Sono due, infatti, i fronti su cui si sta giocando la battaglia dei prof per vedere ristabilito il diritto ad andare in pensione secondo le norme antecedenti la legge 201/2011 che ah letteralmente capovolto l’assetto della previdenza italiana.
Da una parte, c’è il versante della Corte costituzionale, dove l’articolo 24 della norma in fatto di pensioni varata dal governo Monti tra mille polemiche, è stato sottoposto, per effetto della questione di costituzionalità avanzata da un giudice di Siena.
L’ultima tappa, in ordine di tempo, dell’iter in Consulta per l’articolo 24 della legge Fornero, è l’audizione che ha visto protagonisti Avvocatura dello Stato, Inps e rappresentanti legali dei professori ricorrenti contro la legge del governo Monti.
Comunque sia, il dilatarsi dei tempi rende quasi impossibile, oramai, l’arrivo di un pronunciamento definitivo sul merito dell’articolo che rendeva insufficienti i 60 anni anagrafici con 36 di contributi, o i 61 con 35 di versamenti o, da ultimo, i 40 anni contributivi.
Per ovviare a questo problema, allora, ecco che torna di attualità la discussione in corso da diverso tempo alla commissione lavoro della Camera dei deputati, dove resta in esame il ddl unificato, il quale, però, negli ultimi giorni ha finito per essere rimpiazzato da un testo nuovo, che dovrebbe contemplare le novità normative per tutti i 4000 insegnanti coinvolti.
Secondo le nuove disposizioni della bozza in discussione a Montecitorio, dovrebbe essere l’Inps a prendersi in carico le domande per l’accesso al trattamento pensionistico avanzate dai prof interessati in questo passaggio strettissimo, con il rischio di diventare esodati.
Dovrebbe emergere qualcosa di più in settimana, quando il governo dovrebbe consegnare la propria relazione tecnica sull’argomento della “quota 96”.
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