Patto di stabilità e limiti in materia di spesa per il personale

Tanti, troppi i limiti cui sono soggetti gli enti locali in materia di spesa di personale.

Com’è noto la disciplina è diversificata a seconda che l’ente locale sia o meno tenuto al rispetto del patto di stabilità.

A seguito della novella di cui al D.L. n. 78/10 l’ente non soggetto al patto di stabilità è tenuto, senza possibilità di deroga, al rispetto delle previsioni di cui al comma 562 dell’articolo unico della legge n. 296/06 e, dunque, all’obbligo di contenimento della spesa entro il corrispondente ammontare dell’anno 2004 e al limite all’assunzione di personale delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno.

Per gli enti sottoposti al patto di stabilità l’attuale disciplina delle spese del personale è contenuta nell’art. 1, comma 557 della legge n. 296/06, come sostituito dal D.L. n. 78/10, e prevede per tali enti l’obbligo di adottare ogni misura idonea a garantire il contenimento della spesa di personale, da intendersi come riduzione dell’ammontare della spesa per il personale dell’anno precedente.

Dal primo gennaio, è inoltre fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente.

La legge n. 220/10 (legge di stabilità per l’anno 2011) ha infine stabilito che, per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti, sono ammesse, in deroga al limite del 20 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dall’art. 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009 n. 42.

Di fronte a tali limiti gli amministratori locali cercano allora conforto presso quell’organo con cui temono di dover fare i conti… la Corte dei Conti appunto.

E si avvalgono allora di quella funzione consultiva prevista dalla legge n. 131/03 in materia di contabilità pubblica di cui la Corte ha ormai valorizzato una visione dinamica che, spostando l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri, consente di ritenere ammissibili richieste di parere dirette ad ottenere indicazioni sulla corretta interpretazione di disposizioni normative riguardanti la spesa per il personale (che nel suo nucleo originario sarebbe estranea a detta materia) a tutela degli equilibri di finanza pubblica.

Vengono così posti numerosi quesiti relativi ad altrettante fattispecie concrete su cui la Corte dei Conti non potrebbe pronunciarsi (essendo ammissibili le sole richieste di parere su temi di carattere generale), ma che consentono comunque ai giudici contabili di fornire indicazioni generali cui l’amministrazione interessata potrà fare riferimento nell’assumere le decisioni gestionali di sua esclusiva competenza.

Con la Delibera n. 7/2011/SRCPIE/PAR la Sezione piemontese, a seguito di una richiesta di parere da parte di un ente soggetto al patto di stabilità, ha così affermato che l’obiettivo di riduzione della spesa di personale non rappresenta più soltanto un principio di sana gestione, ma un obbligo dalla cui violazione discende, a titolo di sanzione, il divieto di assunzione.

Tali norme devono quindi ritenersi di carattere imperativo e inderogabile, con la conseguenza che l’esclusione di singole voci dall’aggregato “spesa di personale”, come dal legislatore definito, non può che trovare espressa previsione in norme di pari rango che, in quanto espressione di una disciplina speciale, non sono suscettibili di applicazione oltre i casi e i modi da esse norme previsti

Ne discende che anche la maggior spesa derivante dalla trasformazione di rapporti di lavoro part-time in tempo pieno comporta un aumento della spesa di personale, con tutte le conseguenze che ne derivano, sebbene sia imposta dall’art. 4 comma 14 del CCNL Enti Locali 14 settembre 2000 (che prevede il diritto per i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, anche in soprannumero oppure, prima della scadenza del biennio, a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico).

Nessuna norma legittima infatti l’esclusione di detta spesa da quelle di personale rilevanti agli effetti del limite posto dall’art. 1, comma 557, legge n. 296/06.

Al di là di quelle esclusioni previste in appositi interventi normativi non resta pertanto che richiamare il principio di carattere generale, dallo stesso giudice contabile condiviso, per cui sarebbero da escludere dal computo delle spese agli effetti del limite di legge quelle spese di personale necessitate dall’adempimento di disposizioni normative o che, comunque, non incidono sul bilancio degli enti, perché oggetto di rimborso da parte di altro ente o perché a carico di altri finanziamenti comunitari o privati, occorrendo considerare solo gli oneri che comportano un effettivo aggravio per il bilancio dell’ente.

Salvatore Mattia

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