La nullità delle polizze vita linked ex art. 23 Tuf (Testo unico finanza) ed il risarcimento del danno cagionato all’investitore

Antonio Arseni 07/07/15
Prima di affrontare lo specifico tema della nullità, va precisata la natura delle polizze vita linked che sono considerate, dalla maggioranza della dottrina e dalla giurisprudenza, strumenti prettamente finanziari che si differenziano dai prodotti assicurativi tradizionali in quanto il loro rendimento è “agganciato” ad una attività finanziaria sottostante. Il significato di linked (legato) evoca le caratteristiche di detta polizza, ossia il fatto che esiste un collegamento tra l’aspettativa finale di capitale-rendita dell’assicurato e l’andamento degli indici sottostanti. Quest’ultimi sono rappresentati da quote di fondi di investimento (UNIT-LINKED) oppure da indici di borsa o panieri azionari (INDEX-LINKED). La variabilità di detti elementi sottostanti determina una condizione di incertezza (propria della polizza linked) per l’investitore il quale potrebbe vedere subita una perdita più o meno consistente sulla base dell’andamento: eventualità che non si verifica nelle polizze vita assicurative tradizionali.

Con riguardo alle obbligazioni del contraente, l’assicurazione sulla vita comporta il pagamento di un premio (versato in unica o più soluzioni) mentre nella polizza linked esso viene corrisposto anticipatamente servendo per l’immediato investimento, rappresentando quindi, tale modalità di pagamento, un indizio circa la natura finanziaria del prodotto.

Al di là del nomen iuris attribuito, diventa importante verificare, nel caso concreto, il “fattore di rischio”, laddove nelle polizze vita tradizionali è assunto dall’assicuratore, mentre nelle linked è trasferito all’assicurato.

Ed, invero, se il contratto di assicurazione si caratterizza per la certezza della prestazione dell’assicurazione, per quanto riguarda l’AN ed il QUANTUM, sul presupposto che la Compagnia di assicurazione assume su di sé tanto il rischio “demografico”, ossia il rischio attinente la durata della vita umana (morte o sopravvivenza dell’assicurato), quanto quello “finanziario” atteso che all’assicurato viene sempre garantita una determinata prestazione a prescindere dai risultati della gestione finanziaria, sicché la gestione dei rischi finanziari degli investimenti rimane di competenza della sola compagnia assicuratrice.

Se nella ipotesi delle polizze vita tradizionali la causa del contratto va individuata in un bisogno previdenziale dell’assicurato, nelle polizze linked invece prevale l’obiettivo di investimento in una prospettiva speculativa (c.d. funzione finanziaria speculativa).

Il fenomeno delle polizze linked è , comunque , molto complesso ed articolato essendo presenti sul mercato prodotti che assicurano la restituzione di tutto o di parte del capitale investito (c.d. polizze linked garantite o parzialmente garantite) con la conseguenza che, rispetto a tale tipo, appare problematico negare la loro natura assicurativa-previdenziale, al contrario delle polizze linked pure, in cui la prevalenza dell’elemento speculativo/finanziario comporta l’applicazione della normativa di riferimento in tema di tutela del risparmio.

Ricordiamo che la L. 28/12/2005 n° 262 ha abrogato la lettera f) dell’art. 100 TUF, che escludeva, dall’ambito di operatività delle norme sulla sollecitazione all’investimento dei valori mobiliari, i prodotti assicurativi, ancorché quest’ultimi fossero connotati da profili di investimento finanziario ed ha introdotto l’art. 25 bis, con il quale è stata estesa ai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione l’applicazione degli artt. 21 e 23 TUF (in cui, come è noto, sono enunciati i criteri generali di prestazione dei servizi di investimento ed alcune regole relative alla fase precontrattuale, di perfezionamento e di esecuzione dei contratti), attribuendo nel contempo alla CONSOB poteri di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva sulla sottoscrizione e collocamento dei prodotti finanziari assicurativi ad opera delle imprese di assicurazione e dei soggetti abilitati.

Le novità introdotte al TUF dalla L. 262/05 (c.d. legge sulla tutela del risparmio) e dalla delibera CONSOB 15961/2007, con cui è stata introdotta nel Regolamento Intermediari Consob 11522 un’intera sezione dedicata alle norme in materia di distribuzione dei prodotti finanziari assicurativi (Libro III Parte II Titolo I , Capo II Sezione III bis del Regolamento Intermediari Consob), sono entrate in vigore il 01/07/2007 a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche al Regolamento Intermediari attuative sull’art. 25 bis del TUF.

Alla legge sulla tutela del risparmio hanno fatto seguito, inoltre, alcuni interventi correttivi del d.lgs. 303/2006 tra cui la introduzione nel TUF della lettera W-bis, che definisce quali prodotti finanziari emessi dalle imprese assicurative “le polizze di cui al ramo III e le operazioni di capitalizzazione, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all’art. 1 co. 1 lettera b) del d.lgs. 252/05, il loro assoggettamento alla disciplina dell’art. 30 TUF concernente l’offerta fuori sede dei prodotti finanziari, se collocati da soggetti abilitati, e  quello dell’art. 32, 21° co. TUF relativo alla promozione e al collocamento a distanza dei prodotti finanziari”.

Alla luce del quadro normativo risultante dagli interventi legislativi di cui si è fatto riferimento ed in base al principio tempus regit actum occorrerà allora verificare, nella fattispecie concreta, quando la polizza linked sia stata stipulata per opinarne l’assoggettabilità o meno a dette disposizioni.

Pur tuttavia una nota sentenza della Cassazione, Sezione II, del 18/04/2012 n° 6061 ha espressamente equiparato le polizze Unit Linked a strumenti finanziari, con conseguente applicazione delle disposizioni del TUF, non potendosi considerarli normali prodotti assicurativi.

Una volta che la polizza linked venga definita come prodotto finanziario, trovano applicazione due delle disposizioni più significative del TUF: l’art. 23, che impone la forma scritta del contratto quadro di intermediazione, preliminare all’operazione di investimento,  la cui sussistenza è considerata una questione assorbente rispetto ad ogni altra, determinando la veloce soluzione della controversia sulla base  di detto semplice accertamento (cfr., ex multis, Tribunale di Rimini 03/04/2014 in www.Il Caso.it, l’inedita Tribunale di Roma sezione IIIa Civile Giudice Dell’Orfano 26/06/2014 n° 13856). Ciò rende possibile il ricorso ad uno strumento di accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso, attraverso il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis e segg. CPC, stante la natura documentale della controversia in cui si discute della nullità in questione, che certamente non necessita di approfondimenti istruttori, dovendo accertare la sussistenza o meno del contratto quadro di intermediazione (in tal senso vedasi a titolo di esempio Tribunale di Ferrara 28/01/2010, Tribunale di Parma 26/03/2013, Tribunale di Prato 26/08/2013, tutte in www.ilcaso.it).

Appare opportuno rammentare che una parte della giurisprudenza tende a ritenere sufficiente, al fine di evitare il vizio di nullità, la sottoscrizione dell’atto da parte del solo investitore per l’esaustiva assicurazione, in tal modo, della funzione informativa destinata ad assolvere (così, ex multis, Corte di Appello di Torino 03/04/2012 n° 595 in Red. Giuffré 20131 n° 167; Tribunale di Venezia 08/07/2012 in Foro.it 2013,2,I 3606) aggiungendo, altri giudici, la necessità che detta sottoscrizione sia accompagnata dalla dichiarazione unilaterale ricognitiva del cliente di aver ricevuto copia di un esemplare dell’atto, debitamente firmato da soggetto abilitato dall’Istituto di Credito contraente (V. Tribunale di Nola 30/04/2014, Tribunale di Mantova 26/06/2012 in www.ilcaso.it).

Altro filone giurisprudenziale, invece, reputa che il requisito formale di cui all’art. 23 TUF implichi la sottoscrizione di entrambe le parti contrattuali, attesi i rilevanti doveri che scaturiscono da tale contratto nei quali o contraente debole ha diritto di confidare (v. Corte di Appello di Bari 23/02/2009 n° 167 in Giur.Calabrese.it 2009; Tribunale di Prato 26/08/2013 in www. Il caso.it; Corte di Appello di Bologna 14/05/2015 n° 933 in Creditofinanzanews, maggio 2015; Tribunale di Firenze 31/05/2013 e Tribunale Reggio Emilia 16.9.2013 entrambe  in www.ilcaso.it, Tribunale di Mondovì 09/11/2010 in www.ilcaso.it; Tribunale Torino 18/12/2009 in Red. Giure 2009).

La nullità in questione è annoverata fra c.d. nullità di protezione, in quanto la relativa deduzione è riservata al contraente tenuto al riparo dall’Ordinamento. Se dunque è chiaro che tale tipo di nullità non può essere fatta valere dall’intermediario e da terzi, più problematica è la risposta per quanto attiene il potere-dovere del Giudice di rilevarla.

Il recente intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (12/12/2014 n° 26242 e 26243) ha chiarito che il rilievo ex officio di una nullità negoziale, sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurata una nullità speciale o di protezione, deve ritenersi consentita una volta “provocato il contraddittorio” e sempreché la pretesa azionata non venga rigettata per la “ragione più liquida” in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo , annullamento, rescissione).

La questione , che con la prima  di tali decisioni (gemelle) la Cassazione era chiamata a risolvere, concerneva la rilevabilità di ufficio, ex art. 1421 C.C., della nullità del contratto nell’ambito di una causa promossa per la risoluzione dello stesso.

Le Sezioni Unite hanno stabilito che: a) la domanda di risoluzione implica l’esistenza di un atto valido, perché mira ad eliminarne gli effetti mentre l’azione di adempimento e quella di risoluzione presuppongono, allo stesso modo, l’applicazione del contratto, sulla base dell’assunto che esso sia valido; b) atteso che la richiesta di risoluzione per inadempimento è coerente soltanto con l’esistenza di un contratto valido, la nullità del contratto è un evento impeditivo che si pone prioritariamente rispetto alla vicenda estintiva della risoluzione, con la conseguenza che il Giudice, chiamato a pronunciarsi sulla risoluzione di un contratto, da cui emerga la nullità dai fatti allegati e provati e, comunque, ex actis, non può sottrarsi all’obbligo del rilievo, e ciò non conduce alla sostituzione dell’azione proposta con un’altra e, dunque, ad una violazione dell’art. 112 CPC; c) a seguito del rilievo officioso, le parti hanno la possibilità di formulare la domanda di nullità che di esso è conseguenza (art. 183, comma 5 CPC) e l’originaria azione di risoluzione può essere convertita in quella di nullità oppure può essere cumulata con questa,  ciò, eventualmente, anche per il tramite della rimessione in termini, ex art. 153, comma 2, CPC; d) in ogni caso, il Giudice, sollevata la nullità in via officiosa, deve sottoporre la questione alle parti, al fine di provocarne il contraddittorio e di consentire lo svolgimento delle difese sul punto; e) alla declaratoria d’ufficio della nullità, con conseguente rigetto della domanda di risoluzione, può accompagnarsi l’accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente a quest’ultima, come avviene in caso di proposizione della domanda restitutoria.

A questo punto, va senz’altro ricordato che la giurisprudenza assolutamente maggioritaria reputa che la nullità in questione, per effetto della mancanza del contratto quadro di intermediazione, non possa essere sanata con una sottoscrizione successiva (v. ex multis Tribunale di Torino 05/07/2013 in www.ilcaso.it) ovvero attraverso una ratifica tacita, che sarebbe affetta dal medesimo vizio di forma (Cass. 22/03/2013 n° 7283).

Alla pronuncia di nullità, per l’omessa stipulazione in forma scritta del contratto quadro, spesso si accompagna alla dichiarazione di difetto di legittimazione passiva dell’intermediario allorché la polizza è stata emessa dalla compagnia assicuratrice e dalla stessa collocata,  normalmente una banca. Soprattutto quando la domanda di nullità è funzionale a quella di restituzione ex art. 2033 C.C., comportando l’assorbimento delle altre formulate subordinatamente (es. risarcimento danni per responsabilità precontrattuale in relazione alla violazione delle regole comportamentali di cui all’art. 21 TUF (come nel caso esaminato dalla citata sentenza 13856/2014 del Tribunale di Roma, ma vedasi anche Tribunale di Milano 23/07/2010 n° 9575  e Tribunale Mantova  26.6.2012, entrambe in www.ilcaso.it).

In tale ipotesi il difetto di legittimazione passiva dell’intermediario consegue al fatto che il contratto di polizza viene concluso fra emittente ed investitore e sulla base del principio della domanda.

Ed, invero, l’invocazione di effetti restitutori, riferibili alla mancanza di un contratto quadro, limita il potere del giudice a tali effetti in applicazione del principio della domanda (art. 99) e di quello fra il richiesto e pronunciato (art. 112 CPC).

Ma l’intermediario è soggetto che per primo può avere dato causa alla nullità ex art. 23 TUF, non stipulando per iscritto il contratto di intermediazione finanziaria, svolgendo servizi in via di fatto ma vietati da detta norma. È l’intermediario che, sebbene a conoscenza di detti divieti, imputet sibi assume su di sé ogni ed eventuale conseguenza che sul piano processuale può scaturire dall’inosservanza dell’onere formale. Conseguenza che l’investitore ha l’onere di far valere espressamente, funzionalmente alla domanda di nullità, per evitare la pronuncia di difetto di legittimazione passiva. Così Tribunale di Roma 13856/2014, il quale testualmente afferma “sulla domanda relativa all’accertamento della nullità della operazione di investimento sulle polizze linked, dinanzi indicate, sussiste tuttavia il difetto di legittimazione passiva della banca (intermediario) atteso che tale accertamento è funzionale a richiedere la ripetizione dell’indebito (ossia dei premi versati alla compagnia di assicurazione) e non a fondare la responsabilità dello intermediario per violazione degli obblighi su esso gravanti; la suddetta richiesta risarcitoria, nei confronti della banca, è stata invero proposta in via subordinata con conseguente assorbimento della stessa a seguito della domanda formulata in via principale”.

Sul punto si ribadisce quanto espresso dalla Cassazione a SU nelle sentenze 26242 e 26243/2014, in ordine alla possibilità che alla declaratoria di nullità si accompagni l’accoglimento di ogni richiesta formulata unitamente a quest’ultima: anche (riteniamo) quella di accertamento della responsabilità solidale tra emittente le polizze ed intermediario, precontrattuale o contrattuale, con ogni  conseguenza risarcitoria ove le violazioni delle regole comportamentali di cui all’art. 21 TUF (c.d. nullità virtuali) avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti,  ovvero nell’ambito delle operazioni compiute in esecuzione di detto contratto , secondo i dettami di cui alla sentenza della Cass. 26724/2007.

Ed invero, secondo la pronuncia 27875/2013 della Cassazione, nulla vieta che possa riconoscersi una responsabilità solidale tra la società emittente, in quanto inadempiente di propri obblighi di rimborso, e l’intermediario, qualora si accertino comportamenti illeciti del medesimo in violazione della disciplina di settore in tema di obblighi informativi. Una affermazione, questa, di grande rilevanza nell’ambito della intermediazione finanziaria rafforzando il diritto di credito del danneggiato che, mediante la regola della solidarietà, può rivolgersi indifferentemente nei confronti di ogni responsabile al fine di ottenere la riparazione per intero del danno.

Detta ultima decisione della S.C. precisa che “ quando un medesimo danno è provocato da più soggetti, per inadempimenti di fonte  diversa, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi ed il danneggiato, sussistono tutte le condizioni necessarie affinché tali soggetti siano considerati corresponsabili in solido.

Antonio Arseni

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