Le moriture province al voto il 12 ottobre

La moritura Provincia si prepara ad affrontare il turno elettorale autunnale, nell’attesa di scomparire definitivamente dall’architettura istituzionale degli enti locali italiani.
Si sarebbe dovuto votare entro il 30 settembre 2014, ma la legge n. 114 dell’11 agosto scorso, con la quale è stato convertito il d.l. n. 90/2014, all’art. 23 (“Interventi urgenti in materia di riforma delle province e delle città metropolitane”), prevede l’indizione delle consultazioni ed il voto il 12 ottobre 2014.
Si tratta di una consultazione della quale nessuno sente il bisogno, senza alcun pathos e priva d’interesse.
La riforma della Costituzione “Renzi-Boschi”, non solo ridisegna profondamente il Senato, ma, com’era stato ampliamente annunciato, sancisce l’abolizione delle Province.
Le Province nascono sotto la monarchia sabauda, copiati dal modello francese, per dare centralità ai prefetti nel rapporto tra Stato e istituzioni locali.
Con il passare del tempo diventano snodo istituzionale, intorno al quale viene strutturata l’organizzazione periferica del potere statale (oltre alle già citate prefetture, basti pensare alle camere di commercio, ai provveditorati agli studi, alle questure, alle commissioni tributarie di primo grado, etc.).
Nei quaranta articoli della legge (contro i 57 della riforma approvata dal centro-destra nel 2005 e poi bocciata con il referendum popolare) approvati, in prima lettura, dal Senato c’è la riscrittura dell’architettura istituzionale con la scomparsa dell’ente intermedio.
In attesa che l’iter della riforma costituzionale si completi e che siano emanate le norme di attuazione, le Province continuano ad esistere (escluso la Sicilia dove, nominalmente, sono già state sostituite dai Liberi Consorzi tra comuni) e sono disciplinate dalla legge 56/2014, quindi una norma statale, ferma restando la competenza delle Regioni a statuto ordinario nelle materie concorrenti.
L’elezione dei nuovi organi avverrà il 12 ottobre 2014 per le Province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014, oppure entro trenta giorni dalla fine del mandato, ovvero dalla decadenza o dallo scioglimento anticipato degli organi provinciali.
L’art. 23 corregge anche la precedente previsione legislativa che sanciva che “l’elezione ai sensi dei commi da 67 a 78 del consiglio provinciale, presieduto dal presidente della provincia o dal commissario”. Adesso la lettera della norma chiarisce che le elezioni del 12 ottobre sono indette e si svolgeranno per eleggere il consiglio provinciale ma anche il presidente della provincia.
Con la legge Delrio gli organi della Provincia, infatti, sono: il presidente, il consiglio provinciale e l’assemblea dei sindaci.
L’organizzazione politica dell’Ente diventa, quindi, la medesima che è stata prevista per la città metropolitana, con due organi assembleari ed un vertice monocratico.
A differenza delle città metropolitane, a guidare la Provincia non sarà chi indossa la fascia tricolore della città capoluogo, bensì il primo cittadino eletto da tutti i consiglieri ed i sindaci dei comuni che formano la Provincia.
Gli stessi elettori saranno chiamati ad eleggere il consiglio provinciale (composto da un numero variabile, a seconda la popolazione, da 16 a 10 membri), ma l’elettorato passivo riguarderà tutti i consiglieri dei comuni della Provincia.
Inizialmente il legislatore aveva, incomprensibilmente, previsto che per le prime elezioni fossero eleggibili anche i consiglieri provinciali uscenti. Scelta, poi, fortunatamente, cassata dalla L. 114/2014.
La scelta è stata quella di prevedere che il sindaco eletto presidente della Provincia decada al momento in cui cessa dall’incarico di primo cittadino. Per evitare presidenze troppo brevi, non potranno essere eletti sindaci il cui mandato residuo abbia una durata inferiore a 18 mesi.
Questo non elimina, però, il rischio che una mozione di sfiducia, basata su ragioni politiche strettamente comunali, faccia decadere un presidente della Provincia apprezzato per la sua guida dell’area vasta.
Ordinariamente il consiglio provinciale dura solo due anni, mentre il presidente dura in carica quattro anni. L’assemblea consiliare, tuttavia, è soggetta a continui scombussolamenti (anche di maggioranze politiche) per effetto dell’identico destino della carica comunale con quella provinciale.

Un guazzabuglio di date ed un rimescolamento continuo per cui sarà quasi impossibile programmare e pianificare.
Gli incarichi di presidente della Provincia, di consigliere provinciale e di componente dell’assemblea dei sindaci, saranno esercitati a titolo gratuito (salvo gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi che restano a carico della Provincia, secondo quanto previsto dal punto f-bis dell’art. 23 della L. 114/2014).
Gli organi neoeletti dovranno occuparsi delle nuove funzioni fondamentali della Provincia: pianificazione dei servizi di trasporto, trasporto privato, costruzione e gestione delle strade provinciali, programmazione della rete scolastica, raccolta ed elaborazione dati ed assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, gestione dell’edilizia scolastica, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale.
Rispetto alla normativa previgente, la legge Delrio evita di ricorrere a formule ampie e generali, non si parla più di “compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado” o di “formazione professionale” ma di funzioni più circoscritte e determinate come “programmazione provinciale della rete scolastica” o “gestione dell’edilizia scolastica”.
Gli interventi sulle scuole sono stati, però, fin qui, limitati alle strutture destinate all’istruzione secondaria, mentre la Delrio sembra ampliarli a tutta l’edilizia scolastica.
In effetti, tra le enormi difficoltà che l’abolizione delle Province comporterà, ciò che destava meno preoccupazione era il passaggio ai Comuni della competenza in merito alla gestione degli istituti scolastici. Un passaggio che era stato addirittura auspicato ancor prima del germogliare della tendenza all’abolizione dell’istituzione di area vasta. L’unificazione della gestione dell’edilizia scolastica in capo ai Comuni era vista come la soluzione per evitare duplicazioni di competenze e diseconomie.
Appare strano che il legislatore della L. n. 56/2014 abbia, invece, voluto accorpare dette funzioni in capo ad un’istituzione destinata alla soppressione.

Luciano Catania

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