E’ quanto afferma la Cassazione con la recente sentenza n. 4670 pubblicata il 18 febbraio scorso. La Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente nei cui confronti gli investigatori privati avevano accertato un indebito utilizzo dei permessi 104. Nello specifico, alla persona in questione era stato contestato l’essersi occupata di faccende personali di vario tipo (shopping presso esercizi commerciali) anziché prestare assistenza al familiare.
Facciamo un passo indietro per comprendere appieno il pensiero della Cassazione.
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Permessi 104: assistenza al familiare disabile
La legge n. 104/92 introduce permessi retribuiti in favore dei familiari della persona disabile che presenti una minorazione fisica, psichica o sensoriale con le caratteristiche della gravità, tale da rendere necessaria un’assistenza permanente, globale e continuativa.
I permessi spettano nel limite di 3 giorni al mese (anche continuativi) in favore di:
- Genitori (anche se adottivi o affidatari);
- Coniuge (o parte dell’unione civile);
- Convivente;
- Parenti e affini entro il 2° grado.
Il diritto ai permessi si estende ai parenti o affini entro il 3° grado se i genitori, il coniuge, la parte dell’unione civile o il convivente hanno compito 65 anni di età ovvero sono anch’essi affetti da patologie invalidanti a carattere permanente, sono deceduti o mancanti.
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In alternativa ai 3 giorni mensili, i genitori del figlio disabile di età inferiore ai 3 anni possono scegliere:
- Di prolungare il congedo parentale fino a 3 anni (da godere entro i 12 anni);
- Di fruire di 2 ore di permesso giornaliero.
I genitori del figlio disabile di età compresa tra i 3 e i 12 anni possono scegliere tra il prolungamento del congedo parentale o i 3 giorni al mese di permesso retribuito.
Dal momento in cui il figlio compie 12 anni i genitori possono richiedere solamente i 3 giorni al mese.
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Permessi 104: come ottenerli
Per godere dei permessi 104 è necessario presentate apposita domanda all’INPS in modalità telematica, allegando i documenti comprovanti la disabilità. Eventuali variazioni rispetto a ciò che è stato inizialmente comunicato devono essere portate a conoscenza dell’Istituto entro 30 giorni.
Una volta ottenuto il nulla osta dall’INPS, il dipendente può assentarsi dal lavoro per prestare assistenza al familiare. La retribuzione dei giorni di permesso è totalmente a carico dell’Istituto. Il datore deve solo anticiparla in busta paga per poi recuperare il tutto sui contributi da versare all’INPS con modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo quello di competenza.
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Permessi 104: la sentenza
La controversia in esame prende le mosse dal licenziamento di un dipendente cui era stato contestato un utilizzo indebito dei permessi 104 in cinque giornate tra dicembre 2014 e gennaio 2015. La condotta era emersa a seguito dell’attività investigativa svolta da un’agenzia privata, da cui era emerso che nei periodi di assenza per permesso 104 il dipendente, anziché prestare assistenza al familiare disabile, si dedicava ad attività varie di tipo personale, come lo shopping.
Soccombente in primo e secondo grado, il dipendente ricorreva in Cassazione.
Nel giudicare legittimo il licenziamento (come già affermato in altre sentenze) la Cassazione sostiene che sono leciti i controlli demandati dal datore ad investigatori privati e riguardanti l’attività lavorativa svolta anche al di fuori dei locali aziendali, quando gli stessi non riguardino l’adempimento della prestazione ma siano finalizzati ad accertare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o attività fraudolente a danno dell’azienda.
Le agenzie investigative per operare lecitamente non devono vigilare sull’attività lavorativa vera e propria (attività riservata al datore e ai suoi collaboratori) ma concentrarsi solo sul compimento di atti illeciti o sul sospetto che tali condotte siano in corso di esecuzione.
Sempre sul solco di precedenti sentenze, la Cassazione afferma che l’utilizzo dei permessi 104 per finalità diverse dall’assistenza al familiare, integra un’ipotesi di abuso di diritto oltre ad essere lesiva della buona fede del datore, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa. Ne consegue che, oltre a giustificare il licenziamento, la condotta in questione rappresenti nei confronti dell’INPS un’indebita percezione dell’indennità e uno sviamento dell’attività assistenziale.
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