A decidere è il Tribunale di Ascoli Piceno, che con la sentenza n. 312/2012 definisce giuridicamente una controversia familiare basando le proprie convinzioni su un principio tanto comico quanto azzardato.
La vicenda vede coinvolto un padre separato che, pur avendo presentato una documentazione fiscale attestante un reddito mensile di circa 1.000 euro (come da busta paga), si è visto obbligato ad un assegno di mantenimento di 1.100 euro mensili in favore della ex moglie, la quale peraltro è titolare di un reddito autonomo ammontante a 456 euro mensili. Secondo il Tribunale la donna, data l’età, non può avere prospettive di miglioramento della sua situazione occupazionale, mentre il reddito documentato dal marito non sarebbe credibile in virtù del tenore di vita che la coppia avrebbe avuto in passato.
Pertanto il Giudice stabilisce che se il tenore di vita antecedente alla separazione dei coniugi era “dignitoso” e confermava una condizione economica facoltosa, i modelli unici e qualsivoglia altra documentazione della situazione reddituale, debitamente presentati in giudizio, non sono idonei a dimostrare le reali risorse patrimoniali ed economiche della coppia.
La decisione del Tribunale di Ascoli Piceno non può non lasciare perplessi: perché prendere in esame soltanto la situazione patrimoniale della coppia in costanza di matrimonio, senza tener minimamente conto della presente situazione reddituale, e cosa ancor più grave, senza interessarsi alle condizioni di vita dell’ex marito?
Il Giudice non può infatti limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma è obbligato a tenere altresì conto degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti a un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato.
Nel caso de quo l’organo giudicante, senza alcun accertamento ulteriore, obbliga lo sfortunato ex coniuge ad un mantenimento superiore al reddito dimostrato. In sostanza, il Giudice ha fatto finta che la coppia non si fosse mai separata, valutando solamente la situazione reddituale in costanza di matrimonio, ed ha fatto finta di non sapere che i redditi da lavoro autonomo, come quello documentato dalla signora, spesso, ma non sempre, possono nascondere anche fardelli di elusione fiscale che necessitano di una verifica più attenta.
Alla faccia del buon senso!
Non è affatto semplice comprendere quali siano i criteri adottati dai diversi Tribunali italiani per definire la misura dell’assegno di mantenimento in caso di separazione, dal momento che la normativa vigente riconosce all’organo giudicante un ampio spazio di discrezionalità circa la quantificazione dello stesso. In mancanza di criteri legali risulta evidente la necessità che ogni decisione venga assunta caso per caso.
Tuttavia ciò porta a vicende assurde come quella descritta sopra.
La necessità di adottare un criterio base, fondato anche su calcoli aritmetici, per evitare orientamenti discordanti, ha indotto alcuni tribunali a ricorrere a fogli di calcolo.
Un modello per il Calcolo dell’Assegno di Mantenimento (MoCAM) è stato elaborato dal Dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze, e viene applicato dal tribunale di Firenze. Si tratta di un sistema di calcolo che si propone un obiettivo dichiarato: «l’ammontare complessivo degli assegni deve essere tale da consentire ai due nuclei familiari che risultano dalla separazione di avere lo stesso tenore di vita, in modo che il danno economico derivante dalla separazione sia equamente ripartito tra i due genitori e ai figli sia garantito un tenore di vita equilibrato durante il tempo di convivenza con l’uno o l’altro dei genitori».
Forse questo potrebbe rappresentare un significativo passo in avanti per i padri separati, sempre più spesso annoverati tra i nuovi poveri, che affollano le mense di beneficenza e che si riducono a vivere in automobile, entrando in una spirale da cui è difficilissimo, se non impossibile, uscire. E in Italia, dati alla mano, sono quasi un milione quelli già precipitati nella miseria.
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