Sul fronte avverso, i magnati di curia, tra i quali il decano Angelo Sodano e il camerlengo Tarcisio Bertone, sembrano non approvare ed alzano un muro. Fiutando l’aria che tira nel collegio cardinalizio anche in questo caso i nomi si cercano lontano da Roma: il porporato brasiliano di origini tedesche Odilo Pedro Scherer, 64 anni, in servizio a Roma per diversi anni al fianco del cardinale Giovanni Battista Re, quando questi rivestiva la carica di prefetto della congregazione, potrebbe rivelarsi la mossa migliore per consentire ai vertici curiali (Bertone & co.) l’insediamento di un italiano in Segreteria di Stato, il fulcro nevralgico della potenza vaticana.
Il successore alla somma nomina, per la prima volta nella storia bimillenaria della Chiesa romana, potrebbe anche essere un americano. Timothy Micheal Dolan, ad esempio, sessantatreenne arcivescovo della Grande Mela, rimane a titolo legittimo uno dei pochi in grado di riportare alla dirigenza episcopale cattolica quel “vigore sia del corpo che dell’animo” che lo stesso Joseph Ratzinger ha ammesso di aver perduto. Dolan sembra incarnare il candidato ideale per l’intrapresa della svolta ‘disinfettante’ le nefandezze curiali. L’aura progressista che, su opinione di molti, avvolge il profilo di Scherer assume in realtà consistenza puramente geografica se paragonata a quella realmente attivista promossa da Dolan.
Oggi, tuttavia, rispetto al Conclave del 2005, le schiere curiali radunate attorno al nome di Odilo Pedro Scherer, da Roger Mahony a Godfried Danneels, entrambe sotto l’occhio del ciclone per le presunte condotte reticenti nello scandalo dei preti pedofili, sembrano retrocedere e incontrare minori simpatie. Il credo ‘energico’ propagato da Dolan potrebbe rischiare di contrastare anche con gli schieramenti vescolivi che da sempre si sono opposti al magistero di Benedetto XVI. Dolan negli Stati Uniti conduce la squadra di vescovi ‘risolutivi’ che hanno contribuito a riportare in auge la Chiesa cattolica oltre oceano, dopo anni di subordinazione e vicende indecorose.
Oggi sembra non esistere più l’inibizione di una Chiesa cattolica USA condizionata alla prima superpotenza mondiale, innalzando i prelati americani alla schiera dei degni eleggibili. Dagli Stati Uniti, infatti, proviene anche un altro ‘papabile’, Sean Patrick O’Malley, 69 anni, arcivescovo di Boston, profilo affine al disegno di Dolan. Rispetto al ‘collega’ newyorkese, tuttavia, O’Malley sembra possedere una linea meno risoluta nelle abilità direttive. Questa mancanza potrebbe comunque volgersi a favore garantendogli l’imbonimento di una consistente fetta cardinalizia che gli consentirebbe così di varcare la soglia dei due terzi dei voti (77 su 115), che di contro potrebbe rimanere preclusa al vivace, e temuto, arcivescovo di New York.
Il fronte americano non si chiude qui, le riflessioni possono infatti validamente allargarsi a Marc Oullet, di provenienza canadese, cardinale timido da sempre rimasto nelle seconde file, e anche lui di solida estrazione ratzingeriana. Al di là delle congregazioni generali e dei risvolti sconosciuti che potrà assumere la scelta, la frattura episcopale all’interno delle porte conclavarie rimane aperta: da un lato i feudatari di curia, in strenuo riparo dei rispettivi gangli di potere, dall’altro l’ecumene di una Chiesa che si è finalmente opposta alle tristi peregrinazioni della babilonia romana.
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