Magistrati in politica, Consulta: legittimo il divieto di iscrizione a partiti

Il caso nasceva dall’azione disciplinare nei confronti di Michele Emiliano, governatore pugliese

Ileana Alesso 03/11/18
E’ costituzionale la legge che vieta ai magistrati l’iscrizione, o la partecipazione “sistematica e continuativa”, a partiti politici per tutelarne indipendenza e imparzialità. La libertà di associazione politica, insieme a tutte le altre libertà, rappresenta un cardine essenziale del sistema democratico ma le delicate funzioni da loro svolte non consentono  di equipararli in toto agli altri cittadini. Questo il succo del parere della Corte Costituzionale, espresso con sentenza 20 luglio 2018, n. 170.

La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM) solleva questione di legittimità costituzionale della norma che prevede quale illecito disciplinare l’iscrizione, o la partecipazione regolare e continuativa, dei magistrati ai partiti politici, anche se si tratta di magistrati fuori ruolo, collocati in aspettativa “per motivi elettorali”.

Magistrati in politica: il caso di Michele Emiliano

Il caso nasce dall’azione disciplinare nei confronti di Michele Emiliano, magistrato in aspettativa per l’assunzione di diversi incarichi politici (da ultimo, Presidente della Regione Puglia), perché, per il loro svolgimento, si è iscritto ad un partito politico, il PD, ed ha partecipato alla sua attività in maniera regolare e continuativa.

La sezione disciplinare del CSM ritiene che la norma violi i diritti politici riconosciuti dalla Costituzione, ed in particolare il diritto di elettorato passivo (cioè di essere eletti), che deve considerarsi diritto inviolabile della persona per ogni cittadino.

Inoltre, il Csm sottolinea che:

  • è consentito ai magistrati di essere eletti al Parlamento nelle liste di partiti politici, di iscriversi ai relativi gruppi parlamentari e di contribuire ad attuarne la linea politica a livello nazionale, dal che il “confine tra la militanza politica e la candidatura indipendente è spesso incerto”;
  • e che, dunque, sarebbe irrazionale e contradditorio consentire ai magistrati di assumere ruoli politici, e, nel contempo punirli per situazioni (come l’aperto schieramento politico) che sono strettamente legate all’essenza stessa di quei ruoli.

Diverso sarebbe, sottolinea inoltre il CSM, il caso dei magistrati in aspettativa per lo svolgimento di funzioni tecniche di consulenza, per i quali il divieto in esame pare invece essere giustificato.

Nel caso di Emiliano, il CSM evidenzia che il magistrato è collocato in aspettativa da dodici anni, ed è stato eletto per ricoprire ruoli politici che implicano, per la loro stessa natura, la necessità di attuare la linea politica concordata con il partito che lo ha candidato e che lo sostiene.

D’altro canto, sostiene il CSM, la libertà di associazione politica in capo ad ogni cittadino costituisce un’espressione della libertà di associazione e rappresenta, insieme a tutte le altre libertà un cardine essenziale del sistema democratico.

Magistrati in politica: il parere dell’Avvocatura dello Stato

L’Avvocatura dello Stato rileva invece che è ben vero che i magistrati debbano poter godere degli stessi diritti di libertà garantiti agli altri cittadini ma che, per le delicate funzioni che svolgono, non possono essere del tutto equiparati ad essi, così che si giustifica l’imposizione di speciali doveri a loro carico.

Si costituisce in giudizio anche il diretto interessato M. E. rilevando, tra l’altro, l’importanza della questione sollevata per il “riconoscimento dei diritti politici del cittadino-magistrato”.

Magistrati in politica: la decisione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale respinge la questione sollevata dal CSM affermando che:

  • la norma in esame ha inteso delimitare il disvalore disciplinare alle sole ipotesi di un coinvolgimento, non occasionale, bensì rivelatore di uno schieramento stabile ed organico del magistrato con una delle parti politiche in gioco;
  • per i magistrati, infatti, un conto è l’iscrizione o comunque la partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito politico, altro è l’accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici di natura politica che, a determinate condizioni, la legislazione loro consente;
  • non è irragionevole operare una distinzione tra le due ipotesi, e perciò considerare illecito disciplinare il coinvolgimento sistematico e continuativo e nel contempo esercizio di un diritto fondamentale essere eletto agli uffici pubblici;
  • è ovvio che i magistrati devono essere anch’essi liberi di esprimere le proprie opinioni, anche di natura politica, ma la delicatezza della funzione che svolgono suggerisce di porre dei limiti all’esercizio di quei diritti, giustificati dall’esigenza di tutelare la loro indipendenza ed imparzialità;
  • la Costituzione attribuisce, perciò, al legislatore la facoltà di bilanciare la libertà di associarsi ai partiti con la necessità di assicurare l’indipendenza dei magistrati (come del resto di altre categorie di funzionari pubblici). E ciò al fine di scoraggiare attività o comportamenti adatti a creare legami stabili tra i magistrati e i partiti, che possano compromettere l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici, anche solo a livello apparente, specialmente in un sistema come il nostro, che consente al magistrato di tornare a fare il suo mestiere in caso di mancata elezione o di fine del mandato elettivo o dell’incarico politico;
  • per la stessa ragione, la norma disciplinare esaminata vieta anche altri comportamenti, come il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario, che, può creare anch’essa legami idonei a condizionare (anche per il futuro) l’esercizio delle funzioni del magistrato;
  • quindi, pur sapendo che il magistrato non si candida “da solo”, e che la rappresentanza politica in Italia si attua attraverso i partiti politici, per il magistrato deve rimanere fermo il divieto di iscrizione ad un partito politico, così come una partecipazione stabile e continuativa all’attività di un partito;
  • chiaramente, non ogni partecipazione a manifestazioni politiche o ad iniziative di partito deve essere punita a livello disciplinare;
  • infatti, a parte l’iscrizione al partito, che indica di per sé uno stabile e continuativo appoggio del magistrato ad un determinato partito politico, il giudice disciplinare valuterà di volta in volta se si presentino i caratteri della sistematicità e continuità della partecipazione del magistrato alla vita di un partito, così da adottare la soluzione al caso concreto.

 

Ileana Alesso

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