A me pare che queste norme pongano una questione di democrazia, perché di fatto rendono molto difficile il controllo di legalità sull’attività della pubblica Amministrazione, in quanto scoraggiano oltre ogni ragionevole misura la tutela giurisdizionale.
Particolarmente grave, e direi brutale, è il raddoppio del contributo per i giudizi amministrativi in materia di appalti, fino alla misura di 4.000 euro.
Tale importo è dovuto qualunque sia il valore della controversia, da quella per un piccolo appalto della manutenzione di un tratto di strada rurale a quello per il ponte sullo Stretto di Messina.
Già nell’importo di 2.000 euro aveva suscitato il dubbio di legittimità costituzionale, per essere questo scollegato dal valore della controversia; ma la Corte Costituzionale se n’era uscita con una pronunzia d’inammissibilità, invocando anche (secondo me a sproposito) la discrezionalità del legislatore (n. 164 del 6 maggio 2010).
Appare chiaro che una somma così elevata è pari o superiore al guadagno che può ricavarsi da piccoli appalti, e comunque tale da scoraggiare un investimento così elevato le imprese di dimensioni non rilevanti.
Ciò significa che, negli appalti di valore non elevatissimo, le stazioni appaltanti potranno commettere tutte le illegittimità, sicure che nessuno avrà la forza economica di contestarle.
D’altronde all’attribuzione di una vasta autonomia agli enti locali è seguita la soppressione di ogni controllo esterno, sicché è precluso il reclamo a qualsiasi altra autorità.
Parimenti scoraggiante la tutela giurisdizionale nei casi minori, è l’introduzione del contributo di ben 600 euro per i ricorsi straordinari, che invece erano sino a ieri un mezzo di tutela economico, per quanto lentissimo nei risultati.
Sulla stessa linea si pone l’introduzione del contributo unificato per i giudizi in materia di pubblico impiego, sia pure col contentino della riduzione a metà.
Pure in questo campo si apre la porta agli abusi ed alle vessazioni, chiudendola alla possibilità pratica di farle valere in giudizio.
Si afferma sempre più il principio che la tutela giurisdizionale è un fastidio per i manovratori, ma solo quando proviene dai cittadini per così dire più piccoli, e non certo quando è collegata ai grossi affari: insomma questa manovra completa l’attuazione dell’idea che la giustizia sia un servizio per i ricchi ed i potenti.
Ed invece sono proprio i “piccoli” coloro che hanno più bisogno del servizio della giustizia, perché non possono tutelare i propri interessi con la forza del denaro o delle conoscenze influenti o con lo scambio di favori.
Si pone realmente una questione di democrazia, oltre che un serio attentato alla possibilità di lavorare per la maggiore parte degli avvocati amministrativisti.
Mi pare che la classe forense non interverrà, proprio perché la questione riguarda una fascia marginale degli iscritti, e peraltro essa non ha la forza sociale di imporre i propri interessi, come mostra la vicenda della mediazione.
Solo un movimento dal basso attraverso la Rete potrebbe avere qualche possibilità di successo: invito il nostro Direttore ad organizzare da par suo una raccolta di firme.
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