L’11 marzo 2014, con la legge n.23, il Parlamento ha dato mandato al Governo, mediante approvazione della c.d. “delega fiscale”, di legiferare in materia fiscale, individuando le aree ed il perimetro di intervento.
Tra le materie indicate, come noto, all’art.10 troviamo la “Revisione del contenzioso tributario […]”. Altrettanto noto è che la delega è stata attuata, nel corso dell’anno, per circa il 15% e che, per tale ragione, è intervenuta la proroga di sei mesi della stessa con d.l. n.4/2015.
Non volendo fare processi alle intenzioni, il timore che buona parte della delega resti inattuata, almeno nei prossimi sei mesi, è fondato.
Ma perché, soprattutto da parte degli “addetti ai lavori” (più che dall’Erario), è così avvertita la necessità di metter mano alla riforma (più che alla revisione) del contenzioso tributario, in particolare del processo?
Prima di provare a rispondere a questa domanda, però, è opportuno fare un passo indietro per meglio inquadrare la cornice nell’ambito della quale inserire il presente intervento e sgombrare il campo da facili equivoci che potrebbero insorgere.
Premesso che non ci si sente di sostenere che l’attuale sistema giuridico, in ambito tributario, non consenta al contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa ex art.111 Cost. e che la capacità contributiva, ex art. 53 Cost., sia legittimamente modulata in funzione delle esigenze della Comunità, una riflessione sulla compressione che questi due pilastri del sistema tributario potrebbero subire se non si procede ad una organica riforma del processo tributario è più che lecita.
Lo spunto rispetto a quanto appena detto ce lo dà la lett.a) del comma 1 del summenzionato art. 10, nel quale si intravede una delle primarie preoccupazioni del legislatore, laddove delega il Governo ad intervenire ≪anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo≫.
Rileggendo la lett. a) del summenzionato comma, l’intervento, tra gli altri, di cui alla L. 23 dicembre 2014, n.190 (legge di stabilità) all’art.1, comma 634 che ha riguardato l’art.13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ovvero l’istituto del ravvedimento operoso, appare ancor più palese l’intento del legislatore di favorire la tax compliance e la deflazione del contenzioso.
Andando a ritroso nel nostro ragionamento, l’art.29 del d.l. 31 maggio 2010, n.78 aveva introdotto nel nostro ordinamento il c.d. accertamento esecutivo.
L’Agenzia delle entrate, con i suoi budget, da sempre si prefigge come obiettivo la massimizzazione del recupero di gettito netto, intendendo per tale il recupero di risorse, mediante gli strumenti accertativi, minimizzando le spese connesse a tale recupero, attinenti alla fase istruttoria, prima dell’avviso di accertamento, e alla fase contenziosa, dopo detto avviso, attraverso gli strumenti deflativi. Basti pensare, a titolo di esempio, alla Circolare A.d.e. n.235/E del 1997 che, tra le altre cose affermava ≪L’azione dell’Amministrazione, che in tale fase dovrà valutare con attenzione e obiettività le argomentazioni e gli elementi forniti dal contribuente, consentirà l’instaurazione di un diverso e meno conflittuale rapporto con il contribuente e permetterà di limitare il ricorso agli organi del contenzioso≫. Sulla stessa linea si è collocata la Circolare A.d.e. n.65/E del 2001, la quale aggiungeva, a quanto già detto 4 anni prima, la necessità di improntare il rapporto con il contribuente a principi di lealtà e collaborazione, anche alla luce dell’introduzione della L.212/2000, meglio nota come Statuto dei diritti del contribuente.
La storia ci ha insegnato, nostro malgrado, che dietro tanti buoni propositi affermati, la realtà, purtroppo, era altra e prevalentemente riassumibile in una volontà di avvicinare quanto più possibile il momento accertativo a quello riscossivo; in una parola: il gettito.
E allora, se si cerca di comprimere e racchiudere quanto più possibile il rapporto tra contribuente e fisco negli istituti deflativi, urge un potenziamento dei meccanismi di riequilibrio dei diritti del cittadino che garantisca maggiormente chi ritiene di aver assunto un comportamento conforme al dettato normativo.
L’attività legislativa dell’ultimo ventennio, infatti, ha scientemente creato un vero e proprio trade off, per i contribuenti colpiti da avvisi di accertamento, tra adesione a detto avviso e rivendica del proprio diritto per via contenziosa, attualmente molto sbilanciato, in termini di convenienza economica, in favore del primo.
Il contribuente, spesso, non sentendosi rassicurato da un sistema di regole vigenti farraginoso nell’ambito del processo tributario (e non solo), per timore, nonostante le proprie ragioni, di una pronuncia sfavorevole e sedotto dalle agevolazioni concesse a chi presta acquiescenza/adesione agli accertamenti dell’Erario, ha finito per rinunciare al suo diritto, che discende direttamente dall’art.53 Cost., auto-comprimendolo ed accettando di pagare anche ciò che non sarebbe dovuto né in termini di capacità contributiva, né di progressività.
Alla luce di quanto sin qui esposto forse risulta più chiaro quanto affermato in apertura sulla compressione dei diritti e, soprattutto, si intuisce quale sia la risposta alla domanda inizialmente posta sul perché sia così avvertita la necessità di metter mano alla riforma del processo tributario.
Evidentemente, a parere dello scrivente, in un sistema così delineato, il processo diviene l’unico contrappeso alla pretesa erariale ingiusta e talvolta vessatoria e necessita di giudici terzi, indipendenti e competenti.
La terzietà andrebbe garantita avendo il coraggio di dar seguito ad uno spin off delle Commissioni Tributarie, che dovrebbero lasciare il MEF e passare sotto la direzione del Ministero di Giustizia, eventualmente dando loro un nome più al passo coi tempi, come “Tribunali Tributari”, come suggerito da qualcuno, investendoli eventualmente anche della fase precontenziosa di mediazione, attualmente affidata al medesimo soggetto che emette l’avviso di accertamento.
L’indipendenza va intesa anzitutto sotto il profilo economico, visti gli attuali compensi previsti per i Giudici e dovendo scongiurare il rischio di fenomeni corruttivi.
Infine la competenza, attraverso adeguata selezione, è fondamentale, dato che i Giudici si trovano a pronunciarsi talvolta su controversie particolarmente complesse, come spesso è la materia fiscale già di suo, e che necessitano di adeguata specializzazione,.
In definitiva la riforma del processo tributario appare oggi come un intervento normativo improcrastinabile non già per mero vezzo dei “tecnici”, bensì perché risulta al contempo elemento di equilibrio e saldatura su cui poggia la fiducia del cittadino-contribuente nei confronti dello Stato-Erario.
Eventuali ulteriori proroghe, rinvii o slittamenti, a maggior ragione dopo il potenziamento degli istituti deflativi del contenzioso, non farebbero che danneggiare un rapporto già molto incrinato, lasciando il sistema nell’attuale stato di squilibrio.
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