L’Ordinanza del Consiglio di Stato n.3971 del 16 settembre 2016 (cd. guerra dei ROLEX)

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Laura Bottici, Senatrice della Repubblica, con il ricorso TAR Lazio 4760/2016 ha rappresentato quanto segue.

In data 8 e 9 novembre 2015, una delegazione del Governo Italiano si recava in visita in Arabia Saudita, con il Presidente del Consiglio dei Ministri. Nell’occasione, secondo quanto riportato da organi di stampa, i delegati italiani “si sono accapigliati” per i doni dei sovrani sauditi.

L’increscioso episodio induceva la Senatrice Laura Bottici in qualità di Senatore Questore in carica, al fine di acquisire una maggiore e più completa cognizione dei documenti ritenuti necessari all’esercizio della propria attività istituzionale e delle funzioni di sindacato ispettivo, a formulare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una richiesta di accesso formale agli atti e ai luoghi relativi ai doni di rappresentanza ricevuti dal Governo Italiano e custoditi a Palazzo Chigi negli ultimi dieci anni e nello specifico a quelli rivelati da il Fatto Quotidiano venerdì 8 gennaio 2016, riguardanti i regali agli oltre 50 ospiti di Roma: cronografi dal valore di 3-4 mila euro e Rolex da decine di migliaia di euro.

Il fondamento normativo della richiesta

Il fondamento normativo della richiesta veniva così individuato: “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 22, comma 5, della l. 7 agosto 1990 n. 241 e ss.mm.ii e del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, confidando nella leale cooperazione istituzionale codificata come principio normativo della predetta legge, visti i Pareri espressi dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 18 marzo 2014 e 24 luglio 2014, nei quali la predetta Commissione ha ritenuto applicabile il principio di cui all’articolo 22, comma 5, della legge 241/1990, in forza del quale l’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici si informa al principio di leale cooperazione istituzionale”, altresì precisando che “tale principio, naturalmente, va inteso come una accessibilità maggiore rispetto a quella prevista dalla legge 241 del 1990″.

La Presidenza del Consiglio, sottoposta la questione alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nella seduta del 21 gennaio 2016, esprimeva diniego alla istanza di accesso così formulata, con nota del 3 febbraio 2016 a firma del Segretario Generale. In data 2 febbraio 2016 l’interessata adiva, quindi, la Commissione affinché riesaminasse il diniego dell’accesso ai documenti amministrativi ai sensi dell’art. 25 della legge 241/90. Con la decisione del 15 marzo 2016, n. 17, il predetto Organismo dichiarava inammissibile il ricorso.

Con il citato ricorso al TAR, la ricorrente ha dunque chiesto l’annullamento degli atti suddetti oltre che l’accertamento e la declaratoria del proprio diritto di accesso e l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti ai sensi dell’art. 116 d.lgs. n. 104/2010 e delle informazioni richieste.

La ricorrente in primis ricordava che il regolamento del Senato attribuisce ai Questori il compito di sovrintendere al cerimoniale e quindi di avere un interesse diretto, concreto e attuale a richiedere l’accesso agli atti per verificare se nel caso in questione ci siano state effettivamente delle violazioni alle prescrizioni protocollari relative al cerimoniale.

La Senatrice/ricorrente inoltre,  lamentava nel merito che la decisione di diniego assunta dalla Presidenza del Consiglio e quella della Commissione sono in violazione della L. 241/1990 nella parte in cui consente l’accesso ai documenti amministrativi a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, anche alla luce del nuovo impianto normativo introdotto con L. 15/2005 e con la successiva L. n. 69/200. Gli atti impugnati sono altresì in contrasto con gli artt. 41 e 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e l’art. 15 del TFUE.

La Commissione – lamentava la ricorrente – ha omesso di motivare il proprio assunto circa la non applicabilità alla richiesta di accesso ai documenti rivolti da un senatore della Repubblica della disposizione di cui all’art. 22, comma 5, della legge 241 del 1990, che regola l’acquisizione di documenti da parte di soggetti pubblici, tra cui debbono ritenersi ricompresi i parlamentari. Detto accesso è ammesso e regolamentato dal principio di leale collaborazione introdotto con la l. cost. n. 3 del 2001.

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La decisione del TAR

Il TAR investito del ricorso ha preliminarmente accolto l’eccezione di inammissibilità laddove è rivolto a ordinare all’ente convenuto di fare effettuare alla ricorrente un sopralluogo dove sono custoditi i regali di Stato. Nella specie si tratta, a giudizio del Collegio, di pretesa non ricompresa nell’oggetto del ricorso, azionato ai sensi dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e avente ad oggetto documenti amministrativi, cioè atti già formati e detenuti nella loro materialità.

Il TAR ha ritenuto poi non riconducibile all’area precettiva della norma, l’accesso c.d. informativo, che concerne un’attività di cognizione e di giudizio non ancora tradotta nello strumento documentale (C.d.S., VI, 21 settembre 2005, n. 4929), per cui la richiesta ostensiva non può trovare corso qualora la documentazione richiesta neppure esista (nemmeno in proporzioni più ampie e con contenuti aggregati), ma occorrerebbe costruirla ab ovo attraverso un’apposita istruttoria, atteso che l’istituto dell’accesso deve pur sempre avere ad oggetto documenti, e non pure informazioni (C.d.S., V, 27 maggio 2011, n. 3190).

Il TAR ha in seguito osservato che l’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241 riconosce “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge (1° comma); ai sensi del successivo art. 25, “il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge” (1° comma), e “la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente” (2° comma).

Secondo la richiamata disciplina sul procedimento amministrativo, ergo, i portatori di un interesse specifico hanno diritto di accesso ai documenti amministrativi per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, intendendo per tali le situazioni giuridiche soggettive che presentino un collegamento diretto e attuale con il procedimento amministrativo cui la richiesta di accesso si riferisce.

Chiarisce il TAR che il concetto di interesse giuridicamente rilevante, sebbene sia più ampio di quello di interesse all’impugnazione, non è tale da consentire a chiunque l’accesso agli atti amministrativi: il diritto di accesso ai documenti amministrativi non si atteggia, infatti, come una sorta di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione, poiché, da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, dall’altro, la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile (Cons. Stato, VI Sez., 17 marzo 2000 n. 1414; 3 novembre 2000 n. 5930).

Chi ha titolo all’accesso

In definitiva, a giudizio del TAR, hanno titolo all’accesso tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Sono tenuti a consentire l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi detenuti tutti i soggetti di diritto pubblico ed i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, compresi i gestori di pubblici servizi (art. 22, comma 1, lett. e, ed art. 23 L. 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni).

L’acquisizione di documenti amministrativi da parte dei soggetti pubblici

Per quanto concerne l’acquisizione di documenti amministrativi da parte dei soggetti pubblici (salva l’ipotesi di cui all’ art. 43, comma 2, D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 – consultazione diretta da parte di una pubblica amministrazione o gestore di servizio pubblico degli archivi dell’amministrazione certificante per l’accertamento d’ufficio di stati, qualità e fatti ovvero di dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini -) è regolamentata dal principio di leale collaborazione istituzionale (art. 22, comma 1, lett. b) e comma 5, legge n.241/1990), per cui la relativa esigenza deve trovare soluzione in rapporti di tipo interorganico o intersoggetivo, avvalendosi a seconda dei casi, di soluzioni di coordinamento, vigilanza, direzione o semplice collaborazione.

Il principio di leale collaborazione istituzionale

Il principio di leale collaborazione istituzionale viene interpretato dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che esso non possa escludere la configurabilità in concreto del ricorso all’istituto dell’accesso da parte di una pubblica amministrazione (intesa ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. e) della legge n. 241/1990 come “tutti i soggetti di diritto pubblico …”) nei confronti di un’altra. Ciò è stato affermato, sia nell’ipotesi in cui la prima si trovi in posizione di soggetto amministrato rispetto alla seconda e in quanto tale abbia titolo all’accesso alla stessa stregua di un soggetto privato (così, Cons. Stato, V, 7 novembre 2008, n. 5573), sia più in generale nell’ipotesi di soggetti pubblici aspiranti a un’acquisizione documentale (id., 27 maggio 2011, n. 3190).

Appare evidente che in un sistema di soggetti pubblici tanto pletorico e disarmonico come quello nazionale non vi sarebbe infatti ragione di ritenere riservato ai privati tale istituto, che offre il non trascurabile vantaggio di uno statuto di precise garanzie e di tutela giuridica anche in sede giudiziale e di abbandonare invece in toto i soggetti pubblici che siano interessati ad ottenere un’ostensione documentale alle incognite di una collaborazione spontanea dell’Amministrazione legittimata passiva.  Alla stregua delle suddette argomentazioni, il TAR investito del ricorso in analisi deduce che l’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990 annovera pur sempre tra i soggetti “interessati” anche i portatori di interessi pubblici e che quindi anche un “soggetto pubblico” può  avvalersi, ove ritenga, dell’istituto dell’accesso ai documenti (cfr. anche C.d.S., V, 7 novembre 2008, n. 5573).

Il principio di leale cooperazione istituzionale

Anche il richiamo legislativo al principio di leale cooperazione istituzionale ha valenza in tal senso, atteso che tale diritto/dovere d’Accesso tra soggetti pubblici, esige comportamenti coerenti e non contraddittori e un confronto su basi di correttezza e apertura alle altrui posizioni e al contemperamento degli interessi. Tale regola di correttezza non tollera dunque  atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motivati (cfr., tra le tante, C. Cost. n. 379 del 27/7/1992 e n. 242 del 18/7/1997).

Lo stesso principio – deduce il TAR – è allora suscettibile di rilevare non solo come criterio orientativo per l’interpretazione specifica delle norme generali in tema di accesso, ma anche quale regola ulteriore, complementare e di diritto speciale, ossia come regolamento aggiuntivo per stabilire se la singola richiesta ostensiva del soggetto pubblico debba avere corso. Statuto che acquista precisione di contorni specialmente se calato all’interno del particolare modulo relazionale di diritto pubblico che (eventualmente) intercorra tra i soggetti attivo e passivo dell’accesso, e che integra una cornice di particolare ausilio per decifrare la misura della cooperazione istituzionale dovuta (C.d.S., V, 27 maggio 2011, n. 3190).

Chi è ricompreso nella nozione di “soggetto pubblico”

Osserva coerentemente il Collegio che nella nozione di “soggetto pubblico” va ricompreso anche il parlamentare e, nello specifico, il Senatore Questore ricorrente. All’atto della richiesta di accesso, la Senatrice risultava portatrice di un interesse specifico e giuridicamente rilevante, dirigendosi la sua richiesta nei confronti degli atti e documenti relativi ai doni di rappresentanza ricevuti dal Governo italiano e custoditi a Palazzo Chigi negli ultimi dieci anni e, nello specifico, a quelli rivelati da il Fatto Quotidiano di venerdì 8 gennaio 2016, riguardanti i regali agli oltre 50 ospiti di Roma.

L’interesse perseguito dalla ricorrente è dunque a giudizio del TAR, certamente meritevole di tutela, in quanto personale e concreto, non emulativo né riconducibile a mera curiosità, né finalizzato ad un generale controllo di legalità sull’azione amministrativa, bensì strettamente legato alle sue funzioni istituzionali e orientato al sindacato ispettivo di cui la stessa è investita. Dalla lettura dei quotidiani è emerso che i delegati italiani “si sono accapigliati” per i doni dei sovrani sauditi (cronografi dal valore di circa 3.000/4.000 euro e Rolex da decine di migliaia di euro). Emergerebbe dunque l’ipotesi di una violazione delle regole di condotta da tenere nel corso di un cerimoniale e in particolare l’ordine delle precedenze da osservare tra le cariche pubbliche. Poiché il regolamento del Senato attribuisce ai Questori il compito di sovrintendere al cerimoniale, la ricorrente ha un interesse diretto, concreto e attuale a richiedere l’accesso agli atti per verificare se nel caso in questione ci siano state effettivamente delle violazioni alle prescrizioni protocollari relative al cerimoniale.

Per altro verso – osserva il TAR – la possibilità per gli organi parlamentari di ricorrere a strumenti specifici d’indagine, d’altra parte attribuiti all’organo collegiale, non esclude la legittimazione del singolo al generale istituto dell’accesso, nel ricorso dei presupposti sopra precisati.

Il Tar Lazio sezione I, con sentenza 28.07.2016 n.8755, ha dunque annullato il divieto di accesso e concesso alla ricorrente la visone dei documenti.

L’interessante vicenda è però proseguita in seconde cure.

L’Ordinanza del Consiglio di Stato

Con ricorso n.6638 del 2016 la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore ha prontamente proposto appello per la riforma della suddetta sentenza TAR, contestualmente depositando in via incidentale domanda di sospensione dell’efficacia della stessa.

Con Ordinanza del 16 settembre 2016 in via preliminare il Consiglio di Stato ha ritenuto, nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, che l’appello dell’Amministrazione non appare prima facie privo di fumus, osservando che il disposto del comma 5 dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, lungi dal configurare un’ipotesi speciale di accesso svincolata dagli ordinari presupposti di legge a vantaggio dei soggetti pubblici, si limita piuttosto a rinviare agli strumenti di volta in volta predisposti dall’ordinamento per le acquisizioni di informazioni e documenti amministrativi da parte di tali soggetti, ribadendo che questi devono essere comunque improntati al principio generale di leale collaborazione tra istituzioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2008, nr. 5573).

Il Consiglio di Stato ha poi osservato che, in capo al singolo parlamentare, per l’esercizio del proprio mandato, l’ordinamento predispone codificati strumenti di sindacato (interrogazioni, interpellanze etc.), che esauriscono l’ambito delle modalità con le quali egli può compiere le predette acquisizioni, né d’altra parte esistono norme analoghe a quelle dettate a favore dei Consiglieri comunali e regionali.

Pertanto, deduce il Consiglio di Stato, l’istanza di accesso formulata da un parlamentare va qualificata alla stregua di quella di un comune cittadino, non condividendo evidentemente la tesi della parte appellata secondo cui, in virtù della sua “semplice” qualità di Senatore/Questore, sarebbe titolare di un diritto di accesso più ampio, con il conseguente onere di allegare un interesse giuridicamente qualificato, riconducibile ad una ben individuata situazione soggettiva di natura personale e non al generico esercizio delle funzioni di parlamentare.

Il Consiglio di Stato ha dunque rinviato all’udienza di merito l’approfondimento della trattazione, accogliendo medio tempore l’istanza cautelare depositata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dunque sospendendo l’esecutività della sentenza TAR che aveva ritenuto illegittimo il diniego di accesso alla ricorrente e dunque consentito alla stessa la visione dei documenti.

Nelle more dell’Udienza di trattazione nel merito, la combattiva Senatrice ha depositato Atto di Sindacato Ispettivo n° 3­-03171 pubblicato il 29 settembre 2016, nella seduta n. 689.

In particolare la Senatrice  ha “richiamato” al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento che il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, all’articolo 4, prescrive che il dipendente pubblico non può accettare, per sé o per altri, regali o altre utilità di valore superiore a 150 euro e che, ove ciò avvenga, i regali sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.

La Senatrice ha consequenzialmente chiesto al suddetto Ministro della Repubblica se intenda dunque e per ciò stesso, fornire relazione circa l’attuazione ed esecuzione del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, in riferimento ai doni di rappresentanza ricevuti dal Governo e, con particolare riguardo alla vicenda in analisi, se intenda fornire notizie, dati o documenti, in riferimento ai doni di rappresentanza ricevuti dal Governo italiano e custoditi a Palazzo Chigi, negli ultimi 10 anni e, nello specifico, quelli rivelati da “il Fatto Quotidiano”, in data 8 gennaio 2016 (cd. guerra dei ROLEX).

Una curiosità…

Dalla attesa risposta del Ministro dovrebbe venire alla luce anche la davvero curiosa “sorte” di famosi due cammelli, gentile dono di Gheddafi all’allora Presidente del Consiglio dei Ministri (Berlusconi).

 

Pietro Alessio Palumbo

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