A margine, il nuovo Esecutivo non ha prodotto alcunché sul piano delle riforme strutturali e ha liberalizzato quasi nulla e, per quel poco che se ne occupato, lo ha fatto male. Quasi come se avesse semplicemente soddisfatto qualche desiderio latente.
Al riguardo, non si riesce a comprendere come la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C (che riassume i medicinali sottoposti a prescrizione medica, ma non dispensabili gratuitamente) possa favorire l’occupazione e incrementare lo sviluppo del Paese. La modifica introdotta è, difatti, di carattere meramente ordinamentale e, dunque, ininfluente per la finanza pubblica.
Anzi, sul tema dell’interesse economico nazionale, appare pericolosa al riguardo. Infatti, sia l’associazione delle farmacie pubbliche (Assofarm) che quella dei titolari di farmacie private (Federfarma) sottolineano i pericoli che ne deriveranno. A rischio la redditività della gestione, già fortemente compromessa, delle circa 18.000 farmacie italiane nel loro complesso. Conseguentemente, si profila l’assottigliamento della relativa base occupazionale, a tutt’oggi rilevante.
I consistenti sconti pretesi convenzionalmente dal Servizio sanitario nazionale (in media del 10%), la vendita effettuata per conto del sistema pubblico, i consistenti ritardi dei pagamenti (in alcuni casi di oltre un anno) e gli adempimenti crescenti sul piano delle collaborazioni con le Asl hanno determinato di per sé una consistente regressione del reddito del sistema farmacia. Infatti, quest’ultimo – da più tempo nel mirino della politica che privilegia i proclami populisti alla soluzione dei problemi reali – ha contemporaneamente sopportato il decremento progressivo dei margini di guadagno e un sensibile incremento dei servizi da rendere gratuitamente alla organizzazione della salute pubblica.
A tutto questo va ora ad aggiungersi la liberalizzazione dei suddetti farmaci a pagamento, soggetti a prescrizione medica. Ciò, però, al netto di quelli che abbisognano di particolari cautele professionali nelle operazioni di vendita. Questi ultimi, infatti, riferiti a quelli a base ormonale (per esempio, gli anticoncezionali) e agli psicofarmaci, attesa la loro delicata composizione e destinazione, rimarranno ad esclusiva somministrazione del sistema tradizionale, più garante sul piano etico. Una conclusione, questa, cui è implicitamente pervenuto il più attuale legislatore nel determinare una siffatta discriminazione!
Allo stato è francamente difficile comprendere i vantaggi della deregulation in atto, anche perché non v’è esperienza alcuna estera da considerare, dal momento che il nostro Paese sarebbe l’unico ad averlo adottato in ambito UE.
Non appaiono neppure comprensibili i vantaggi che ne trarrà la collettività in termini di risparmio economico, ordinariamente soddisfatta dal migliore servizio farmaceutico europeo. Una tale opzione, infatti, non consentirà – com’è ovvio che sia – alcuna pratica scontistica, considerato il divieto assoluto di incentivare in ogni modo il consumo dei medicinali.
Al contrario di come è difficile intuire l’utilità della misura legislativa, si riescono, invece, a comprendere gli svantaggi, in termini di caduta delle tutele, e gli interessi protetti, più o meno direttamente.
Gli svantaggi.
Sarebbero tanti, primo fra tutti quello di allargare le maglie delle reti dei controlli che, nel caso di specie, vengono assicurati dal sistema pubblico, ivi compresa l’arma dei carabinieri. Diventerà molto difficile, infatti, sopportare un tale genere di adempimenti, di per sé già complessi, nei confronti di una filiera così diffusa e promiscua, composta da parafarmacie e megastore disseminati sul territorio, che utilizzeranno l’occasione fornita loro a scopo meramente attrattivo.
In quanto tale, il livello di assistenza farmaceutica perderà il suo requisito fondamentale, quello che lo ha reso funzionante su tutto il territorio nazionale, piccoli comuni compresi, ovverosia di essere esercitato esclusivamente in regime di concessione pubblica.
Quella che verrà a determinarsi sarà, quindi, una rete distributiva segnatamente composita, per lo più rappresentata dalla grande distribuzione organizzata, alla quale verrà offerta la possibilità di commercializzare importanti molecole farmacologiche, essenziali in presenza di particolari patologie. Viagra in primis, sul quale qualche elusione prescrittiva potrebbe verosimilmente trovare anche una maggiore ospitalità, a tutto vantaggio della propria clientela più affezionata, che necessita sempre di più fidelizzare.
Ma non solo, il previsto allargamento dell’offerta potrebbe favorire la tutela di interessi “molto particolari”. Non sono rari, difatti, gli esempi accertati dalla magistratura della permeabilità dei capitali malavitosi nel sistema distributivo all’ingrosso alimentare e, dunque, anche di quello al minuto non condizionato al rilascio di quel provvedimento concessorio massimamente controllato nella fase di rilascio. Un requisito, questo, che ha visto da sempre esente il sistema farmaceutico da ogni genere di infiltrazione mafiosa.
Gli interessi.
Essi, negli ultimi tempi, sono divenuti più sfacciati e se vogliamo spesi dalla politica con una verve populista. I più plateali sostenitori non sono mai stati in grado di giustificare la sostenibilità della novità in termini di risparmio economico e di crescita occupazionale. Tutt’altro.
Il perché di questa deregulation? In assenza di plausibili motivazioni di interesse pubblico, a molti il risultato conseguito appare il prodotto di una campagna personale iniziata da tempo da ben individuati maggiorenti politici, forse perché spinti al riguardo da interessi particolari e facilmente comprensibili. Primo fra tutti, quello di favorire le catene di distribuzioni e i desideri “familiari”.
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