Se c’è una cosa che la storia insegna è che miracoli, i politici, non ne fanno, al massimo, concedete il gioco di parole, ne regalano il profumo a chi aspetta quei provvedimenti, quelle leggi, pensate per migliorare la condizione di chi, come i lavoratori precari, per troppo tempo hanno vissuto la propria vita sospesa ad un filo teso da altri.
A ben guardare, infatti, la sospirata sparizione, neanche si trattasse di illusionismo, delle graduatorie in cui, per anni, migliaia di docenti (180.000 ad oggi) hanno sudato per entrare non è certamente la panacea a tutti i mali che affliggono la scuola italiana; certamente ci sarà un ricambio generazionale, ma bisogna chiedersi, a che prezzo? E, soprattutto, chi lo pagherà quel prezzo?
Ci sono categorie di docenti, neo laureati freschi di abilitazione o in corso di abilitazione, che rischiano di trovarsi semplicemente al posto sbagliato nel momento sbagliato perché, se è vero che l’intenzione ministeriale è quella di sostituire le graduatorie con concorsi a frequenza biennale, è anche vero che ogni due anni il numero di “aspiranti docenti” aumenterà e chi non riesce a superare i concorsi, pur essendo in graduatoria e quindi vincitore di un precedente concorso, rischia di vedersi superato in corsia “preferenziale”.
Dicono che per sottrarsi al mulinello generato dall’onda bisogna non opporsi perché la corrente, prima o poi, riporta in superficie ma qui, migliaia di docenti non ancora in ruolo, da anni dediti alle supplenze, rischiano di naufragare in questo confusionario mare di promesse e miraggi di paradisi “lavorativi”.
Altro elemento su cui è opportuno riflettere sono i parametri secondo cui è necessario, per il ministro, scegliere i futuri docenti; il prototipo del futuro insegnante deve essere un esperto di logica, informatica e di lingue straniere, inutile dire le perplessità che circolano in merito al fatto che saranno questi gli argomenti su cui tutti, indistintamente, verranno esaminati. La forza principale della scuola è stata da sempre l’eterogeneità, la diversificazione fra i vari insegnanti e le varie materie, cos’è allora questa necessità di automi, di puri tecnici programmati, peggio tarati, sugli stessi requisiti?
Le competenze specifiche, per cui tanto si studia e si spende in università, le beneamate lauree specialistiche che senso hanno, come si inseriscono in quadro di richieste del genere? E’ davvero utile che un insegnante di lettere sappia risolvere equazioni e funzioni, che un professore di matematica parli perfettamente l’inglese o lo spagnolo o che un informatico sappia la critica dei promessi sposi? Queste perplessità, sfuggite al ministro Profumo, sono ciò che non metterà al riparo i docenti da un Tfa bis, cioè da un concorso quiz, da domande astruse e decontestualizzate che non avranno la capacità di distinguere i meritevoli ma i furbi, coloro che sapranno sopravvivere a quella tempesta di quesiti surreali a cui verranno sottoposti.
Nonostante gli scandali recenti del Tfa, per cui fra l’altro il Tar del Lazio ha recentemente accolto i ricorsi degli studenti, della domanda di ammissione a Medicina con quesiti tutt’altro che legati alla sfera medica, si continua a percorrere una via generalista che mortifica gli ingegni, favorisce la fuga di cervelli, perché chi vuole tutelare e valorizzare la propria cultura va, giustamente, all’estero, e spiana la strada al nozionismo e ad un freddo razionalismo che smorza ogni sorriso per il futuro della scuola dei nostri figli. E’ davvero questo che vogliamo?
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