Liti condominiali: transigere?…e come?

Luigi Nastri 15/12/16
Il presente contributo mira ad evidenziare alcuni aspetti del contratto di transazione in particolare prendendo in esame il caso in cui solo alcune delle parti del processo scelgano di transigere la lite ed in seguito alla transazione sia pronunciata una sentenza sulla materia del contendere solo tra le parti che hanno proseguito il giudizio.

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Un caso apparentemente al limite

Un caso apparentemente al limite rispetto alla disciplina legislativa ma non per questo da sottovalutare nella prassi: si immagini l’ipotesi in cui un condomino e l’amministratore scelgano di transigere sul pagamento di determinati oneri condominiali e il verbale con cui questi erano stati approvati sia poi annullato in forza di un giudizio instauratosi con condòmini diversi. Cosa potrebbe accadere in un caso simile?

In cosa consiste la transazione?

Posto che la transazione ai sensi dell’art. 1965 c.c. consiste nello scambio di reciproche concessioni tra le parti al fine di prevenire o porre fine ad una lite, al quesito posto verrebbe da rispondere che dal momento che la parte ha voluto rinunciare al processo, non essendo neanche parte processuale sarebbe tenuta ad eseguire la transazione nonostante l’annullamento della delibera dell’assemblea di condominio.

Tuttavia è vero che la transazione ha la funzione di comporre la lite e che quindi le parti tra l’altro devono conseguentemente rinunciare agli atti del processo (qualora esso si fosse già instaurato) ma è anche vero che nel caso preso ad esempio viene annullata la delibera sulla quale le parti hanno transatto ovvero viene meno il presupposto che ha reso necessaria la transazione.

Delibera annullata: cosa succede?

Normalmente nel caso in cui venga annullata la delibera all’interno di una lite instauratasi solo tra alcune delle parti interessate vige quella che la Cassazione definisce efficacia riflessa del giudicato: la parte che non ha partecipato al processo si potrebbe avvalere in deroga all’art. 2909 c.c. degli effetti della sentenza di annullamento. A ben vedere ciò si spiega anche perché la delibera è un atto collettivo e come tale espressivo di una volontà unica ancorché generata dall’insieme di singole volontà individuali: di conseguenza se l’annullamento viene pronunciato a favore di alcuni partecipanti alla decisione, lo stesso non può che produrre effetti anche verso coloro i quali hanno partecipato alla decisione ma non al giudizio.

La sentenza di annullamento quindi può dirsi produttiva di effetti anche per coloro i quali avessero transatto? In sostanza vale anche a favore di questi ultimi il principio dell’efficacia riflessa del giudicato?

Occorre considerare che una sentenza costitutiva qual è quella di annullamento potrebbe prevalere sulla transazione modificando i rapporti giuridici generati dall’autonomia privata; allo stesso tempo la decisione del giudice farebbe venir meno il presupposto per il quale le parti hanno transatto ovvero la res litigiosa facendo svanire la causa stessa della transazione. L’efficacia riflessa del giudicato potrebbe quindi ripercuotersi su tutti i soggetti non coinvolti nel processo anche se uno di loro avesse transatto.

Naturalmente dipende da quale sia il contenuto della transazione: in forza di tali considerazioni potrebbe essere utile condizionare il contratto ad un evento esterno indipendente dalla volontà delle parti contrattuali: nell’esempio fatto si potrebbe dedurre in condizione l’esito di una revisione dei bilanci da parte di soggetti terzi. Più difficile sarebbe subordinare gli effetti della transazione all’esito del giudizio perché così facendo si altererebbe la stessa causa transattiva.

La forma

Diverso problema concerne la forma: questa è libera per cui in linea teorica la transazione potrebbe essere validamente stipulata oralmente. Tuttavia a fini probatori è richiesta dalla legge la forma scritta nonché la forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata qualora abbia ad oggetto controversie relativa a diritti reali su beni immobili ai sensi dell’art. 1350 c.c..

Occorre inoltre evidenziare che dal momento che ai sensi dell’art. 474 c.p.c. ai fini dell’esecutività del titolo è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata è sempre consigliabile stipulare l’atto secondo tali forme quand’anche non avesse ad oggetto i diritti dell’art. 1350 c.c.. In effetti in tal modo la transazione risponderebbe a pieno alla sua funzione: l’eventuale inadempimento di una delle parti sarebbe immediatamente azionabile dalla controparte davanti al giudice dell’esecuzione evitando l’allungarsi dei tempi processuali ed evitando così un inutile contezioso davanti al giudice di cognizione.

Gli aspetti teorici

Per quanto riguarda gli aspetti più propriamente teorici un accenno agli aspetti causali: la transazione è un contratto tipizzato dal legislatore definito come quel contratto che le parti pongono in essere per porre fine ad una lite già cominciata o prevenire una lite che può sorgere tra loro mediante lo scambio di reciproche concessioni.

Come la dottrina più attenta sottolinea la funzione è proprio quella di porre fine alla lite: il problema allora è capire che natura hanno le reciproche concessioni che le parti si fanno.

Tali concessioni possono consistere nell’assunzione di obbligazioni, scambio di cosa contro cosa (permuta), scambio di cosa contro prezzo (compravendita); inevitabilmente i connotati causali di tali concessioni si possono confondere con la vera causa del contratto di transazione.

A ben guardare quindi la transazione consiste in una serie di negozi che si reggono sempre sulla causa della transazione stessa ma finisce col confondersi coi connotati causali dei relativi negozi: forse si potrebbe trattare di negozi c.d. a causa esterna ovvero attuativi della causa transattiva. Autorevoli studiosi infatti sottolineano come la transazione consista in un contratto a causa mista.

Luigi Nastri

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