Maternità: come dimettersi senza perdere la Naspi. Casi e istruzioni

Paolo Ballanti 17/06/22
I genitori lavoratori che fruiscono di maternità e paternità possono accedere alla Naspi in caso di dimissioni? L’indennità di disoccupazione NASpI è una prestazione economica garantita dall’INPS nei casi di perdita involontaria del posto di lavoro.

Possono accedervi i lavoratori subordinati compresi apprendisti, soci lavoratori di cooperative, personale artistico con rapporto di lavoro subordinato, dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Dal 1° gennaio 2022 la prestazione è stata estesa agli operai agricoli a tempo indeterminato dipendenti di cooperative e loro consorzi che trasformano, manipolano e commercializzano prodotti agricoli e zootecnici, prevalentemente propri o conferiti dai loro soci.

In generale, la NASpI è esclusa nei casi di dimissioni, dal momento che non si tratta di perdita involontaria del posto di lavoro, essendo il dipendente stesso che decide unilateralmente di risolvere il contratto.

Esistono tuttavia una serie di ipotesi in cui, soprattutto i genitori che lavorano, possono dimettersi mantenendo, in presenza di altri requisiti, la possibilità di accedere all’indennità di disoccupazione pagata dall’INPS.

I casi in questione sono sostanzialmente due:

  • Dimissioni durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento;
  • Dimissioni per giusta causa.

Analizziamo la questione in dettaglio.

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Maternità: dimissioni nel periodo protetto

In presenza degli altri requisiti richiesti dalla normativa, i genitori che si dimettono nel corso del periodo in cui si applica il divieto di licenziamento (oggetto del prossimo paragrafo) possono accedere, previa domanda, all’indennità di disoccupazione NASpI.

Oltre a questo, l’interessato non è tenuto a rispettare il periodo di preavviso in favore dell’azienda che subisce le dimissioni. La stessa, peraltro, dovrà riconoscergli in busta paga l’indennità sostitutiva del preavviso

Maternità: quando si applica il divieto di licenziamento

La normativa (Decreto legislativo numero 151/2001) vieta il licenziamento intimato:

  • Alla lavoratrice dall’inizio della gravidanza (che si presume iniziata trecento giorni prima della data presunta del parto, indicata nel certificato di gravidanza) sino al compimento di un anno di età del bambino;
  • Al padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità, per la durata dello stesso e sino al compimento di un anno di età del bambino;
  • A causa della domanda o della fruizione, da parte della lavoratrice o del lavoratore, del congedo parentale o dell’assenza per malattia del bambino.

L’eventuale licenziamento in violazione del divieto comporta la nullità dello stesso.

Gli effetti del divieto operano a prescindere dalla conoscenza che il datore di lavoro aveva o meno della condizione della lavoratrice / lavoratore, al momento del recesso.

Il genitore potrà quindi ottenere il ripristino del contratto, semplicemente presentando la documentazione da cui risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni che ne vietavano l’esecuzione.

Quando non opera il divieto di licenziamento

Il divieto di licenziamento non produce alcun effetto in caso di recesso per:

  • Cessazione totale dell’attività aziendale;
  • Colpa grave dell’interessato, costituente giusta causa di interruzione del rapporto;
  • Ultimazione della prestazione per cui il lavoratore è stato assunto o scadenza del termine nei casi di contratto a tempo determinato,
  • Esito negativo del periodo di prova.

Maternità: come presentare le dimissioni

Le dimissioni rassegnate nel corso del periodo in cui è vietato il licenziamento, devono essere obbligatoriamente convalidate, a pena di inefficacia, dal servizio ispettivo dell’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro).

La procedura, da attivarsi a cura dell’interessato, ha lo scopo di permettere ai servizi competenti di stabilire la genuinità delle dimissioni e reale volontà di interrompere il rapporto. Lo scopo è evitare che ci si dimetta a seguito di pressioni o minacce del datore di lavoro.

La richiesta di convalida da inoltrare all’ITL dovrà essere corredata dalla lettera di dimissioni presentata al datore di lavoro.

Maternità: dimissioni per giusta causa

Il genitore ha potenzialmente diritto a percepire l’indennità NASpI anche a fronte di dimissioni cosiddette “per giusta causa”.

In determinate ipotesi, individuate dalla giurisprudenza, il lavoratore può recedere dal contratto senza attendere il decorso del periodo di preavviso, a causa di un grave inadempimento del datore di lavoro, tale da non permettere la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto.

In particolare, la giusta causa di dimissioni è stata ravvisata (dalla giurisprudenza di merito e da quella di Cassazione) nei casi di:

  • Mancato o ritardato pagamento della retribuzione;
  • Comportamento ingiurioso del superiore gerarchico;
  • Omesso versamento dei contributi;
  • Mobbing;
  • Molestie sessuali del datore di lavoro;
  • Imposizione da parte dell’azienda al dipendente di attuare prestazioni illecite;
  • Svuotamento del contenuto delle mansioni, tale da determinare un pregiudizio al bagaglio professionale del lavoratore.

Come previsto nei casi di dimissioni in periodo protetto, anche in quelle rassegnate per “giusta causa” il dipendente ha diritto a ricevere dal datore, in busta paga, l’indennità sostitutiva del preavviso.

Come presentare le dimissioni

A differenza del recesso nel periodo protetto, le dimissioni per giusta causa devono essere presentate obbligatoriamente, a pena di inefficacia, compilando l’apposito modulo telematico disponibile accedendo al portale “servizi.lavoro.gov.it”, in possesso delle credenziali SPID o CIE.

All’interno del form online si dovranno:

  • Verificare i propri dati personali, come codice fiscale, cognome, nome ed indirizzo e-mail;
  • Verificare, recuperare dagli archivi o inserire i dati del datore di lavoro (codice fiscale, ragione sociale, pec e sede legale);
  • Inserire la data di inizio del rapporto di lavoro oggetto di dimissioni e la tipologia contrattuale;
  • Inserire la data di decorrenza delle dimissioni, coincidente con il giorno successivo l’ultimo di vigenza del contratto;
  • Indicare che si tratta di dimissioni per giusta causa.

Una volta conclusa la compilazione il modulo è trasmesso all’ITL territorialmente competente ed all’indirizzo di posta elettronica (se presente alla PEC) del datore di lavoro.

In alternativa è possibile rivolgersi ad un intermediario abilitato, quali:

  • Patronati;
  • Sindacati;
  • Enti bilaterali;
  • Commissioni di certificazione;
  • Consulenti del lavoro;
  • Sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro;

con il compito di inserire i dati e inviare il form al Ministero del lavoro ed all’azienda.

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Maternità e NASpI: gli altri requisiti richiesti

Oltre ad interrompere il rapporto per dimissioni:

  • In periodo protetto;
  • O per giusta causa;

la NASpI spetta per quanti si trovano in stato di disoccupazione ed hanno dichiarato la propria immediata disponibilità al lavoro, oltre ad aver stipulato il Patto di servizio presso i Centri per l’impiego.

Si richiedono inoltre almeno tredici settimane di contributi versati nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

Maternità e NASpI: come fare domanda dopo le dimissioni

Per accedere al sussidio, il disoccupato è tenuto a trasmettere apposita domanda all’INPS, a pena di decadenza, entro sessantotto giorni dalla cessazione del contratto a mezzo, in alternativa:

  • Portale “inps.it – Prestazioni e Servizi – Prestazioni – NASpI: indennità mensile di disoccupazione”, in possesso delle credenziali SPID, CIE o CNS;
  • Chiamando il Contact center dell’Istituto al numero 803.164 (da rete fissa) o lo 06.164.164 (da rete mobile);
  • Avvalendosi dei servizi offerti da enti di patronato ed intermediari dell’Istituto.

Maternità e NASpI: importo

Conclusasi in maniera positiva l’istruttoria, l’INPS provvede a corrispondere mensilmente al genitore disoccupato un’indennità calcolata in funzione della cosiddetta “retribuzione di riferimento”. Quest’ultima è determinata dividendo la retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, per il totale delle settimane in cui sono stati versati contributi. Il risultato dev’essere poi moltiplicato per 4,33:

Retribuzione di riferimento = (Retribuzione imponibile INPS del quadriennio / Settimane di contribuzione) * 4,33.

Se la retribuzione di riferimento è:

  • Pari o inferiore ad euro 1.250,87 (relativo all’anno 2022) la NASpI mensile corrisponderà al 75% della stessa retribuzione di riferimento;
  • Superiore ad euro 1.250,87 (valore applicato per l’anno 2022) la NASpI mensile sarà pari al 75% di 1.250,87 euro cui si aggiungerà il 25% della differenza tra la retribuzione di riferimento e 1.250,87 euro.

In ogni caso, il sussidio mensile non potrà eccedere il massimale di 1.360,77 euro (valore, anch’esso, applicato per l’anno corrente).

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Paolo Ballanti

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