mese di settembre 2013 è stato pubblicato il Piano Nazionale Anticorruzione, cui tutte le amministrazioni avrebbero dovuto adeguarsi? E il Dipartimento della Funzione Pubblica e l’Autorità Nazionale Anticorruzione hanno prorogato al 31 gennaio 2014 l’obbligo di predisporre i piani anticorruzione!
Siamo arrivati al 31 gennaio 2014? E a tutt’oggi la maggioranza delle amministrazioni nicchia o pensa di risolvere il problema con i piani anticorruzione prendi quattro e paghi uno, certi che alla fine prevarrà il saggio broccardo “che tutto finisca allegramente a tarallucci e vino!”.
…. Cosa ne pensa di tutto questo la classe politica?! Beh, su quella casella c’è un bel non pervenuto a caratteri cubitali, e quindi non si pone neanche il problema …
Mettiamo da parte l’ironia e chiediamoci seriamente cosa comporti, in via giuridica, lo sforamento della scadenza del 31 gennaio.
Chiariamo, innanzitutto, che i ritardi anticorruzione dell’anno 2013 non fanno testo perché hanno, comunque, avuto una loro precisa giustificazione formale.
Ed invero, il primo slittamento dal 31 gennaio 2013 al 31 marzo 2013 era stato previsto e formalmente autorizzato da una specifica disposizione di legge, ossia l’art. 34-bis, comma 4, del D.L. 18 ottobre 2012 n. 79 convertito in Legge 17 dicembre n. 221.
Il secondo mancato rispetto del termine del “31 marzo 2013” era, invece, sostanzialmente giustificato dalla presenza di un impianto legislativo ancora tutto in fase di emanazione e/o attuazione (gli importanti Decreti Legislativi sulla trasparenza e sulla inconferibilità/incompatibilità, il Decreto Presidenziale sul codice di comportamento, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sulle white list), nonché dall’attesa del Piano Nazionale Anticorruzione e dalle stesse, pur generali, rassicurazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione circa la non perentorietà del termine.
Oggi però siamo arrivati al “dunque”, e più nulla, assolutamente nulla, può giustificare alcun ritardo: il sistema anticorruzione è stato quasi completamente chiuso (sono da evadere solo un paio di deleghe di natura accessoria); il Piano Nazionale Anticorruzione è perfettamente operante; non abbiamo alcuna indicazione o “autorizzazione” di ordine istituzionale che legittimi il ritardo.
Rimane solo da capire cosa può giuridicamente succedere a chi non abbia rispettato il termine, e cosa può realmente aspettarsi chi sia stato beccato con le mani nel sacco a girarsi i pollici in attesa di una auspicata, mancata, proroga dell’obbligo di predisporre i piani anticorruzione.
E’ giusto che le nostre valutazioni siano tecnicamente affidabili, imparziali, precise ed univoche.
- Primo elemento di valutazione: il termine “entro il 31 gennaio” non è certamente perentorio, tant’è che non è accompagnato dalla prescrizione di alcuna, eventuale o successiva, inammissibilità.
Per essere chiari: se un avvocato non presenta un atto di appello entro, ad esempio, 45 giorni dal deposito della sentenza che si intende impugnare, l’atto eventualmente depositato in ritardo sarà inammissibile (ossia neanche accoglibile), proprio perché non è più consentito fare dopo ciò che poteva essere fatto prima; dopo che si riferisce cronologicamente a quel preciso termine stabilito per legge (per ciò che da vicino ci riguarda, dovrebbe essere il 31 gennaio).
Bene. Non è certamente questo il nostro caso. I piani anticorruzione devono, e certamente dovrebbero, essere costantemente aggiornati, riaggiornati e rivisti senza limiti di tempo.
Anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha seguito questa logica quando, il 27 marzo 2013, ha comunicato sul proprio sito: «il termine del 31 marzo 2013 non può essere considerato perentorio (nel senso che il Piano adottato dopo la scadenza del termine è comunque valido)»
Secondo elemento di valutazione: il termine “entro il 31 gennaio 2014”, non è accompagnato, come invece era successo con il succitato art. 34-bis del D.L. 79/2012, da alcuna formale proroga legislativa.
Ciò vuol dire che il Legislatore non “autorizza” alcun ritardo.
Terzo elemento di valutazione: il termine “entro il 31 gennaio 2014” non è neanche “commentato” in alcun modo dalle autorità istituzionalmente preposte al sistema anticorruzione (v. dal Dipartimento della Funzione Pubblica o dall’Autorità Nazionale Anticorruzione).
Tale silenzio ancora una volta significa che il ritardo non è “autorizzato”: né dal Legislatore; né dal Dipartimento della Funzione Pubblica; né dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Quarto elemento di valutazione (l’unico che, a mio avviso, potrebbe esserci realmente d’aiuto): il termine “entro il 31 gennaio 2014” va considerato esattamente in base a quello che ci dice la legge.
La “nostra” Legge – v. la 190/2012 – testualmente dispone:
A) «la mancata predisposizione del piano e la mancata adozione delle procedure per la selezione e la formazione dei dipendenti costituiscono elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale» (art. 1, comma 8, Legge 190/2012);
B) «In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione …. il responsabile ……….. risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e successive modificazioni, nonché sul piano disciplinare, oltre che per il danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, salvo che provi tutte le seguenti circostanze:
a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano di cui al comma 5 e di aver osservato le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;
b) di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza del piano». (art. 1, comma 12, Legge 190/2012).
I su richiamati passaggi legislativi significano tre cose semplicissime:
1) non esiste una sanzione diretta ed immediata per la mancata adozione dei piani anticorruzione;
2) la mancata adozione del piano, o il ritardo nella sua adozione, potranno essere discrezionalmente valutati in via disciplinare (e si ricordi che detta sanzione disciplinare, secondo quanto testualmente disposto dall’art. 1 comma 13 della Legge 190 «non può essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi»);
3) la vera – fortissima – sanzione trasversale è rappresentata dal fatto che, ove sia commesso un reato all’interno dell’amministrazione, e tale reato avrebbe potuto essere previsto ed evitato attraverso il piano che non è stato invece adottato: per il responsabile inadempiente saranno semplicemente ca… carciofi amarissimi. Non dimentichiamo, infatti, che la Legge 190, per ciò che riguarda i giudizi di responsabilità a carico degli amministratori, ha elevato la quantificazione del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione al “doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”. Né sottovalutiamo che negli stessi giudizi di responsabilità è concesso il sequestro conservativo in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale.
Facendo uno sforzo di fantasia giuridica e cercando di immaginare una analogia squisitamente tecnica tra quest’ultimo tipo di rischi e quello che ognuno di noi potrebbe dover affrontare nella quotidianità spicciola, la mente corre al rischio da mancato pagamento del premio assicurativo della propria autovettura: posso anche non pagare il premio ed avere la fortuna che nessuno mi fermi o se ne accorga; ma …. se ho un incidente automobilistico ed uccido, pur non avendone colpa, una persona… vogliamo quantificare il danno?
Ecco, lo sforamento del nostro termine “anticorruzione” potrebbe operare esattamente così: se e nella misura in cui non accada nulla, il rischio sarà derivante solo da una eventuale attività di vigilanza da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (possibilmente allertata da qualunque comune cittadino); ma se, malauguratamente, proprio all’interno di quell’amministrazione priva di un piano anticorruzione, venisse commesso un reato contro la Pubblica Amministrazione (ci vuole così tanta fantasia per mettere in conto che questo possa realmente accadere?), il responsabile della prevenzione che non sia “coperto” da un efficace piano anticorruzione non potrà difendersi adducendo di avere fatto tutto il possibile per evitare il reato anche approntato una buona azione preventiva, ma incorrerà dritto dritto nella responsabilità prima richiamata dell’art. 1 comma 12 Legge 190/2012.
Domanda: vale la pena di rischiare tutto questo in prima persona, o meglio far correre questo rischio alla propria famiglia ed ai propri figli ….. per mera pigrizia ed ignavia?
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