Il risarcimento diventa rimedio ad una condotta lesiva che abbia inciso, compromettendola, sulla possibilità del danneggiato di sopravvivere.
La pronuncia del Giudice leccese si pone, così, in contraddizione con l’orientamento giurisprudenziale prevalente.
Come noto, in sede interpretativa, prevale la tesi della non risarcibilità del danno “tanatologico” o “da morte immediata”, il quale si verifica in caso di decesso avvenuto senza apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte.
Il defunto non potrebbe infatti trasmettere il diritto di credito derivante dalla perdita della propria vita, data l’impossibilità giuridica di attribuire la titolarità di un qualunque diritto (ivi compreso quello alla tutela della salute) da parte di chi non è più in vita.
Diverse le ragioni che hanno spinto la giurisprudenza ad escludere la risarcibilità del danno biologico da morte, iure ereditario. Si pensi al criterio di liquidazione del danno biologico – legato all’età del soggetto al momento del sinistro e, quindi, alla durata del pregiudizio subìto – oppure al metodo della rendita vitalizia, quale forma di risarcimento del danno da invalidità permanente prevista dall’art. 2057 c.c. Tutti criteri che presuppongono certamente la permanenza in vita della persona lesa.
Inoltre, sempre sotto il profilo dell’ordinamento giuridico visto nel suo assetto complessivo, sussistono specifiche ipotesi in cui gli eredi sono legittimati ad esercitare diritti personalissimi del de cuius (es. azione per il riconoscimento della filiazione legittima).
In ultimo, quando il danneggiato deceda nell’immediatezza del fatto lesivo, il bene sacrificato non è la salute, bensì la vita. In tal caso, quindi, gli eredi della vittima non potrebbero vantare alcun diritto ad esser risarciti per il danno biologico patito dalla vittima, quanto piuttosto un diritto ad esser risarciti iure proprio, per i danni biologici (e morali) ad essi direttamente derivati.
Quanto, invece, al danno non patrimoniale (cioè di sofferenza morale della vittima che deceda dopo un brevissimo lasso di tempo), tale voce di pregiudizio è trasmissibile ai congiunti della vittima. Ciò, ovviamente, sempre che, in armonia con la natura stessa del pregiudizio morale, la vittima di lesioni fisiche sia rimasta lucida dopo l’agonia, in consapevole attesa della fine.
In tal modo si porrebbe un argine al vuoto di tutela determinato dal principio dell’irrisarcibilità del danno biologico per la perdita della vita.
Soggetta ad un distinto regime giuridico è l’ipotesi della morte sopraggiunta in seguito a lesioni personali dopo un apprezzabile lasso di tempo.
In tal caso, costituisce principio ormai consolidato quello che riconosce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima, azionabile dagli eredi iure hereditatis.
Anche il Tribunale di Ostuni ammette la risarcibilità del danno subìto dalla vittima (nonché la trasmissibilità del relativo diritto agli eredi), deceduta – nel caso di specie – dopo un apprezzabile intervallo temporale fra la condotta lesiva e l’evento.
Tuttavia, il Giudice aggiunge che ogni posta risarcitoria rientra nella sfera patrimoniale del danneggiato, non appena l’illecito produca i propri effetti lesivi. E ciò a prescindere dal lasso di tempo – più o meno lungo – che sia intercorso tra condotta ed evento.
Ma la pronuncia in commento stabilisce di più!
Il diritto al risarcimento del danno, qualunque ne sia la fonte (e, quindi, anche se di natura non patrimoniale), non può reputarsi un diritto di natura strettamente personale, potendosi considerare tale ogni prerogativa o pretesa che consenta l’attuazione della personalità del soggetto, e non anche l’esercizio del diritto alla reintegrazione della propria sfera patrimoniale.
E’, pertanto, trasmissibile agli eredi anche la pretesa al risarcimento del danno alla vita, nonché del danno da perdita di chance.
E non solo: la chance è risarcibile al di là del grado di consistenza che essa assuma nel caso concreto, inerendo tale ultimo aspetto al diverso profilo della quantificazione del risarcimento. Ragione per cui anche una chance “ridotta” avrà dignità risarcitoria.
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