Le motivazioni della Corte erano molto attese per capire se in Italia l’ufficio della mediazione civile può avere un futuro oppure no, anche in seguito allo stop agli emendamenti salva obbligatorietà che erano stati presentati a integrazione del decreto sviluppo-bis approvato dal Senato proprio in giornata.
La sentenza era stata accolta con grandi divisioni nel mondo forense, scatenando in special modo l’entusiasmo di tutti quei professionisti che non condividono la mediazione come istituto di condizione di procedibilità.
Due i punti chiavi della decisione: i riferimenti normativi europei e l’eccesso nei confronti della legge delega.
Sul primo punto la corte afferma che “dai richiamati atti dell’Unione europea non si desume alcuna esplicita o implicita opzione a favore del carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione. Fermo il favor dimostrato verso detto istituto, in quanto ritenuto idoneo a fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, il diritto dell’Unione disciplina le modalità con le quali il procedimento può essere strutturato («può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro», ai sensi dell’art. 3, lettera a, della direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008), ma non impone e nemmeno consiglia l’adozione del modello obbligatorio, limitandosi a stabilire che resta impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio (art. 5, comma 2, della direttiva citata“.
“Pertanto, – afferma la Consulta – la disciplina dell’UE si rivela neutrale in ordine alla scelta del modello di mediazione da adottare, la quale resta demandata ai singoli Stati membri, purché sia garantito il diritto di adire i giudici competenti per la definizione giudiziaria delle controversie.
Ne deriva che l’opzione a favore del modello di mediazione obbligatoria, operata dalla normativa censurata, non può trovare fondamento nella citata disciplina“.
Sull’eccesso di delega, la Corte sottolinea come la detta legge delega non esplicita in alcun modo la previsione del carattere obbligatorio della mediazione finalizzata alla conciliazione. “Sul punto l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, che per altri aspetti dell’istituto si rivela abbastanza dettagliato, risulta del tutto silente“, affermano i giudici costituzionali.
“Il denunciato eccesso di delega, dunque, sussiste, in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto di conciliazione e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie di cui all’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010“, conclude la Corte.
“In definitiva, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. La declaratoria deve essere estesa all’intero comma 1, perché gli ultimi tre periodi sono strettamente collegati a quelli precedenti (oggetto delle censure), sicché resterebbero privi di significato a seguito della caducazione di questi“.
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