Il Trattamento di fine rapporto o Tfr rappresenta una componente della retribuzione spettante al dipendente che, anziché essere corrisposta mensilmente al termine di ogni periodo di paga è riconosciuta in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto, a prescindere dalla causa che ha portato all’interruzione del contratto di lavoro.
Il pagamento alla cessazione del rapporto è escluso, oltre che per le ipotesi di destinazione di tutto o parte del Tfr al soddisfacimento di debiti contratti dal dipendente (come accade per sequestri, pignoramenti o cessioni), anche a fronte della destinazione del Tfr maturato, anziché in azienda o presso il Fondo tesoreria dell’Inps, alla previdenza complementare.
Proprio lo scarso appeal della previdenza complementare tra i giovani, testimoniato dalla Relazione annuale della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) per l’anno 2023 (il 47,8% degli iscritti, nel corso dell’anno precedente, aveva un’età compresa tra 35 e 54 anni, mentre il 32,9% presentava almeno 55 anni di età), ha rilanciato il tema sulle misure in grado di rafforzare il transito del Trattamento di fine rapporto delle nuove generazioni verso i fondi di previdenza.
L’Esecutivo Meloni, per bocca del Ministro del lavoro Marina Calderone, si è mostrato disponibile a ritoccare il sistema di contribuzione ai fondi pensione, in particolare modificando il sistema del silenzio-assenso e prevedendo il trasferimento automatico di una percentuale del Tfr alla previdenza integrativa.
Analizziamo la fattispecie in dettaglio.
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Indice
Tfr e previdenza complementare: cosa potrebbe cambiare nel 2025?
Intervenendo al Meeting di Rimini il Ministro del lavoro Marina Calderone ha affermato, stando a quanto riportato lo scorso 22 agosto dal quotidiano ItaliaOggi, che una riapertura di “un semestre di silenzio-assenso è una cosa che io sostengo e credo sia necessaria, perché uno degli elementi che ha costituito una scarsa appetibilità della previdenza complementare, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è il fatto che non è stata spiegata bene, non è ben compresa”.
Tra le opzioni sul tavolo, finalizzate a promuovere il ricorso alla previdenza complementare, figura l’ipotesi di introdurre, già con la prossima legge di bilancio, quindi a partire dal 2025, il trasferimento automatico, per i neo-assunti, del 25% del Trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare.
Al contrario, per i dipendenti già in forza, si profila un periodo di sei mesi trascorsi i quali, in assenza di opposizione, opera anche nei loro confronti il conferimento automatico di una quota-parte del Tfr alla previdenza integrativa.
Cosa prevede la normativa vigente?
Il Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 30 gennaio 2007 dispone in capo al datore di lavoro l’obbligo, in sede di assunzione del lavoratore, di:
- fornire al dipendente adeguate informazioni sulla possibilità di mantenere il Tfr in azienda o di destinarlo, al contrario, ad un fondo di previdenza complementare;
- sottoporre al lavoratore il modello Tfr2 attraverso il quale esprime la scelta sulla destinazione del Tfr.
Per approfondire > Destinazione TFR: a datore, Inps o Fondi pensione: le differenze
Il modello Tfr2 dev’essere riconsegnato (compilato) al datore di lavoro entro sei mesi dalla data dell’assunzione.
Se il lavoratore, nel corso del semestre, non esprime alcuna scelta, il Trattamento di fine rapporto è devoluto alla previdenza complementare. In particolare, a decorrere dal mese successivo alla scadenza del semestre il datore di lavoro trasferisce il Trattamento:
- alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, ovvero ad altra forma collettiva individuata con un diverso accordo aziendale (se previsto e comunicato al lavoratore in modo diretto e personale);
- in presenza di più forme pensionistiche collettive, alla forma individuata con accordo aziendale o, in assenza di specifico accordo, alla forma cui ha aderito il maggior numero di dipendenti dell’azienda.
Se non sono praticabili le opzioni descritte, il Trattamento di fine rapporto è destinato ad un’apposita forma pensionistica complementare (residuale) istituita presso il Fondo COMETA (Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori dell’industria metalmeccanica) il quale, a decorrere dal 1° ottobre 2020, ha sostituito il FONDINPS.
Tfr in azienda
Il Tfr lasciato in azienda è gestito direttamente dal datore di lavoro, eccezion fatta per le realtà con un numero di dipendenti pari o superiore a cinquanta. Per queste ultime, il Tfr dei lavoratori dev’essere versato al Fondo di tesoreria costituito in Inps, eccezion fatta per i dipendenti:
- con rapporto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a tre mesi;
- a domicilio;
- domestici;
- stagionali del settore agro-alimentare per i quali il termine del rapporto di lavoro non è prestabilito ma legato al verificarsi di un evento;
- impiegati, quadri e dirigenti del settore agricolo il cui Tfr è accantonato presso l’ENPAIA;
- lavoratori per i quali i rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro, anche mediante il rinvio alla contrattazione di secondo livello, dispongono l’accantonamento delle somme in parola presso soggetti terzi (ad esempio il Tfr accantonato presso le Casse Edili con riguardo ai lavoratori dell’edilizia);
- dipendenti per i quali è prevista la corresponsione periodica delle quote maturate a titolo di Tfr.
Tfr alla previdenza complementare
Il dipendente, come anticipato, può scegliere, entro sei mesi dall’assunzione e attraverso la compilazione del modello Tfr2 di destinare il Trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare:
- individuale, cosiddetti fondi aperti, destinati ai lavoratori a prescindere dal settore economico-produttivo di appartenenza;
- collettiva, cosiddetti fondi chiusi, riservati ai dipendenti che appartengono al settore economico-produttivo contemplato dagli accordi istitutivi.
Gli iscritti ai fondi aperti sono liberi di destinare tutto il Tfr alla previdenza complementare ovvero di non versare alcuna quota.
Per i fondi chiusi, al contrario, gli accordi che li istituiscono possono fissare una percentuale minima di Tfr da trasferire, come descritto in tabella:
Data di iscrizione alla previdenza obbligatoria | Tfr da trasferire al fondo di previdenza complementare |
Dal 29 aprile 1993 | Misura fissata dagli accordi istitutivi ovvero, in assenza di regolamentazione, il 100% del Tfr |
Prima del 29 aprile 1993, con riguardo a soggetti che al 1° gennaio 2007 erano già iscritti ad una forma di previdenza complementare | Mantenimento della quota versata in precedenza, lasciando in azienda il Tfr residuo |
Prima del 29 aprile 1993, con riguardo a soggetti che al 1° gennaio 2007 non erano iscritti ad una forma pensionistica complementare | Misura stabilita dagli accordi collettivi o, in assenza, secondo una quota non inferiore al 50% |
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Foto copertina: istock/MicroStockHub