Come noto le norme del Patto di stabilità interno e gli obiettivi che, di anno in anno, vengono fissati dalle leggi di finanza pubblica, assumono rilievo nell’ordinamento contabile sia ai fini del rispetto dei vincoli posti all’Italia dall’appartenenza all’area della moneta unica europea, sia in generale ai fini del raggiungimento degli equilibri di bilancio dell’intero settore pubblico.
Gli obiettivi posti dal patto condizionano (e le eventuali violazioni sono sanzionate), l’ autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali poichè definiscono limiti complessivi di spesa e rappresentano principi di coordinamento della finanza pubblica ai sensi del comma 3 dell’art. 117 cost. (ex plurimis Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 4; 17 maggio 2007, n. 169; 5 dicembre 2007, n. 412; 6 giugno 2008, n. 190; 18 luglio 2008, n. 289; e 28 aprile 2011, n. 155).
Le disposizioni in tema di patto di stabilità interno hanno natura cogente poiché tutti gli enti destinatari sono tenuti ad osservarle, fin dalla formulazione del bilancio preventivo (anche se l’effettivo scostamento è accertabile solo al termine dell’esercizio).
Gli articoli 30, 31 e 32 della legge n. 183 del 12 novembre 2011 (legge di stabilità 2012) disciplinano la materia per il triennio 2012-2014. In particolare i commi 30 e 31 del citato articolo 31 introducono misure volte ad assicurare il rispetto della disciplina impedendo comportamenti elusivi:
“I contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno sono nulli.
Qualora le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti accertino che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive, le stesse irrogano, agli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno, la condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione e, al responsabile del servizio economico-finanziario, una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali”.
Mentre la fattispecie della non corretta imputazione delle spese o delle entrate è espressamente prevista e sanzionata dalla norma, spetta invece all’interprete individuare quali possano essere le condotte rientranti nelle altre “altre forme elusive”.
In materia, secondo la Corte è possibile trovare utili spunti in altri rami dell’ordinamento che, ormai da tempo, vedono la presenza di clausole generali idonee ad individuare comportamenti i quali, ancorché apparentemente rispettosi del dato normativo, sono idonei a frustrare gli obiettivi perseguiti dalla norma o a perseguire finalità antitetiche rispetto a quelle tutelate dall’ordinamento.
Ad esempio, nel campo del diritto civile, la giurisprudenza ha da tempo approfondito l’analisi delle fattispecie violative del principio di buona fede, in relazione all’abuso dei diritti conferiti da un rapporto obbligatorio (ex plurimis Cass., sez. III, 4 maggio 2009 n. 10182; Cass., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28286).
Analogamente, in ambito tributario, l’esistenza di una clausola generale di divieto dell’elusione è stata tratta da parte della giurisprudenza di legittimità dal principio di buona fede operante nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, che preclude a quest’ultimo un’artificiosa scomposizione dell’operazione economica al fine di fruire di agevolazioni fiscali pur previste dall’ordinamento (Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2008 n. 30055, pronuncia che si inserisce nel solco di quella comunitaria, Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006 c. 255/02, Halifax).
Applicando tali principi alla materia contabile, al fine del contenimento del saldo complessivo di “indebitamento, o accreditamento, netto” del settore pubblico, è necessario che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali tengano un comportamento improntato al principio di leale collaborazione, che deve permeare i rapporti tra i diversi livelli di governo dell’ordinamento della Repubblica (cfr ex plurimis Corte Cost., 1 ottobre 2003, n. 303).
Ad avviso della Corte, quindi, i riferiti dati normativi e giurisprudenziali evidenziano che la possibilità di ravvisare una forma elusiva del patto di stabilità interno sussiste principalmente laddove l’ente interessato, in modo preordinato, realizzi un’operazione economica che, pur legittima in sé, sia idonea a a nascondere il peso finanziario, che, sia pure indirettamente, andrà aper gravare sulle poste debitorie dell’ente.
In questa ipotesi, quindi, a differenza che nel caso della non corretta imputazione, è proprio l’esistenza della spesa che viene mascherata. Ciò tramite un comportamento contrario a buona fede, in quanto l’ente, anziché scegliere lo strumento negoziale ritenuto maggiormente soddisfacente per il pubblico interesse, e, di conseguenza, rimanere assoggettato alla relativa disciplina contabile, costruisce l’operazione nel modo che ritiene maggiormente opportuno in relazione alla normativa finanziaria ritenuta più vantaggiosa.
La Circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 5 del 14/02/2012 precisa che si configurano fattispecie elusive del patto di stabilità interno ogni qualvolta siano attuati comportamenti che, pur legittimi, risultino intenzionalmente e strumentalmente finalizzati ad aggirare i vincoli di finanza pubblica. Ne consegue che risulta decisiva, nell’individuazione della fattispecie di cui ai richiamati commi 30 e 31, la finalità economico-amministrativa alla base del provvedimento adottato.
L’elusione delle regole del patto di stabilità interno, si realizza, ad esempio, quando alcune spese sono poste al di fuori del perimetro del bilancio dell’ente evidenziandosi invece in quello delle società partecipate (magari create con lo specifico fine di aggirare i vincoli del patto medesimo).
Sempre a fini esemplificativi, paiono riconducibili alle forme elusive anche le ipotesi di evidente sottostima dei costi dei contratti di servizio tra l’ente e le sue articolazioni societarie o strumentali (con copertura rimandata agli esercizi futuri) nonché l’illegittima traslazione di pagamenti, realizzata, ad esempio, attraverso un utilizzo improprio delle concessioni di crediti a società partecipate.
Altri esempi sono la sovrastima di entrate o gli accertamenti effettuati in assenza dei presupposti indicati dall’articolo 179 del TUEL.
In tutti questi casi, è evidente che alla rappresentazione contabile sfuggiranno gli oneri finanziari effettivamente ricadenti sull’amministrazione procedente nell’anno di realizzazione dell’operazione economica sottostante.
Già anteriormente all’entrata in vigore della legge n.183/2011 (e della legge n. 111/2011 che, per prima, ha introdotto la sanzione per le fattispecie elusive), la Corte aveva avuto modo di affrontare il tema della potenziale natura elusiva di determinate operazioni contrattuali.
L’individuazione delle medesime è proseguita, a seguito della menzionata novella legislativa, in sede di attività consultiva. Sono state, per esempio, individuati profili d’illegittimità per le operazioni di:
– accollo del debito di un ente locale da parte di una propria azienda speciale (potenziale espediente per eliminare dal bilancio dell’ente locale un debito, trasferendolo presso un ente strumentale non soggetto al regime vincolistico, in tal modo determinando una sostanziale violazione della normativa relativa al patto di stabilità o di altre disposizioni cogenti in materia di indebitamento, cfr. Sezione Emilia Romagna, 19 gennaio 2012 n. 5);
– accordi tra enti locali e intermediari finanziari, diretti ad assicurare liquidità alle imprese che vantano crediti nei confronti dell’ente stesso, attraverso la cessione pro soluto degli stessi (nella considerazione dei possibili oneri che tali accordi potrebbero determinare per il bilancio dell’ente e per l’intrinseca potenzialità elusiva alle regole del patto, cfr Sezione Toscana n. 5/2012).
In termini più generali, si può affermare che la possibile attrazione di una determinata fattispecie contrattuale nel perimetro applicativo delle forme elusive del patto di stabilità non può essere definito ex ante, ma richiede un complessivo e analitico approfondimento circa la struttura dell’operazione, le modalità di imputazione della relativa spesa e la complessiva influenza sulla gestione finanziaria dell’ente.
In particolare, dovranno ritenersi precluse quelle attività che possano determinare risultati analoghi alla non corretta imputazione nei capitoli di spesa, trasferendo all’esterno o rinviando a futuri esercizi spese che, tuttavia, risultano di fatto già gravare la contabilità dell’ente.
Con riguardo alle operazioni contrattuali concernenti trasferimento di beni immobili o realizzazione di opere pubbliche, ipotesi potenzialmente elusive sono state rinvenute nell’utilizzo improprio di alcuni strumenti contrattuali, quali il leasing immobiliare per la realizzazione di opere pubbliche, il project financing ed il sale and lease back, di per se leciti e ammessi dall’ordinamento, ma potenzialmente violativi nel momento in cui l’amministrazione locale vi faccia ricorso solo per rispettare formalmente la disciplina del patto di stabilità.
Infatti potrebbe accadere che l’ente, prescindendo da valutazioni di convenienza economica, stipuli, nella sua capacità di diritto privato, tali contratti con la sola finalità di rinviare artificiosamente gli oneri finanziari sugli esercizi futuri per via della limitata capacità, a causa delle regole del patto, di attivare spesa d’investimento (o meglio, di procedere ai relativi pagamenti).
Va pure precisato che in alcuni di questi casi l’utilizzo improprio del contratto è finalizzato non tanto al rispetto formale dei vincoli del patto, ma ad eludere le sanzioni in caso di avvenuta inottemperanza a norme di divieto, con particolare riferimento a quella di contrarre indebitamento (o, in alternativa, ad assumerne oltre i tetti posti dall’art. 204 del TUEL).
Ciò è stato appurato in particolare per:
– leasing immobiliare pubblico, nel caso in cui la presenza di particolari clausole contrattuali (per es. l’obbligo e non la mera facoltà di riscatto del bene) ne snaturino la finalità e lo facciano diventare uno strumento atipico di finanziamento. Si rimanda, per approfondimenti, alle deliberazioni della Sezione n. 1139/2009/PAR e n. 953/2010/PAR oltre che, da ultimo, a Sezioni Riunite n. 49/CONTR/2011;
– project financing, operazione potenzialmente elusiva nel momento in cui vi si faccia ricorso solo per l’impossibilità di attivare nuovi investimenti per via dei vincoli apposti, dal patto, ai pagamenti o per le limitazioni all’indebitamento (sempre che le clausole contrattuali evidenzino la sostanziale assenza di traslazione dei rischi a carico del privato). Si rinvia, in merito, alla deliberazione della Sezione n. 1003/2010/PRSE.
– sale and lease back o locazione finanziaria di ritorno (vendita del bene a società di leasing con successiva concessione in godimento al medesimo venditore, previo pagamento di un canone periodico e opzione di riacquisto finale), operazione che, sul piano economico, può permettere di raggiungere le medesime finalità della vendita con patto di riscatto, e che può essere elusiva nel momento in cui miri soltanto a procurare immediata liquidità all’ente alienante attraverso un’operazione che, di fatto, per le modalità di restituzione o le altre clausole contrattuali, dissimuli l’assunzione di un debito (si rinvia alla deliberazione della Sezione n. 953/2010/PAR, nonché a quella della Sezione Campania n. 339/2011/PAR).
La Corte, dopo aver richiamato i suddetti precedenti in discorso, passa ad affrontare la questione che le è stata sottoposta e che attiene all’eventuale potenzialità elusiva delle regole del patto di un contratto di compravendita di un immobile di proprietà del Comune.
La vendita con patto di riscatto è caratterizzata dalla facoltà concessa al venditore (nel caso di specie, il Comune) di riacquistare la proprietà della cosa alienata, facoltà che trova il suo fondamento nell’intento di consentire il riacquisto di un bene da parte di chi si sia trovato nella necessità di alienarlo solo per ovviare ad una situazione di difficoltà finanziaria contingente.
Si tratta perciò di una vicenda in cui il ritorno all’alienante del bene (già transitato nel patrimonio dell’acquirente) è frutto dell’esercizio di un diritto potestativo. Nella fattispecie non è necessariamente riscontrabile il collegamento con un contratto di mutuo o di finanziamento.
La giurisprudenza civilistica, per accertare se tale figura rientri nel divieto del patto commissorio (art. 2744 cod. civ.), verifica l’esistenza o meno di un collegamento tra tale contratto e un rapporto obbligatorio di mutuo. L’analisi è condotta caso per caso individuando l’utilizzo di clausole che rendano evidente la strumentalizzazione della causa di scambio rispetto a quella di garanzia (cfr. per tutte Cassazione, SS.UU. n. 1907/1989). In tal modo si svela un contratto che, pur apparentemente avente causa di scambio, è caratterizzato dalla funzione di finanziamento con conseguente nullità per contrasto con l’art. 2744 del codice civile (nella sostanza sarebbe un contratto costitutivo di garanzia reale atipica).
Utilizzando parametri ermeneutici similari si può affermare secondo la Corte che la valutazione della potenzialità elusiva dell’operazione di vendita con patto di riscatto sia ai fini del divieto del patto commissorio e sia ai fini del corretto adempimento delle prescrizioni poste dal patto di stabilità va valutata in concreto, alla luce della complessiva operazione economica e giuridica posta in essere dalle parti.
Una prima indicazione può essere tratta dalla citata Circolare MEF-RGS n. 5 del 14/02/2012 che, a fini esemplificativi, considera elusive, nell’ambito delle valorizzazioni dei beni immobiliari, anche le operazioni poste in essere dagli enti locali con società partecipate con la finalità esclusiva di reperire risorse finanziarie “senza giungere ad una effettiva vendita del patrimonio”.
Di conseguenza le operazioni dalle quali non traspaia una “effettiva volontà di vendita del patrimonio” possono essere valutate, ricorrendo altre circostanze concrete, come potenzialmente elusive degli obiettivi posti dal Patto, posto che, a fronte dell’adozione di un contratto caratterizzato da una causa di scambio, la realtà dell’operazione economica farebbe trasparire il perseguimento di altri obiettivi (di finanziamento, garanzia, etc.).
In particolare, secondo la Corte, rifacendosi a quanto precisato dalla Sezione nei pareri n. 15/2006/PAR e n. 953/2010/PAR (oltre che all’analogo pronunciamento della Sezione Campania n. 339/2011/PAR) è possibile individuare ulteriori coordinate interpretative al fine di valutare l’operazione come economicamente conveniente e congrua (prima ancora che non potenzialmente elusiva delle regole poste dal Patto).
Appare, per esempio, opportuno che il Comune valuti:
– la corretta determinazione del prezzo di vendita del bene;
– la comparazione fra il valore del bene dismesso e gli investimenti che si intendono effettuare (posto che, trattandosi di entrata in conto capitale, è necessariamente vincolata a spesa di investimento, salvo le limitate eccezioni previste dalla legge);
– l’ammontare del corrispettivo di riscatto e le modalità di pagamento del medesimo (che non dovrebbero far trasparire la sostanziale presenza di un’operazione di finanziamento);
– l’eventuale pattuizione di oneri accessori (che, ove sussistenti, vanno imputati a bilancio al Titolo I della spesa in luogo che al Titolo II).
Occorre pure precisare che, trattandosi di operazione con causa di scambio, deve realizzarsi l’effettivo passaggio dei rischi connessi alla proprietà dell’immobile in capo all’acquirente (il caso contrario potrebbe essere un indice della sostanziale causa di finanziamento dell’operazione, come tale producente una diversa rappresentazione di bilancio e, di conseguenza, la potenziale elusione della disciplina posta in tema di patto di stabilità).
In generale, il Comune deve dare puntuale conto nella motivazione delle ragioni per le quali ritiene di alienare un immobile con la prospettiva, a medio termine, di riacquistarlo. Motivazioni che debbono essere ancora più stringenti nel caso in cui vi siano clausole che prevedano, parallelamente, il permanente utilizzo da parte dell’ente medesimo (e che potrebbero svelare l’assenza di reale volontà dismissiva).
Va poi ribadito, anche per il caso specifico oggetto di esame, sulla scorta di quanto emerso in giurisprudenza, che un rischio di potenziale elusione sussiste, in particolar modo, nel momento in cui tali operazioni vedono come controparte una società interamente partecipata. Come evidenziato nel parere n. 7/2012/PAR, sono per esempio emerse criticità nelle ipotesi di: a) realizzazione di opere da parte di un organismo partecipato per conto dell’ente locale; b) concessione di credito in favore dell’organismo partecipato e successiva rinunzia da parte dell’ente locale; c) alienazioni immobiliari infragruppo.
In relazione ai movimenti finanziari infragruppo rilevanti ai fini del patto di stabilità, la Sezione ha più volte evidenziato le problematiche derivanti dal reperimento, da parte di amministrazioni locali, di plusvalenze immobiliari a seguito di alienazione di beni ad organismi partecipati dall’Ente medesimo (cfr., per esempio, la delibera n. 531/2011).
Infatti, in linea di principio destano perplessità, ai fini della corretta contabilizzazione tra le poste rilevanti ai fini del patto, cessioni a titolo oneroso di patrimonio comunale ad organismi partecipati, laddove questi ultimi (magari privi di sufficienti risorse proprie) debbano poi indebitarsi per reperire le relative fonti di finanziamento. Tale ipotesi configura un improprio collegamento negoziale tra il contratto di vendita del patrimonio comunale all’organismo partecipato (di per sé legittimo) ed il negozio di mutuo (attraverso cui la società paga all’ente locale il prezzo di acquisto del bene).
Il Comune consegue così, in virtù della complessiva operazione trilaterale, una forma di finanziamento non classificabile (formalmente) come indebitamento in capo a se stesso, realizzando un duplice effetto elusivo sotto il profilo contabile. Attraverso lo schermo dell’organismo partecipato, da un lato, consegue un’entrata rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilità e, dall’altro, finisce per “ribaltare” il proprio indebitamento sull’organismo partecipato.
Le suddette criticità emergono in modo ancor più evidente laddove l’indebitamento assunto dall’organismo partecipato per acquisire i predetti immobili comunali fosse direttamente garantito dall’ente locale mediante fideiussione o lettera di patronage o, peggio ancora, nel caso in cui l’Amministrazione provveda a pagare le rate del mutuo contratto dalla società, sotto forma di erogazione di contributo in favore della partecipata (configurandosi una vera e propria “partita di giro”, come messo in evidenza nella delibera della Sezione n. 459/2011).
Le esposte coordinate interpretative, in tema di operazioni immobiliari infragruppo, possono fungere da orientamento, mutatis mutandis, anche per valutare l’eventuale potenzialità elusiva di una vendita con patto di riscatto di un immobile di proprietà comunale.
Alla conformità dell’operazione alle regole di mercato deve corrispondere adeguata e conforme rappresentazione nelle scritture contabili. Infatti la vendita con patto di riscatto, pur svolgendo nella sostanza una funzione di finanziamento per il venditore che si trova nella carente disponibilità di risorse finanziarie, ha una sua autonoma causa giuridica e, come tale, deve trovare rappresentazione degli schemi di bilancio.
Sul piano contabile sono evidenti le differenze fra l’assunzione e successivo ammortamento di un mutuo e la vendita con patto di riscatto.
Nel caso del mutuo, infatti, il Comune procederà come segue:
A) Iscrizione dell’entrata al Titolo V (“entrate derivanti da accensioni di prestiti”), non rilevante ai fini del conseguimento del patto di stabilità;
B) Iscrizione dell’uscita per il rimborso del finanziamento:
a. parte capitale al Titolo III (“spese per rimborso di prestiti”), non rilevante ai fini del conseguimento del patto di stabilità;
b. interessi e altri oneri al Titolo I (“spese correnti”), rilevanti ai fini del patto.
Nel caso della vendita con patto di riscatto, invece, si dovrà procedere come segue:
A) Iscrizione del corrispettivo al Titolo IV (“entrate da alienazioni, trasferimenti di capitale e riscossione di crediti”), rilevante ai fini del patto;
B) Iscrizione dell’eventuale prezzo di riscatto al Titolo II (“spese in conto capitale”), posto che si tratta della spesa per l’acquisto di un bene a utilità pluriennale, rilevante ai fini del patto quale spesa in conto capitale (con eventuali oneri accessori al Titolo I, “spese correnti”, sempre rilevanti ai fini del patto).
Come si può constatare, pur conseguendo il Comune un risultato analogo sul piano economico finanziario (un’entrata destinata a spesa d’investimento), differenti sono le modalità di rappresentazione a bilancio e, di conseguenza, gli effetti rilevanti ai fini del patto di stabilità.
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