E’ frequente, pertanto, che dopo la dichiarazione di fallimento il curatore non rinvenga le scritture contabili relative a periodi di tempo più o meno ampi. Tale circostanza comporta l’apertura di un procedimento penale a carico dell’imprenditore (o dell’amministratore) che può portare a gravi conseguenze per il soggetto interessato, come si andrà a descrivere nel proseguo.
Il reato di bancarotta fraudolenta documentale
Il primo comma dell’articolo 217 della Legge Fallimentare al numero 2 enuncia il reato di “bancarotta fraudolenta documentale”. Più precisamente la citata disposizione normativa individua due distinte fattispecie delittuose che integrano il reato:
- la sottrazione, distruzione e falsificazione, totale o parziale, dei libri e delle scritture contabili con lo scopo di procurare un ingiusto profitto o un pregiudizio ai creditori;
- la tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili in modo da rendere non possibile la ricostruzione del patrimonio aziendale o del movimento degli affari.
E’ importante sottolineare che la giurisprudenza costante richiede per la prima fattispecie la sussistenza del “dolo specifico”. La condotta del soggetto deve essere finalizzata, pertanto, a ottenere un ingiusto profitto o a arrecare un pregiudizio ai creditori.
Per la seconda fattispecie, al contrario, basta la presenza del “dolo generico”. E’ sufficiente, quindi, che il soggetto con il suo comportamento “accetti il rischio” di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio aziendale e degli affari compiuti. Appare evidente che tale ricostruzione renda più facilmente integrabile la fattispecie di reato e richieda grande attenzione a imprenditori e amministratori, anche a fronte dell’elevata pena edittale prevista per il delitto in esame (da 3 a 10 anni di reclusione).
Il caso deciso dalla Corte di Cassazione sezione penale con la sentenza numero 15.837 del 05.04.2013
Il caso sottoposto al giudizio della Corte di Cassazione riguardava un procedimento penale contro l’amministratore unico di una società a responsabilità limitata. La Corte di Appello aveva inflitto all’amministratore una condanna per “bancarotta fraudolenta documentale” a fronte della mancata consegna alla curatela fallimentare di numerose scritture contabili obbligatorie (schede di mastro, prima nota e fatture emesse e ricevute) riguardanti ampi periodi di tempo.
L’amministratore ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la sua condotta, non intenzionale e meramente omissiva, fosse da inquadrare nell’ambito della bancarotta semplice documentale e pertanto il reato fosse prescritto. L’amministratore ha sostenuto, inoltre, che l’irregolare tenuta delle scritture contabili fosse ascrivibile al professionista esterno incarico dalla società.
La Suprema Corte ha rigettato i motivi d’impugnazione del ricorrente affermando che:
– il reato di “bancarotta fraudolenta documentale”, di cui alla seconda parte dell’articolo 216 c. 1 numero 2) L.F., è caratterizzato dal “dolo generico”, secondo quanto affermato pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità. La sussistenza del reato non richiede, pertanto, un comportamento intenzionale, ma la semplice accettazione del rischio di rendere con la propria condotta non ricostruibile il patrimonio aziendale;
– la presenza di un professionista esterno, al quale era stata affidata la tenuta della contabilità della società non rilevava, in quanto il professionista aveva agito presumibilmente sulla base dei dati e dei documenti forniti dalla società. Detta presunzione non era stata superata dal ricorrente nel corso del giudizio di merito.
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