Una previsione sempre valida, quella indicata dalla Suprema corte, purché il legale abbia comunicato il proprio indirizzo Pec all’aula di giustizia. E’ quanto scritto nella sentenza 15070 che la Sezione lavoro di piazza Cavour ha depositato ieri.
Insomma, siamo davvero nei giorni in cui la giustizia compie concreti passi in avanti verso la digitalizzazione delle sue procedure? Forse, la sentenza si spinge anche troppo in là, ma quel che è certo è che anche i tempi dovranno seguire la velocità delle comunicazioni online e dovranno, di conseguenza, adeguarsi e rendersi più stretti.
Il caso era stato portato all’attenzione della Corte di Cassazione dai legali nominati da un dipendente bancario, che aveva subito un licenziamento per giusta causa. Dapprima, l’appello verso la prima sentenza contraria alle prerogative del licenziato, era stato dichiarato improcedibile dalla Corte di Reggio Calabria. All’udienza di comparizione, poi, l’avvocato del ricorrente si era lamentato di no aver ricevuto alcun avviso e chiedendo, dunque, un ulteriore rinvio per preparare al meglio la difesa del proprio assistito, e di sbrigare le varie notifiche agli altri attori, sia del decreto di comparizione che dell’atto di appello stesso.
La richiesta dell’avvocato, però, non ha incontrato il favore della Corte la quale ha respinto la richiesta avanzata per il mancato avviso, negando la possibilità di una proroga all’udienza fissata. A nulla, dunque, è contata la rimostranza perpetrata dall’avvocato, il quale ha fatto notare di non essere ancora in possesso della password di consultazione della posta elettronica certificata, per quanto l’0indirizzo fosse già attivo.
Secondo la Cassazione, quando previsto all’articolo 136 del Codice di procedura civile autorizza i cancellieri a effettuare le dovute convocazioni tramite il ricorso alla Pec. una volta che il messaggio è stato inoltrato, la sua lettura o meno diventa di sola responsabilità del ricevente. Dunque, meglio tenere d’occhio la Pec, una volta che si entra in possesso dell’indirizzo.
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