Incostituzionale il Codice di comportamento del M5S per Roma Capitale

Massimo Greco 05/01/17

L’assenza di controlli esterni in ordine al “metodo democratico” attraverso cui i partiti politici concorrono a determinare la politica nazionale è stata sempre oggetto di approfondimenti e polemiche attesa l’indiscussa importanza che la Costituzione riconosce in capo a queste associazioni private non riconosciute.

Ora, se la qualità dei processi democratici all’interno della vita interna dei partiti è stata tradizionalmente registrata in difetto, con l’avvento del “non partito” di Grillo, la medesima questione assume sempre più rilevanza in eccesso. La partecipazione degli associati al Movimento 5 Stelle (M5S) subisce infatti un aumento spropositato di regole, limiti e vincoli che superano i confini privatistici della giurisdizione domestica, come nel recente caso del Regolamento e Codice di comportamento sottoscritto dai candidati del medesimo Movimento in occasione del rinnovo degli organi di governo di Roma Capitale.

In detto Regolamento numerose sono le disposizioni negoziali che impegnano gli eletti nelle liste del M5S (Sindaco compreso) ad orientare la propria azione politico-amministrativa: lo staff di comunicazione delle strutture di diretta collaborazione politica, le modalità di comunicazione istituzionale, l’adozione di uno specifico modello (Lex) per discutere le proposte di delibere o di regolamento a livello comunale, la finalizzazione di atti politici e/o amministrativi preferibilmente conformi agli obiettivi e ai programmi stabiliti dal M5S per Roma Capitale, la preventiva approvazione del M5S delle proposte di nomina dei collaboratori (compresi quelli delle strutture di diretta collaborazione), le dimissioni degli eletti in caso di ritenuta inadempienza al Codice di comportamento e alle sue regole stabilita anche attraverso lo strumento referendario degli iscritti.

Dalla lettura di tali disposizioni sembra evidente e costante l’interferenza di questioni interne al Movimento nell’esercizio di funzioni pubbliche derivanti dal mandato elettivo dei nuovi Amministratori di Roma Capitale. A coloro che hanno sottoscritto questo Codice di comportamento sembra però sfuggire la differenza tra il cittadino appartenente ad una associazione partitica in forza di un’adesione ideale e il cittadino a cui sono state affidate funzioni pubbliche in forza di un mandato elettivo (artt. 49, 51 e 54 Cost.).

Se i cittadini che esercitano funzioni pubbliche, oltre ad essere ancora più fedeli alla Repubblica e ancora più rispettosi della Costituzione e delle sue leggi, sono chiamati a farlo con diligenza ed onore e nell’interesse esclusivo della Nazione, coloro che nel contesto delle stesse funzioni pubbliche sono chiamati ad esercitare anche funzioni amministrative – come per il caso di specie del Sindaco e dei Consiglieri di Roma Capitale, devono farlo, nel miglior modo, nell’interesse dell’Amministrazione ed a tutela dell’interesse pubblico, conformemente all’etica professionale, cui è correlato anche il senso morale. Nè, a tale fine, si possono invocare motivi di coscienza sottesi ai principi del Movimento, in quanto come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa “a chi avanza motivi di coscienza si può e si deve obiettare che solo gli individui hanno una coscienza, mentre la coscienza delle istituzioni è costituita dalle leggi che le regolano”1.

Peraltro, i candidati alle elezioni delle Istituzioni democratiche, ancorchè designati da un partito politico, mantengono il proprio status giuridico di semplici cittadini-elettori fino alla fase pre-elettorale, cioè fino al momento della presentazione delle liste elettorali. Il procedimento elettorale trancia il cordone ombelicale con il partito politico di riferimento, aprendo le porte verso l’istituzionalizzazione dei rappresentanti neo eletti. Il Parlamentare, ovvero il Sindaco, piuttosto che il Consigliere neo eletto, infatti, non è espressione diretta del partito ma della lista elettorale che, notoriamente, può anche non essere stata generata da un partito politico ma da semplici elettori che hanno raggiunto un minimo di firme necessarie per la sua presentazione.

Dello stesso avviso è la Corte Costituzionale secondo la quale “…ammesso il rapporto, che il legislatore può stabilire, tra partiti e liste elettorali, dando alle formazioni politiche la facoltà di presentare proprie liste di candidati, non ne segue l’identificazione tra liste elettorali e partiti”2. Pertanto, indossata la veste istituzionale, la carica elettiva è pienamente parte integrante della più ampia articolazione istituzionale ed esercita la propria funzione pubblica per tutta la durata del mandato. Nulla di privatistico emerge nell’esercizio di detta funzione pubblica. Al contrario, l’esercizio della funzione pubblica s’incasella nella più pregnante funzione pubblicistica che la Costituzione affida agli Enti che compongono la Repubblica, nel contesto di un pluralistico e democratico confronto dialettico all’interno dei rispettivi organi collegiali ed assembleari.

Ma vi è di più, l’assenza di mandato imperativo garantita dall’art. 67 Cost. contribuisce ad irrobustire la tesi dell’emancipazione dell’eletto dal partito politico di riferimento, che rimane un’organizzazione propria della società civile. Infatti, l’adesione dei Parlamentari ai gruppi politici è automatica solo per le liste elettorali di provenienza e non certo per il partito politico di riferimento, e comunque salva diversa volontà espressa dal Parlamentare, in qualsiasi momento, di aderire ad altro gruppo o al cosiddetto gruppo misto. L’emancipazione dell’eletto dal partito politico di riferimento si ripercuote inevitabilmente anche sulla natura istituzionale del gruppo politico.

Orbene se per i Giudici di Pazza Spada “… in via generale il gruppo consiliare non è un’appendice del partito politico di cui è esponenziale ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori…”3, a fortiori non possono essere considerati un appendice del M5S il Sindaco e i Consiglieri di Roma Capitale eletti nelle liste del Movimento, e ciò a prescindere, e indipendentemente, dalla sottoscrizione del citato Codice di comportamento la cui violazione, semmai, può rilevare ai soli fini delle regole interne al Movimento e non certo per piegare, ad esigenze di parte, interessi che devo continuare ad essere considerati pubblici.

Gli illustrati precetti costituzionali impediscono che un partito politico, o un movimento, operante in violazioni dei medesimi possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche. In tale contesto è stato infatti già affermato che “La norma costituzionale preclude, dunque, ai partiti politici e ai loro rappresentanti qualunque opera non solo di aperto sabotaggio ma anche di subdola, lenta e surrettizia erosione delle istituzioni democratiche, in quanto queste appartengono a tutti i cittadini (art. 1, 2° comma Costituzione) e certamente non ai loro rappresentanti politici…”4.

1 Cons. Stato, sent. n. 4460/2014.

2 Corte Cost. sent. n. 15/2008.

3 Cons. Stato, sent. n. 8145/2010.

4 Tar Catania, sentenze nn. 910/88 e 1181/2006.

 

Massimo Greco

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