Parcella dell’avvocato: quanto conta il parere dell’Ordine?

Silvia Surano 25/05/12
In un periodo in cui l’abrogazione delle tariffe professionali è argomento centrale, sono moltissimi gli avvocati in seria difficoltà per la riscossione delle parcelle. In tempo di crisi, infatti, percepire il compenso dovuto dal proprio assistito o dalla parte soccombente non è più il naturale epilogo dello svolgimento dell’attività professionale e sempre più spesso, ci si trova costretti a procedere con l’ingiunzione di pagamento.

Nonostante la legge preveda anche un procedimento speciale “agevolato” per la liquidazione delle prestazioni giudiziali civili (art. 29 Legge 13 giugno 1942, n. 794) e, comunque, l’avvocato può sempre scegliere di procedere con decreto ingiuntivo, riuscire ad ottenere il quantum dovuto non è impresa semplice. A conferma di ciò, una recentissima sentenza della Cassazione Civile, n. 7764/2012 depositata il 17 maggio scorso la quale, pur non stravolgendo ma semplicemente riconfermando gli orientamenti giurisprudenziali costanti, sottolinea e ribadisce alcune posizioni in merito alla liquidazione di diritti e onorari del procedimento.

Tre i punti chiave della decisione: in primo luogo, la Corte ridimensiona il ruolo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Se infatti la parcella corredata dal parere di conformità assume il valore di prova privilegiata ed è vincolante per il Giudice chiamato a pronunciare l’ingiunzione, tale valore viene facilmente vanificato dalla semplice opposizione ex art. 645 c.p.c. proposta dal convenuto.

In questo caso la parcella, finanche vidimata dal Consiglio dell’Ordine, assume il valore di semplice dichiarazione unilaterale del professionista, con conseguente inversione dell’onere della prova in merito alla effettività della prestazione, all’applicazione delle tariffe e alla rispondenza delle stesse, valutazione tra l’altro lasciata al libero apprezzamento del giudice.

Ma c’è di più. In seconda battuta la Corte afferma che la valenza probatoria della parcella corredata dal parere dell’Ordine può essere vanificata in sede di opposizione con una “contestazione anche di carattere generico“, la quale “è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione  della pertinente tariffa“.

Secondo la Suprema Corte, quindi, il parere del Consiglio dell’Ordine non ha valore di certificazione amministrativa e non esonera il professionista dal provare il fondamento della sua pretesa, anche in assenza di contestazione specifica.

Da ultimo, la Suprema Corte sottolinea nuovamente la poca importanza della vidimazione del Consiglio dell’Ordine anche in merito alla’applicazione dello scaglione tariffario: l’attestazione, infatti, non fa presumere la veridicità del valore della causa indicato dal professionista, dichiarazione che va verificata e valutata in relazione al grado di accoglimento delle domanda.

Richiamando i principi ex art. 6 D.M. 392/1990, la Corte ricorda che nell’ipotesi dell’accoglimento parziale, nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, nel giudizio per pagamento somme, il valore della causa va calcolato facendo riferimento “alla somma attribuita alla parte vincitrice, piuttosto che quella domandata. In caso di rigetto della domanda, il valore della controversia è determinato dalla somma richiesta, salvo il potere di compensazione, ipotesi riferita alla liquidazione a favore del convenuto vittorioso“.

In conclusione, il professionista che non riesce ad ottenere il compenso, pur decidendo di affidare all’autorità del proprio Ordine di appartenenza la vidimazione della parcella, non è esente dal rischio di vedersi ridotto il compenso e, soprattutto, di dover affrontare le lungaggini di un procedimento ordinario.

Qui il testo integrale della sentenza n. 7764 del 17 maggio 2012


Silvia Surano

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