Il 17 dicembre 2013 la Terza sezione penale della Corte di Cassazione, con una sentenza fondamentale in materia di responsabilità degli Internet Service Provider, ha confermato l’assoluzione dei tre manager di Google, assistiti – tra gli altri – dallo studio legale HTLaw.
La vicenda, ha avuto inizio nel 2006 con la querela proposta dall’associazione Vividown nei confronti della multinazionale. Il caso riguardava un video, caricato da alcuni utenti sulla piattaforma multimediale Google Video, nel quale veniva mostrato un minorenne disabile mentre veniva picchiato e deriso da un gruppo di compagni di classe. In particolare, la questione sulla quale la Cassazione si è pronunciata concerne la responsabilità di un Internet Service Provider riguardo i contenuti ospitati nello spazio online messo a disposizione degli utenti. L’accusa ha sostenuto in tutti e tre i gradi di giudizio che le piattaforme di video sharing (tra le quali rientra, appunto, Google Video) debbano essere dotate di specifiche misure di monitoraggio preventivo del materiale caricato. Si è espressa, inoltre la necessità di acquisire il consenso da parte dei soggetti protagonisti nei video pubblicati online, una sorta di filtro/censura operata a monte sul materiale caricato dagli utenti. La definitiva assoluzione e il respingimento del ricorso saranno sicuramente oggetto di studio, approfondimento e discussione, per colmare il divario normativo del nostro paese rispetto al background europeo, sul complesso processo di regolamentazione della rete. Ciò che vale la pena rilevare dopo la pronuncia del 17 dicembre scorso è la netta affermazione di un principio di diritto molto chiaro in tema di (ir)responsabilità dell’Internet Service Provider, a corredo del quale saranno a breve depositate le motivazioni, punto di partenza per un auspicato intervento legislativo in materia.
Cyberbullismo: approvata prima bozza del Codice di Autoregolamentazione
E’ stata approvata l’8 gennaio 2014 la prima bozza Codice di Autoregolamentazione per la prevenzione del cyberbullismo, inteso come “l’insieme di atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici come l’e-mail, la messaggistica istantanea, i blog, i telefoni cellulari e/o i siti web”. Il provvedimento rientra in una più generale attività svolta dal Governo per il contrasto del fenomeno del cosiddetto hate speech e sarà aperto alla consultazione pubblica per ottenere ulteriori suggerimenti dagli utenti del web fino al 24 febbraio 2014. Il focus del Codice è il sistema di segnalazione dei contenuti non appropriati e la cooperazione tra Autorità competenti e operatori che forniscono servizi di social networking, di servizi on line, di contenuti e di piattaforme User Generated Content. L’argomento da circa un anno è oggetto di studio da parte di un gruppo coordinato dal Prof. Andrea Rossetti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano, cui l’avv. Andrea Palumbo dello Studio HTLaw partecipa, che a breve pubblicherà una raccolta di scritti sul tema.
Decreto Balduzzi: inammissibile la questione di legittimità costituzionale
Il 6 dicembre 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata il 21 marzo 2013 dal Tribunale di Milano in tema di responsabilità medica e decreto Balduzzi. La L. 8 novembre 2012, n. 189, come noto, ha introdotto nel nostro ordinamento un’abolitio criminis parziale, stabilendo che nell’operato sanitario – e in quello altamente qualificato dei professionisti in genere, ritiene la giurisprudenza – sia la sola colpa grave a fondare la responsabilità professionale per omicidio colposo. Il medico che si muova all’interno delle linee guida tracciate per uno specifico intervento (o trattamento) e che agisca secondo il protocollo condiviso dalla prassi non potrà essere ritenuto responsabile di eventi dannosi conseguenti, se essi non siano direttamente causati dalla violazione di dette linee guida (v. Cass. Pen. Sez. IV, 9 aprile 2013, n. 11493). I molteplici casi di responsabilità per cd. colpa lieve, infatti, hanno spesso dato luogo a procedimenti penali nei quali il sanitario era imputato pur avendo rispettato i principi del corretto operare medico ma per l’intervento di fattori ulteriori, difficilmente prevedibili, l’esito era stato infausto. Data la delicatezza del tema e la sua importante incidenza sociale, il legislatore ha ritenuto di apportare delle modifiche alla disciplina previgente, imponendo le conseguenze penali per il sanitario rimproverabile per colpa grave e contemporaneamente eliminando dall’alveo della responsabilità professionale la cd. colpa lieve. La Corte Costituzionale non è entrata nel merito delle censure mosse dal Tribunale di Milano, limitandosi a constatare che non era stata descritta la fattispecie concreta in relazione alla condotta colposa del soggetto esercente la professione sanitaria, al grado della colpa, al nesso con l’evento e all’esistenza di linee guida in relazione al contesto di riferimento. Precisando, tuttavia, che il decreto Balduzzi opera con riferimento alle sole regole di perizia e non quando sia contestata la negligenza o l’imprudenza (come precisato dalla Cass. Pen. Sez. Sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493). Si tratta quindi di un intervento soltanto rinviato.
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