Ma cosa è successo di così eclatante da spaccare l’unità del partito, a maggior ragione dopo un’affermazione storica come quella alle elezioni dello scorso 25 maggio, dove il Pd ha toccato la quota inaudita del 40,8%?
Ieri sera è arrivata la conferma dell’imminente sostituzione di Corradino Mineo, l’ex direttore di Rai News 24, e Vannino Chiti dal tavolo della Commissione Affari Costituzionali, dove si gioca la partita più importante per la tenuta dell’esecutivo e, di conseguenza, la durata della legislatura: quella delle riforme istituzionali.
Se Mineo non ha mai nascosto la sua contrarietà all’impostazione del disegno di legge patrocinato dal ministro Maria Elena Boschi – e, in particolare, alle modalità di accordo con Berlusconi che lo hanno reso possibile – dall’altra parte Chiti si era limitato a proporre un ddl alternativo, che reintroducesse l’elezione diretta dei senatori componenti la futura Camera alta, in contrasto con le previsioni della riforma in esame. Questa, infatti, prevede un Senato costituito essenzialmente da consiglieri regionali e amministratori locali, dunque presenti in Parlamento in virtù di un’altra carica elettiva, togliendo, di fatto, la possibilità alla popolazione di scegliere i rappresentanti in maniera diretta.
Secondo quanto rivendicato dallo steso premier prima di imbarcarsi dalla Cina, i veti dei parlamentari avrebbero ingolfato fin troppo i propositi di riforma, e l’unica via praticabile è sembrata quella di provvedere alla sostituzione dei due critici, così come avvenuto con l’ex ministro Mario Mauro.
In questo modo, si è cercato di blindare il voto in Commissione e accelerare l’iter del disegno di legge costituzionale, alla vigilia dell’assemblea nazionale del Partito democratico e del possibile, nuovo chiacchieratissimo incontro tra Silvio Berlusconi e lo stesso presidente del Consiglio.
Peccato, però, che una parte del gruppo in Senato del Pd abbia preso piuttosto male la decisione di rimpiazzare i membri ostili alla riforma, definendola “un’epurazione delle idee considerate non ortodosse”. Così, in tredici temerari hanno deciso di procedere all’autosospensione in attesa di un confronto vis-à-vis.
Un numero apparentemente esiguo, ma che in realtà apre, in prospettiva, per il governo Renzi inattesi rischi di tenuta allo stesso Senato. Se tutto lascia prevedere che la crisi attuale terminerà nell’arco di qualche giorno, dopo il chiarimento in assemblea, è innegabile che si sia aperta una crepa nella maggioranza che va al di là della normale dialettica di partito. E basta guardare l’esito del voto di fiducia ottenuto dal governo al suo insediamento, con 169 pareri a favore, per comprendere come 13 “aventiniani” sarebbero sufficienti a metterne in pericolo la tenuta in Senato. Insomma, il cammino delle riforme prosegue tra grandissimi ostacoli, forse insormontabili.
Ecco chi sono i 13 autosospesi dal gruppo in Senato del Pd
Felice Casson
Vannino Chiti
Paolo Corsini
Erica D’Adda
Norina Dirindin
Maria Grazia Gatti
Sergio Lo Giudice
Claudio Micheloni
Corradino Mineo
Massimo Mucchetti
Lucrezia Ricchiuti
Walter Tocci
Renato Guerino Turano
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