Con sentenza n. 28220 del 18 dicembre 2013, la Prima Sezione Civile ha stabilito la nullità di un matrimonio religioso a causa dell’opinione in materia religiosa di uno dei coniugi.
Nel caso in esame, il matrimonio concordatario veniva ad essere dichiarato nullo per “simulazione totale” dal Tribunale Ecclesiastico Regionale, con conseguente ordine all’Ufficiale di Stato Civile di eseguire le annotazioni e trascrizioni di legge.
Il Tribunale ecclesiastico ha ritenuto che l’opinione in materia religiosa della moglie, che aveva dichiarato più volte di non credere nei dogmi della religione cattolica e si professava atea, rappresentava una causa di nullità del matrimonio concordatario per divergenza assoluta tra volontà e dichiarazione.
La Corte d’Appello adita ha confermato la sentenza impugnata, in quanto ritenuta in conformità alle disposizioni contenute nel Concordato di Villa Madama del 1984, con il quale lo Stato italiano e la Santa Sede hanno apportato modifiche sostanziali ai precedenti Patti Lateranensi del 1929.
La parte soccombente ha dunque proposto ricorso in Cassazione adducendo violazione del generale principio della non contrarietà all’ordine pubblico, principio fondamentale del nostro ordinamento.
Ma anche i giudici di legittimità si sono trovati di opinione diversa da quella del ricorrente, rigettando il ricorso e confermando la sentenza impugnata.
Dunque, il matrimonio è nullo se una parte si considera atea e l’altra è a conoscenza di tale “riserva mentale”. È questa una sentenza che inevitabilmente opera una lesione fondamentale a un principio, quale quello della libertà religiosa, che gode di una codificazione a livello costituzionale. Gli articoli della nostra Carta Fondamentale che si occupano del tema religioso sono numerosissimi, idonei a garantirne la tutela nei più diversi ambiti di applicazione.
Ebbene, fresco dei miei recentissimi studi di Diritto Ecclesiastico e cosciente delle contraddizioni che pervadono il nostro ordinamento quando si parla di religione, non posso che trovarmi contrario a questa decisione della Cassazione.
Le conseguenze di questa pronuncia, che costituirà un importante “precedente giurisprudenziale” nelle cause matrimoniali, sono di portata sconvolgente. Una tale apertura giurisprudenziale può naturalmente prestarsi ad abusi, soprattutto per l’ampia discrezionalità che è conferita ai giudici in questo particolare ambito di diritto. Immaginiamo, cari lettori, centinaia e centinaia di casi di questo genere. Matrimoni nulli, anche agli effetti civili. Semplicemente perché l’opinione religiosa di uno dei coniugi è difforme da quella del cattolicesimo.
Ciò che deve essere chiaro, a voi lettori, è l’evidente lesione di una libertà fondamentale. Si vieta la possibilità per i soggetti di cambiare credo o semplicemente di rimanere estranei ad ogni concezione in materia religiosa. Pena il timore di vedersi il proprio matrimonio, che dura da anni e su cui si basa tutta una vita passata col proprio coniuge, completamente invalido.
Si dirà: ma è e resta un matrimonio concordatario, le parti hanno deciso di comune accordo di legarsi in un vincolo davanti ad un’autorità religiosa, di conseguenza queste devono rispettarne i precetti.
Osservazione giustissima ma anche facilmente criticabile, un’osservazione che non tiene conto della storia e delle tradizioni del nostro Paese.
Nei decenni precedenti le unioni religiose erano la quasi totalità. Ancora oggi sono la stragrande maggioranza sebbene stiano aumentando considerevolmente anche quelle civili. Ci si sposava con rito cattolico anche se non lo si era, perché “tutti si sposavano con rito cattolico”, perché “è tradizione che ci si sposi con rito cattolico”. Col tempo la società è mutata e la consistenza numerica dei soggetti professanti un credo diverso da quello cattolico o, addirittura, le forme di ateismo, agnosticismo, indifferentismo, sono cresciute in maniera esponenziale.
È evidente che le opinioni in materia religiosa possono mutare nel corso della vita del singolo: di conseguenza un soggetto, sposato con rito cattolico, può ripensare successivamente alla propria posizione e cambiare opinione. Perché portare alle estreme conseguenze una libertà (o meglio, un diritto) dell’individuo?
Il mio intento, scrivendo queste poche considerazioni alla sentenza esaminata, è quello, dichiarato più volte, di spingere voi lettori a immaginarne gli effetti sull’ordine pubblico. Se, come il sottoscritto, ne comprendete la portata dirompente, avrò raggiunto il mio scopo. Il mio personale augurio è che il legislatore intervenga per regolare il prima possibile tale fenomeno.
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