Il nuovo anno, infatti, potrebbe rappresentare l’anno a partire del quale inizia il passaggio graduale verso la normalità, ossia verso la Legge Fornero, vale a dire la cd. “Manovra lacrime e sangue” introdotta nel 2012 dal governo tecnico “Monti-Fornero” (D.L. n. 201/2011, convertito con modificazioni in L. n. 214/2011).
Infatti, il Governo non ha trovato le coperture finanziarie per rinnovare – anche per il 2022 – quota 100, che con ogni probabilità terminerà la sua corsa il 31 dicembre 2021. Secondo il premier Mario Draghi c’è bisogno di un passaggio graduale da quota 100 alla Legge Fornero in versione integrale. “Ho sempre detto che non condividevo Quota 100, ha una durata triennale e non verrà rinnovata”, ha affermato il premier. Inoltre ha aggiunto: “Quello che occorre fare è assicurare una gradualità nel passaggio a quello che era la normalità. L’importante è tener fisso il fatto che Quota 100 non verrà rinnovata per un triennio e allo stesso tempo, occorre essere graduali” nell’applicazione delle nuove norme.
L’altra novità, invece, riguarda la “pensione di garanzia”. Uno strumento rivolto principalmente ai giovani lavoratori che saranno costretti a andare in pensione con una pensione molto bassa, per via del meccanismo di calcolo penalizzante, ossia quello “contributivo”, in quanto hanno iniziato a lavorare dopo l’1 gennaio 1996.
Trovano applicazione, anche per il prossimo anno, la possibilità di collocarsi a riposo con l’Ape sociale, che termina la sua efficacia il 31 dicembre 2021.
Ma andiamo in ordine e vediamo tutti gli sviluppi futuri in merito al capitolo pensioni 2022.
Riforma Pensioni 2022: Quota 102, Ape social, Opzione donna, lavori gravosi. Ultime notizie
Pensioni 2022: quota 102
Sulle pensioni dopo un intenso confronto tra i partiti della maggioranza e il ministero dell’Economia si è arrivati a una convergenza che però non piace a tutti. L’ipotesi più accreditata al momento è “quota 102” a partire dal 1° gennaio 2022.
Nel 2022, dunque, per andare in pensione saranno necessari 64 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva. Quota 100 invece prevedeva il pensionamento a 62 anni con 38 anni di contributi. L’età ordinaria per andare in pensione, al di fuori dei sistemi delle quote, è di 67 anni.
Dunque, con il passaggio l’anno prossimo a “Quota 102”, innalzando l’età minima a 64 anni, frenerà almeno questa parte dell’esodo. Secondo i calcoli della Cgil si prevedono 10mila uscite a fronte delle oltre 100mila annue con “Quota 100”.
L’anno prossimo avranno 64 anni coloro che già avrebbero potuto accedere a “Quota 100” con 62 anni. Ci rientreranno, dunque, coloro che negli anni di “Quota 100” avevano l’età ma non abbastanza contributi. Bisognerà essere nati nel 1958 o negli anni precedenti.
La disciplina della “Quota 102”, ad esclusione dei requisiti previsti, è la medesima disposta per la “Quota 100”. Si applicano dunque le finestre di attesa e la pensione non è cumulabile, dal primo giorno di decorrenza del trattamento e fino alla maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia ordinaria (pari a 67 anni sino al 31 dicembre 2024), con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. Sono cumulabili i soli redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro annui lordi. I 38 anni di contribuzione richiesti possono essere raggiunti anche utilizzando il cumulo tra più gestioni, ad esclusione delle casse professionali.
Sulle pensioni “l’obiettivo è il ritorno in pieno al sistema contributivo, con una transizione a Quota 102 (38 anni di contributi e 64 anni di età)”, ha detto il premier Draghi nella conferenza stampa dopo l’approvazione della manovra, spiegando che il Governo ha messo mano a Opzione donna, all’Ape sociale “ampliando la gamma di soggetti che possono utilizzarlo”
A prescindere da quella che sarà la scelta finale, che andrà ad accompagnare l’estensione dell’Ape sociale almeno a un primo gruppo di nuove categorie di lavori gravosi, appare già certo che la dote di 1,5 miliardi per tre anni (600 milioni nel 2022) indicata dal Documento programmatico di bilancio, dovrà salire pur rispettando i ”saldi” già fissati. E le risorse, attraverso specifiche coperture, appaiono destinate a salire di almeno un miliardo nel triennio.
Pensioni 2022: proroga Ape sociale
Sul tavolo del capitolo pensioni trova spazio anche l’Ape sociale, rinnovato in una versione più estesa e potenziata.
In particolare, si pensa di:
- prorogare l’APE Social fino al 2026;
- estendere la prestazione ad altri lavoratori – circa una trentina in più rispetto all’elenco attuale – inserendo tra le attività gravose per cui è già riconosciuta altre attività considerate affini. L’estensione avverrebbe in base ai dati INAIL sulla frequenza e la gravità degli infortuni sul lavoro.
- eliminare per i disoccupati, il requisito dei tre mesi di disoccupazione per l’accesso all’APE Sociale;
- ridurre per il settore edile il requisito di anzianità contributiva dai 36 ai 30 anni.
Questi interventi, secondo le simulazioni di spesa elaborate dall’Istituto e presentate nel corso dell’audizione, avrebbero un impatto in termini di costi di circa 1 miliardo di euro da oggi al 2023 (1 miliardo e 41mila euro per l’esattezza).
Una spesa che entro il 2031 verrebbe del tutto recuperata, così come descritto dal presidente dell’Inps Tridico nel corso dell’intervento in Commissione Lavoro.
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Pensioni 2022: Pensione di garanzia
Una novità che potrebbe prendere piede dal prossimo anno è la “pensione di garanzia”. Come anticipato in premessa, trattasi di uno strumento in favore di quei lavoratori, specialmente giovani, che saranno costretti a lavorare fino a tarda età e con una pensione minima che probabilmente non supera i 500 euro. Perché esistono situazioni del genere?
Considerato il fatto che le nuove generazioni andranno in pensione interamente con il meccanismo di calcolo contributivo, ossia quello più penalizzante, e che il mercato del lavoro è caratterizzato prettamente da lavori frammentari e precari, ossia discontinui, ecco che l’amara sorpresa è di trovarsi con una pensione misera.
Al riguardo, non bisogna dimenticare che per le nuove generazioni non ci sarà più l’integrazione al minimo, ossia la pensione minima a circa 500 euro, invece garantita a chi si è pensionato con il meccanismo retributivo.
Stando in base alle ultime fonti governative, la pensione di garanzia dovrebbe aggirarsi attorno a 650 euro al mese. Tuttavia, per aderirvi è necessario:
- aver maturato almeno 20 anni di contributi;
- andare in pensione dal 1° gennaio 2030.
In altre parole, l’importo minimo da raggiungere per pensionarsi, passerebbe così da 1,5 a 1,2 volte l’assegno sociale.
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