P.A. Digitale: la regione Basilicata condannata ad utilizzare la P.E.C.

La sentenza n. 478 del 2011, depositata dal T.A.R. Basilicata lo scorso 23 settembre, avrà certamente importanti effetti pratico-giuridici in tema di Pubblica Amministrazione Digitale.

Per la prima volta dall’adozione del Codice dell’Amministrazione Digitale e dalla previsione del diritto all’uso delle nuove tecnologie (art. 3 del C.A.D.), un Tribunale viene chiamato ad esprimersi in merito attraverso una Class Action pubblica, attivata da Associazioni e cittadini.

1. La vicenda

Qualche mese addietro il movimento “Radicali Italiani” e l’Associazione “Agorà Digitale”, unitamente ad alcuni cittadini, affermando la propria volontà di ricorrere all’uso delle tecnologie info-telematiche ed in attuazione del Decreto Legislativo 20 dicembre 2009 n. 198 in tema di efficienza della pubblica amministrazione (c.d. Class Action), invitavano la Regione Basilicata a pubblicare sulle pagine del proprio sito web l’indirizzo di Posta Elettronica Certificata in adempimento a quanto previsto dall’art. 54, comma 2 ter, del D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale); gli stessi soggetti invitavano altresì la Regione ad adottare tutti gli atti amministrativi necessari a garantire l’effettiva possibilità per gli utenti di comunicare con la Regione medesima attraverso la PEC. Infatti, fino ad allora, la Regione Basilicata non aveva adempiuto all’obbligo di pubblicazione del proprio indirizzo PEC sul sito web istituzionale.

Successivamente, a causa del silenzio e dell’inattività della P.A. rispetto alle richieste riportate nell’invito precedentemente inviato, gli istanti provvedevano ad instaurare una Class Action innanzi al T.A.R. per la Basilicata previa notifica di un ricorso per l’efficienza delle amministrazioni in virtù di quanto disposto dal D.Lgs 198/2009.

Il giudizio si è ora concluso con la decisione n. 478/2011 con la quale il T.A.R. ha condannato la Regione Basilicata ordinandole di porre in essere gli adempimenti necessari ad adempiere agli obblighi di pubblicazione del proprio indirizzo PEC e a rendere effettivo il diritto degli utenti di comunicare tramite tale mezzo informatico, condannando la P.A. – non costituitasi in giudizio – anche alle rifusione delle spese legali.

Sicuramente la conclusione cui è giunto il Tribunale Amministrativo è estremamente interessante, ma ancora più interessante sono le argomentazioni utilizzate ed alcuni principi di diritto sanciti.

2. La legittimazione e l’interesse ad agire nella class action per i diritti digitali

Uno degli aspetti più interessanti in punto di diritto presi in esame dalla sentenza n. 478/2011, riguarda le condizioni dell’azione “class action”, con particolare riferimento alla legittimazione e all’interesse ad agire.

Orbene, in merito alla legittimazione ad agire, il Tribunale Amministrativo ha elaborato un principio di fondamentale importanza individuando di fatto quali soggetti sono titolati ad instaurare la class action per la tutela dei diritti digitali.

Con particolare riferimento alle Associazioni – sostiene il Tribunale – le stesse non sempre possono considerarsi legittimate ad instaurare la procedura di cui al D.Lgs. 198/2009. Affinchè il requisito della legittimazione ad agire possa ritenersi validamente rispettato, il T.A.R. richiede che le associazioni “dimostrino di possedere sufficienti indici di rappresentatività degli interessi diffusi di una particolare categoria di utenti”. Vale a dire che non è sufficiente essere costituiti in generica associazione, anche se a tutela del ripristino della legalità violata, per poter validamente azionare una class action; e ciò vale con particolare riferimento al caso in cui quest’ultima abbia ad oggetto la tutela dei diritti e delle libertà digitali.

Ciò che il T.A.R. afferma è dunque il principio secondo il quale la tutela dei diritti digitali può essere invocata solo allorchè l’associazione sia rappresentativa dello specifico interesse asseritamente leso dalla P.A. a causa della mancata attuazione delle disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale. Nel caso di specie è stato ritenuto che la menzione nello statuto dell’Associazione Agorà Digitale del fine di “difendere le libertà digitali” potesse essere considerato sufficiente a dimostrare la legittimazione ad agire della detta associazione.

Ulteriore principio elaborato dal Tribunale Amministrativo nella sentenza 478/2011, riguarda la verifica dell’interesse al ricorso ai fini del quale si ritiene che debba essere effettuata una distinzione tra il caso in cui la class action sia instaurata da singoli cittadini ed il caso in cui la stessa sia instaurata da Associazioni.

Partendo dal requisito richiesto dal Legislatore con l’art. 1, comma 1, del D. Lgs. 198/2009, secondo il quale la proposizione dell’azione è condizionata alla sussistenza di una “lesione diretta, concreta ed attuale”, il T.A.R. afferma che qualora i ricorrenti siano singoli cittadini, questi devono dedurre quale lesione personale abbiano subito o possano subire in concreto rispetto al proprio interesse omogeneo a quelli di una determinata classe di utenti o consumatori. In particolare si specifica che, nel caso di doglianza in merito alla mancata pubblicazione dell’indirizzo PEC sul sito web della Regione Basilicata, ai fini dell’individuazione dell’interesse personale concretamente leso, risulta “necessario individuare un criterio di prossimità tra il titolare dell’interesse e l’ente pubblico in relazione ad una specifica funzione pubblica o ad uno specifico servizio pubblico erogato dall’ente di cui il soggetto ricorrente […] prospetti di volere o dovere fruire avvalendosi delle tecnologie telematiche di comunicazione”.

Al contrario, qualora la class action venga instaurata da un’associazione o ente, non occorre indagare sull’interesse concreto al ricorso, ma deve essere effettuata una valutazione in merito al grado di rappresentatività dell’ente ed alle sue finalità statutarie.

3. Le conseguenze della mancata attuazione del diritto all’uso delle comunicazioni info-telematiche

Dopo aver esaminato gli aspetti relativi alle condizioni dell’azione, il T.A.R. entra nel merito e, per la prima volta, trovano applicazione a seguito di un giudizio instaurato innanzi ad un Tribunale le norme previste dal Codice dell’Amministrazione Digitale riferite ai diritti dei cittadini e delle imprese all’uso delle nuove tecnologie.

Il Tribunale, dopo aver argomentato in merito alla reale, concreta ed immediata imposizione alle regioni di pubblicazione dell’indirizzo di PEC sulle home page dei rispettivi siti web in virtù del combinato disposto degli artt. 2 e 54 comma 2 ter, D. Lgs. 82/2005 (come modificato ed integrato dal D. Lgs. 235/2010), nonché in ragione di quanto disposto dalle “Linee guida per i siti web delle P.A. – Anno 2010”, rileva che il detto quadro normativo delinea un comportamento esigibile da parte delle Regioni consistente nell’obbligo di soddisfare le richieste di ogni interessato a comunicare in via informatica tramite la posta elettronica certificata.

Il TAR, però, si spinge ben oltre, al punto da ritenere che la mancata pubblicazione dell’indirizzo PEC sul sito web della Regione, determina un vero e proprio disservizio che, costringendo gli interessati a recarsi personalmente presso gli uffici e a far uso della carta, ha riflessi negativi sulle modalità di esercizio del diritto di partecipazione al procedimento amministrativo con conseguente violazione anche dell’art. 4 del C.A.D..

La portata delle conclusioni cui giunge il Collegio è estremamente rilevante in quanto, per la prima volta, un Tribunale è chiamato a tutelare i diritti digitali dei cittadini sanciti dal Codice dell’Amministrazione Digitale. Di fatto la sentenza n. 478/2011 ha sancito il diritto di richiedere l’attuazione concreta delle norme previste dal Codice dell’Amministrazione Digitale con specifico riferimento al diritto di comunicare con la P.A. tramite l’uso di strumenti info-telematici.

L’auspicio è che questa sentenza possa costituire un ulteriore impulso nei confronti delle Amministrazioni che ancora non fossero adempienti rispetto a quanto stabilito dal C.A.D., affinchè le stesse decidano finalmente di rendere possibile la partecipazione concreta ed attuale dei cittadini ai procedimenti attravero l’uso delle tecnologie info-telematiche anche pubblicando il proprio indirizzo PEC sull’home page dei siti web… non foss’altro per evitare condanne in sede giudiziaria che sanciscano l’inadempienza dell’Ente!

Stefano Laguardia

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