Nuova “carnevalesca” stabilizzazione per i precari dell’Università di Catania

Lucia Polizzi 06/06/12
E’ un tormentone mediatico il fenomeno della stabilizzazione dei lavoratori precari negli enti pubblici italiani. Forse perché coinvolge interessi delicati: il diritto al posto di lavoro da un lato, e l’interesse pubblico al reclutamento tramite concorso dall’alto.

Tra i moniti della Corte Costituzionale, che non vede di buon occhio le deroghe “ingiustificate” al principio della selezione pubblica, i pit-stop imposti dal Commissario di Stato in Sicilia, i rimpalli di giurisdizione, le bacchettate della Corte di giustizia, la stabilizzazione dei precari continua a far parlare di sé.

Seguendo la scia “stabilizzante”, autorizzato da una legge finanziaria e dal contratto collettivo, anche l’ateneo catanese ha allargato le maglie delle assunzioni dei lavoratori precari dell’università, mettendo a punto due procedure di stabilizzazione: una nel 2010 riguardante la quasi totalità del personale tecnico- amministrativo a termine, e un’altra , datata 20 gennaio 2012, che ha come destinatari i cd. PUC, ex lavoratori socialmente utili.

Proprio quest’ultima “creatura”dell’Amministrazione Universitaria –con natura ibrida: a metà tra avviso pubblico di selezione e bando di concorso – contiene, tra l’ilarità e lo sbigottimento di chi-giurista o no- legge, una clausola del seguente tenore letterale: “Condizione, ai fini dell’inclusione nell’elenco, è la presentazione, al momento dell’istanza, di atto formale di rinuncia, ai sensi della normativa vigente, di natura giudiziale e/o stragiudiziale, da parte dei soggetti coinvolti, alle cause intentate attualmente in corso contro la procedura di stabilizzazione del personale a tempo determinato”.

Questi dunque i termini del patto: i lavoratori dell’Università, estenuati dal succedersi interminabile di contratti a temine, esasperati dalle limitazioni economico-sociali-di vita che la precarietà comporta, si ritrovano oggi a dover rinunciare ad ogni azione giudiziale o stragiudiziale instaurata per la tutela di quei diritti che hanno già maturato.

Tutto questo al fine di accedere -prima o poi- all’agognata panacea del lavoro subordinato a tempo indeterminato. Al buon vecchio posto fisso, insomma.

Con buona pace delle norme costituzionali/comunitarie e universali che assicurano ad ogni individuo la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

E con altrettanta buona pace delle sentenze nazionali e stra-nazionali che vietano l’abuso dei contratti a tempo determinato da parte delle amministrazioni pubbliche, che continuano- senza soluzione di continuità- a perpetrare soverchierie.

Sicuramente –ci auguriamo– al vaglio di un Tribunale la (illegale?!) clausola del bando di concorso verrebbe tacciata di invalidità e considerata inesistente…e tuttavia, nel frattempo, un certo timore – ai lavoratori precari- incute….

 

Lucia Polizzi

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