Ma le province servono o no? La competenza sugli allievi disabili ed il caos normativo

Luigi Oliveri 17/09/13
La sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 2 maggio 2013, n. 2391 stabilisce che l’assistenza agli alunni disabili non rientra tra i servizi sociali, bensì nel novero dei “servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”. Dunque, la competenza ad assicurare un assistente alla persona degli allievi delle scuole superiori spetta alle province.

I disabili nelle scuole superiori pubbliche nell’anno scolastico 2009/2010 erano circa 45.000 (fonte: Ministero dell’istruzione http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/c46ef907-3aa4-47d6-bb20-2490848fe12b/alunni_con_disabilita_as_2009-2010_def.pdf). Il trend, purtroppo, è certamente in crescita, perché nell’anno 2011/2012 i disabili tra scuola primaria e secondaria di primo grado sono stati censiti in 147.000

Non è difficile, dunque, immaginare che il dato aggiornato nelle scuole superiori sia più vicino ai 50.000 allievi con handicap, piuttosto che ai 45.000. Ma, consideriamo questo dato.

Ora, la sentenza del Consiglio di stato nel riconoscere la competenza delle province, ha previsto che sia onere di queste ultime assicurare un assistente alla persona per 10 ore settimanali.

Facciamo qualche rapido conto:

disabili  settimane  ore  costo orario lordo  costo totale
 45.000,00       42,00       10,00                   18,00  340.200.000,00

La conseguenza diretta della decisione del Consiglio di stato, non appena i comuni ne prenderanno atto e attraverso l’Anci pretenderanno che tutte le province assumano la competenza ad assistere gli allievi disabili è di scaricare su di esse oltre 340 miolioni di euro di spesa nuova.

Nuova, per due ragioni. La prima: fin qui l’assistenza alla persona dell’allievo disabile a scuola è sempre stata considerata servizio sociale e, dunque, di competenza dei comuni. Il Consiglio di stato fa un notevole volo pindarico nell’affermare che tale tipo di assistenza (materialmente, per esempio, accompagnare ai servizi gli allievi e altri esempi) abbia a che vedere col “supporto organizzativo”, posto alla base, invece, della competenza provinciale del trasporto degli alunni disabili nelle scuole superiori. Sembra evidente la forzatura interpretativa data all’articolo 139, comma 1, lettera c), del d.lgs 112/1998 e della legge regionale attuativa della Lombardia. Ma tant’è.

La seconda ragione è che le province non traggono da nessuna fonte di entrata la possibilità di sorreggere una spesa che vale circa 3,2 milioni di euro a provincia in media. Nel 2011 (fonte Istat) la spesa sostenuta dalle province per l’istruzione secondaria (nella quale dovrebbe ricadere quella oggetto della pronuncia di Palazzo Spada) è stata di poco più di 75 milioni, circa 700 mila euro in media per provincia, dato al quale, probabilmente, è da aggiungere anche il servizio del trasporto dei disabili inserito nella voce trasporti, per una spesa media più verosimilmente vicina al milione e mezzo annuo.

Tutto bene, si dirà. Le province almeno renderanno un servizio utile ai cittadini. Ma le cose non stanno proprio così.

Il Consiglio di stato interviene con una sentenza ampiamente discutibile, senza prendere in minima considerazione due fattori:

a) i venti di abolizione che soffiano verso le province;

b) l’impatto finanziario.

Il primo problema è di natura politica ed il Consiglio di stato non può certo tenerne conto nell’esprimere le proprie pronunce. Eppure, è un convitato di pietra pesantissimo, ma per responsabilità gravissime del Governo e del Parlamento e spiegheremo dopo perché.

Dell’impatto finanziario, invece, certamente Palazzo Spada avrebbe dovuto tenerne conto, perché la disciplina del riparto delle competenze tra province, comuni e regioni nell’attuazione del d.lgs 112/1998 è condizionata da una delle disposizioni più importanti, ma più violate, dell’ordinamento giuridico: l’articolo 4, comma 3, lettera 1) della legge 59/1997, la legge delega da cui è scaturito il d.lgs 112/1998. Detta norma dispone il “principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite”.

Dunque, il Consiglio di stato, appurato che il servizio di assistenza alla persona degli allievi disabili consiste nel servizio di “supporto organizzativo”, conferito ex novo dalle regioni (con leggi attuative del d.lgs 112/1998) alle province, avrebbe dovuto affrontare il problema del finanziamento del servizio ed accollare in capo alle regioni l’onere di sostenerlo, con adeguati trasferimenti alle province. Invece, nulla di tutto ciò.

Le conseguenze, a questo punto, sono devastanti e paradossali. Per capirle un brevissimo riassunto di quanto accaduto negli scorsi mesi, a partire dal novembre 2011. Il decreto “salva Italia” ha inaugurato la stagione non ancora conclusa della caccia alle province e della loro abolizione. Il dl sulla “spending review” ha ulteriormente rafforzato l’intento, tagliando i trasferimenti statali alle province di 1,7 miliardi e praticamente azzerando il “fondo sperimentale di riequilibirio”, che alle province non riequilibra nulla. La Corte costituzionale, con la sentenza 220/2013 ha però accertato la totale incostituzionalità delle norme citate prima, fermandosi al vizio dirimente dell’inesistenza dei presupposti di necessità ed urgenza che potessero legittimare i decreti legge. Sicchè il Governo ha approvato con la velocità della luce un disegno di legge costituzionale per abolire le province, un disegno di legge (attuativo della riforma costituzionale non approvata…) di riordino delle province teso a sottrarre loro praticamente ogni competenza, un decreto legge (ancora…) per sanare gli atti dei commissari illegittimamente fatti insediare in attuazione dei decreti legge dichiarati incostituzionali (sulla legittimità costituzionale di questo ulteriore decreto legge stendiamo un velo pietoso).

Ebbene, nessuna, ma proprio nessuna di queste leggi o iniziative normative si è curata di determinare l’unica previsione assolutamente necessaria, in vista dell’intento di abolire le province: fissare con chiarezza quale sarebbe l’ente che ne subentri nelle competenze e quali le fonti di finanziamento delle funzioni acquisite.Il buio più totale. Confermato dalla sconcertante lettera del Ministro Delrio al Corriere della sera del 4 agosto 2013, nella quale si afferma che dall’abolizione delle province deriverebbero “risparmi certi e potenzialmente elevati”, riuscendo nel capolavoro dell’ossimoro: considerare certo un qualcosa di potenziale.

Il disegno di legge che porta la firma del medesimo ministro non aiuta, anzi crea estrema confusione, perché un po’ di funzioni le lascia alle province, dove subentrano le città metropolitane è l’unica ipotesi di successione completa, ma le città metropolitane potrebbero delegare ai comuni o ricevere deleghe di funzioni da essi, i comuni negli altri territori subentrerebbero alle province, ma le regioni potrebbero assumersi alcune di esse, anche se i comuni potrebbero delegare le ex funzioni provinciali alle province.

Un caos totale, nel quale si innesta la sentenza del Consiglio di stato, che, come detto sopra, non può certo ingerirsi nella questione delle scelte politiche.

Ma, certamente, se la politica avesse avuto la capacità di regolare in maniera chiara e precisa la sorte delle province, il Consiglio di stato avrebbe potuto avere una guida ben diversa, da parte del legislatore, nell’adottare la sua decisione. Le cui conseguenze nel caos descritto, appaiono davvero assurde.

Infatti, dall’oggi al domani si caricano i bilanci provinciali, devastati da tagli fortissimi, di quasi il 16%, gli unici riservati in questa incidenza ad amministrazioni pubbliche, di un’ulteriore spesa corrente del 3% circa, senza prevedere alcuna fonte di entrata. Il che significa, ad essere ottimisti, che indirettamente la decisione del Consiglio di stato crea un ammanco di qualche centinaio di milioni sui bilanci provinciali, dal momento che non si è curato del problema del trasferimento dei fondi, posto dall’articolo 4, comma 3, lettera i), della legge 59/1997.

Le province, pertanto, mentre non sono nemmeno in condizione di approvare bilanci realistici e, soprattutto, di programmare la propria attività nemmeno per il triennio che prevede la normativa finanziaria e contabile, si vedono gravate di un servizio nuovo, operosissimo sul piano dei costi e dell’organizzazione, mentre hanno il divieto totale di assumere con contratti a tempo indeterminato, debbono sottostare ai vincoli finanziari esistenti per le assunzioni a tempo determinato, debbono soddisfare il patto di stabilità e fare i conti con i tagli pesantissimi disposti dalle manovre del Governo Monti.

Contestualmente, comuni e aziende sanitarie, che fin qui hanno sostenuto costi ed organizzazione dei servizi di assistenza agli allievi, cancelleranno le voci di spesa dai loro bilanci o, forse, molto più probabilmente dedicheranno la spesa ad altri fini (perché tagli veri in Italia non esistono mai).

Pertanto, le province, sull’orlo della loro estinzione, si troverebbero a dover organizzare da zero e senza entrate un servizio nuovo, operosissimo, dovendo verosimilmente ricorrere ad appalti che potrebbero portarle subito fuori dal rispetto del patto di stabilità, supplendo di fatto ad una funzione della quale comuni ed Asl si libererebbero. Col rischio, però, che tra un anno e mezzo, due anni, andato in porto il dissennato disegno di eliminazione delle province, la competenza all’assistenza degli allievi portatori di handicap delle superiori torni ai comuni. Ma, a quel punto, nemmeno loro avrebbero più la fonte di entrata corrispondente o, se va bene, la spesa per servizi sociali si duplicherebbe, perché nel frattempo, come rilevato sopra, ben difficilmente avrebbero tagliato di pari importo i costi appioppati alle province per effetto della sentenza del Consiglio di stato.

In più, vi sarebbe il problema del subentro (a pochissimo tempo dalla loro organizzazione) nel nuovo servizio, negli appalti, nell’organizzazione, con la beffa della nuova parcellizzazione del sistema operativo, dopo che esso fosse stato organizzato su “area vasta”.

Un bel risultato, non c’è che dire. Che dimostra la totale assenza di una visione complessiva del legislatore, incapace di comprendere i problemi operativi e gli effetti in una prospettiva di strategia globale.

L’eliminazione delle province dovrebbe essere regolata con la fissazione di un unico e certo ente subentrante (che non potrebbe non essere la regione, considerata la totale inadeguatezza dei comuni a gestire competenze sovra comunali), e la previsione di un periodo di diritto transitorio, nel quale congelare in modo certo la ripartizione delle funzioni, ad esempio con interpretazioni autentiche delle norme spesso oscure del d.lgs 112/1998 (evitando così sorprese della giurisprudenza amministrativa) e disponendo trasferimenti delle funzioni e delle materie graduali e sempre connessi strettamente alla contestuale successione nei rapporti economici e contrattuali.

Ma, visti i precedenti, questo, che sarebbe il modo logico e razionale di procedere, non sarà il modus operandi. Siamo vittime di un caos voluto e perseguito con determinazione formidabile.

 

Luigi Oliveri

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