Note chiarificatrici sul reato di “porto abusivo d’armi” e sulla differenza giuridica tra armi “a canna lunga” e “corta”.

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Il Codice Penale, all’art. 699, prevede la contravvenzione di “porto abusivo di armi”. La norma commina una sanzione a “chiunque […] porta un’arma fuori dalla propria abitazione o dalle appartenenze di esse”.

La pena prevista, nel caso di non ricorrenza delle aggravanti speciali enucleate ai commi secondo e terzo, consiste nell’arresto da tre a diciotto mesi.

Prima di poter procedere, è necessario premettere una importante precisazione: la norma stabilisce una specifica causa di non configurazione della contravvenzione. Non è sanzionabile il soggetto che porti l’arma previa apposita licenza dell’Autorità. Per esempio, non soggiace alla pena il cacciatore che, provvisto di regolare licenza, si dedichi all’arte venatoria a mezzo di armi.

La legge 2 Ottobre 1967, n. 895, all’art. 4 prevede una ulteriore fattispecie il cui perimetro è definito nei seguenti termini: “chiunque illegittimamente porta in luogo pubblico o aperto al pubblico le armi o parti di esse, le munizioni, gli esplosivi, gli aggressivi chimici e i congegni indicati dall’art. 1, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa euro 4.000 a 40.000.”. Si precisa che il testo riportato è il prodotto finale di numerosi ed eterogenei interventi normativi di modifica della disposizione originaria, terminati (per ora) con il Decreto Legislativo 26 Ottobre 2010, n.204.

Proprio la Corte Suprema di Cassazione ha recentemente vagliato un particolare caso di commissione della contravvenzione da parte di un cacciatore caratterizzato da profili di indubbia rilevanza.

In questa sede si tralasciano le considerazioni dei giudici di prime cure e della competente Corte d’Appello, per ragioni di economia espositiva e di pragmatismo. L’attenzione si concentra, il lettore ci comprenderà, sulle considerazioni svolte dalle parti innanzi alla suprema Corte e sui principi proposti dalla relativa pronuncia.

Per poter analizzare agevolmente le circostanze, sono necessari breve cenni introduttivi al caso in discussione: l’imputato si recava a caccia provvisto di una pistola calibro 32, invece del consueto e consono fucile per il quale aveva richiesto ed ottenuto l’autorizzazione. La menzionata pistola è arma assai più compatta e minuta rispetto al fucile ordinario. Nel corso della battuta, per comodità, l’imputato infilava l’arma nella cintola dei pantaloni e, nel farlo, esplodeva accidentalmente un colpo. Si causava, come conseguenza dell’incauta azione, una grave ferita alla zona inguinale e veniva trasportato al locale nosocomio. Questi i fatti.

Così come è un fatto, e non è contestato, che l’autorizzazione dell’imputato si riferiva unicamente ai fucili da caccia idonei all’arte venatoria, armi c.d. “a canna lunga”.

Si discute se il porto dell’arma sia ulteriormente sanzionabile dal punto di vista penale e se, si passi l’espressione, al danno dell’autoinflitta menomazione s’aggiunga la beffa (non di poco conto) della pena. Si preannunciano le conclusioni, per chiarezza: s’aggiunge.

Con ricorso numero 49.772/2013, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, contestando la condanna inflitta dal giudice di prime cure ed affievolita nella misura ma confermata nella sostanza dalla Corte d’Appello.

La considerazione principale emersa dalla consultazione del testo della sentenza è la seguente: se l’autorizzazione concerne le armi “a canna lunga” (i fucili da caccia) e l’imputato portava un’arma a canna corta (una pistola) è colpevole del reato a lui ascritto. Se l’arma fosse, invece, a canna lunga interverrebbe la scriminante dell’autorizzazione della pubblica autorità e nessuna sanzione potrebbe lecitamente applicarsi.

Resta da sviscerare un punto di non poca rilevanza: quali elementi concorrono a determinare l’inserimento di un’arma nell’una o nell’altra categoria. Cioè, quale deve concretamente essere lo scarto tra canna lunga e corta. Tanto più nel caso di specie, riguardando la contestazione quella comunemente definita “pistola fuciletto”.

Il ricorrente, con l’ausilio del perito di parte, propone numerose argomentazioni a favore della ascrizione della pistola  (specifiche: arma monocanna, marca Serena, calibro 32) alla categoria delle armi a canna lunga. Principalmente le seguenti: (a) l’arma è genericamente indicata per l’uso venatorio e (b) per poter essere utilizzata agevolmente richiede un “appoggio da spalla”. A sostegno dell’argomentazione sub (a) concorre anche la forma tipicamente “spezzata” delle cartucce.

Il giudicante ha riconosciuto che l’arma è idonea all’uso venatorio, ma ha specificato altresì che il perimetro della licenza non è definito sulla base dell’ “uso”. È scriminato esclusivamente l’impiego di fucili e, quindi, di armi a canna lunga. L’esclusione della punibilità si attiva quindi sulla base delle caratteristiche strutturali dell’arma, a nulla influendo il suo uso.

Lamenta la controparte che, già dalla denominazione commerciale di “pistola”, la Serena calibro 32 debba ritenersi arma a canna corta.

Le conclusioni della Corte sono, in realtà, sobriamente formalistiche: la Corte impone di procedere alla classificazione unicamente sulla base della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 18 giugno  1991 relativa al controllo dell’acquisizione e detenzione di armi, per come modificata dalla direttiva del Parlamento e del Consiglio 2008/51/CE.

Sono quindi armi a “canna corta” solo ed esclusivamente quelle che presentino alternativamente uno dei seguenti requisiti: (1) la lunghezza della canna inferiore a 30 centimetri o (2) la lunghezza complessiva inferiore a 60 centimetri.

Nel caso di specie, la pistola Serena è quindi un’arma corta, non scriminata dall’autorizzazione menzionata. Ne deriva la legittima punibilità della condotta a titolo di porto abusivo d’arma.

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Davide Gambetta

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